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“You Say You Want a Revolution?” Gli anni ’60 in mostra al V&A

Dopo il successo di "David Bowie Is", il museo di Londra ha creato la mostra definitiva sui quattro anni, dal 1966 al 1970, che hanno dato forma al futuro. Ne abbiamo parlato con il Presidente di Levi's, il brand storico che ha collaborato con la mostra

Non esiste epoca più raccontata, sviscerata, analizzata e soprattutto celebrata dei tardi anni ’60. Ci sono molti decenni percepiti da chi non li ha vissuti come «epoche d’oro» – la Belle époque, gli anni ’20 – ma l’immaginario lasciato da quella manciata di anni che vanno dal 1966 al 1970, le opere e i cambiamenti sociali penetrati nella vita delle persone sono tali che persino chi l’ha vissuta arriva a raccontarla con un senso di meraviglia simile più a quello di chi racconta un sogno che una banale nostalgia per la giovinezza. Ovviamente ci sono state anche molte critiche alla Summer of Love – basti Joan Didion in Verso Betlemme, che nel 1967 smonta la poesia del movimento hippie di San Francisco raccontandone la squallida quotidianità – ma usciti dalla mostra You Say You Want a Revolution? Records and Rebels 1966-1970 del Victoria & Albert Museum di Londra si fa fatica a credere a qualsiasi genere di critica.

Il V&A cerca di bissare il successo di David Bowie Is, la mostra sul Duca Bianco che sta facendo il giro del mondo, con una enorme retrospettiva sui quattro anni che hanno rivoluzionato il modo in cui viviamo. La mostra, curata da Geoffrey Marsh e Victoria Broackes, Direttore e Curatrice del Dipartimento di Teatro e Performance del V&A, parte dalle mini di Mary Quant e le acconciature di Vidal Sassoon e arriva ai manifesti della seconda ondata femminista e delle black panther, passando per i costumi originali dei Beatles per la cover di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band e atterrando in uno spazio che ricrea Woodstock – con tanto di prato finto e outfit originali degli hippy con giacche a frange e Levi’s costumizzati da toppe a fiori (e con cosa sennò?).

John Sebastian si esibisce a Woodstock, 15 agosto 1969, foto Henry Diltz/Corbis

Partner della mostra è proprio Levi’s, marchio che negli anni ’60 ha visto il suo definitivo passaggio da abito da lavoro a divisa della controcultura: «Ai giovani serviva un’uniforme che non assomigliasse a qualcosa che indossavano i loro genitori, e quella era il denim. Negli anni ’60 è diventato il tessuto del rock», racconta James Curleigh, Presidente Global di Levi’s, a Londra per la presentazione della mostra, «In quegli ultimi anni la questione si è fatta ancora più interessante: non si parlava solo di musica, ma di cambiamenti della società». Levi’s è presente con cinque capi messi a disposizione dall’enorme archivio vintage del marchio con sede a San Francisco. Esattamente come non si poteva immaginare che una band che suonava in un garage di Liverpool sarebbe diventata i Beatles, che oggi ancora consideriamo inarrivabili, non si poteva scommettere che i jeans patchwork degli figli dei fiori avrebbero fasciato le chiappe dei Ramones, di Debby Harry e quelle di, beh, praticamente chiunque conosciate: «Quando ci hanno chiesto di partecipare alla mostra, non potevamo non accettare, perché eravamo già parte integrante di quello che è successo in quegli anni», spiega Curleigh.

Al di là della questione musicale, i tardi anni ’60 e l’estetica della Summer of Love sembrano permanere nella moda più di qualsiasi altra epoca, e secondo Curleigh i motivi sono tre: «È stata un’era autentica, un movimento che stava capitando senza che fosse pilotato dall’alto. Poi quello che è stato creato in quell’epoca ha passato il test del tempo – ad esempio Woodstock, che è stato il primo vero festival, da cui derivano quelli contemporanei. Infine, è stato un movimento democratico: parlando sempre di Woodstock, non era un concerto esclusivo per un centinaio di persone, ma un evento per migliaia di ragazzi. L’autenticità, la costituzione di un movimento e la democraticità sono stati gli elementi fondamentali». La rivoluzione è stata capillare, era impossibile sfuggirne: in una sezione dell’esposizione dedicata al consumismo, è esposta in una teca la prima carta di credito d’Inghilterra, prodotta nel 1966 dalla banca Barclays, che ha cambiato per sempre il modo di acquistare. E quella è stata anche la prima generazione a porsi problemi di portata globale che ancora oggi non trovano soluzione, come quello dell’ecologia e della ricerca di un’economia sostenibile. Poi certo, c’è anche un sacco di droga nella mostra, ma non aspettatevi di trovarla al gift shop.

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