Alexis Bortell ha 12 anni e usa l’olio di cannabis per non soffrire delle crisi epilettiche che potrebbero ucciderla. Lo assume oralmente con una siringa due volte al giorno, e ha sempre con sé lo spray al THC così da poter intervenire in caso di pre-crisi o aura epilettica. Le aure si presentano una volta ogni tre o quattro settimane, una frequenza molto inferiore rispetto a quando abitava in Texas. Lì i medici le avevano proposto una lobotomia sperimentale, ed è per questo che i genitori hanno deciso di trasferirsi in Colorado. La cannabis è sicuramente meglio che farsi asportare un pezzo di cervello.
«Sono più di due anni che non ho una crisi grazie al trattamento con la cannabis. In Texas eravamo felici se superavamo i tre giorni, e non sono mai andata oltre», dice Bortell, ora in prima media. «I miei voti sono migliorati, non ho l’infermiera accanto ogni giorno. Nessuna medicina del Texas è riuscita a fermare le crisi, e quelle che prendevo avevano orribili effetti collaterali, alcuni peggio delle stesse crisi».
Bortell è più saggia e si esprime meglio dei suoi coetanei, e lo scorso settembre ha ricevuto un invito dalla National Organization for the Reform of Marijuana Laws (NORML) per influenzare i suoi rappresentanti a Washington. Non è potuta andare ma solo parlare attraverso Skype: Bortell non può spostarsi senza la sua medicina, e superare i confini del Colorado con un narcotico (l’olio alla cannabis) sarebbe un reato federale. E anche se riuscisse ad arrivare a Washington – dove la marijuana è legale sia per fini medici che ricreativi – non potrebbe portare la medicina su territorio federale, che comprende parchi, monumenti, il Campidoglio e tutte le basi militari.
Oggi Bortell è una dei cinque querelanti in una causa contro il governo: i suoi avvocati sostengono che il Controlled Substances Act (CSA), la legge che rende la cannabis illegale, violerebbe alcuni diritti di rango costituzionale.
«Questo caso non riguarda solo la CSA. Questa è una causa sui diritti civili, sul diritto di accedere a cure che potrebbero salvare vite», ha spiegato l’avvocato Michael Hiller, ex-professore di diritto costituzionale al John Jay College of Criminal Justice. «Non è una causa sulla cannabis, è sulla libertà di pensiero, sulla necessità che il governo rispetti il Primo Emendamento, il diritto di spostarsi liberamente e quello di essere lasciati soli».
Il gruppo di avvocati – Hiller, Lauren Rudick, Joseph Bndy e David Holland – ha compilato la causa a settembre nel Distretto di New York. Lavorano tutti pro bono e fanno tutti parte della New York Cannabis Bar Association: sono convinti che la casa possa cambiare lo stato delle leggi federali sulla marijuana. Il governo federale, insieme al Dipartimento di Giustizia e alla DEA, richiederà al tribunale di archiviare il procedimento il 13 ottobre. Se il giudice dovesse accordare la richiesta, gli avvocati di Bortell faranno appello.
Il caso potrebbe produrre effetti in tutto il paese. «Se la corte dovesse dichiarare l’incostituzionalità della CSA, la nostra causa potrebbe cambiare la vita di decine di milioni di persone», spiega Hiller. Nella causa Bortell rappresenta le migliaia di bambini malati di epilessia, tutti casi che beneficerebbero delle cure a cui ha accesso.
I suoi avvocati sostengono che non solo la CSA violerebbe alcuni diritti costituzionali, ma che la stessa classificazione della marijuana come narcotico Schedule I sarebbe da rivedere. «È costruita su menzogne e posizioni razziste», spiega Holland, legal director di Empire State NORML e consulente di High Times Magazine.
Nella causa si fa riferimento ai molti modi in cui la cannabis è stata utilizzata (a fini medici) nel corso della storia. Accelerando fino al 18esimo e 19esimo secolo scopriamo che la Costituzione Americana è scritta su fogli di canapa e che è negli anni ’20 che si diffonde il pregiudizio sul collegamento tra la sostanza e alcune fasce della popolazione, in particolare i Messicani e i musicisti jazz afroamericani. Nel 1937 Harry Anslinger, direttore del Federal Bureau of Narcotics, ha scritto il Marihuana Tax Act, trasformando il possesso, la produzione e la vendita della cannabis in un atto criminale. È così che è cominciata la Guerra alla Droga.
Negli anni ’60 e ’70 la cannabis era il comune denominatore tra chi protestava contro la guerra in Vietnam e i gruppi radicali come i Black Panthers. Il braccio destro di Nixon, John Ehrlichman, ha detto (decine di anni dopo) che la criminalizzazione della marijuana era un modo per colpire i neri e gli hippie: «Sapevamo di mentire sulla droga? Certo che sì».
Quando nel 1971 la CSA è entrata in vigore, la marijuana è stata classificata come sostanza Schedule I “temporaneamente”. Oggi i neri e gli ispanici sono ancora discriminati dal proibizionismo. In Colorado chi appartiene a una minoranza è arrestato più spesso di chiunque altro, e in California gli arresti agli afroamericani superano di tre volte quelli ai bianchi.
«Il vero problema è che la CSA non ha nessun senso», dice Hiller. «Siamo assolutamente convinti che il governo sappia che la cannabis non può essere un narcotico Schedule I. I requisiti sono l’alto rischio di dipendenza, l’assenza di una qualche efficacia medica e l’impossibilità di test se non sotto lo stretto controllo di un medico. La cannabis non ne soddisfa nemmeno uno».
Come sostiene Hiller, c’è un abisso tra quello che il governo dichiara con le sue leggi e quello che fa concretamente, come il rilascio della patente per l’uso di cannabis a chi è malato di Parkinson, Alzheimer, HIV e malattie autoimmuni. Non solo, a partire dal 1978 il governo finanzia un programma (l’Investigational New Drug) che ha dimostrato più volte che la cannabis allevia i sintomi dei pazienti senza effetti collaterali considerevoli.
Oggi 29 stati permettono l’uso della sostanza a fini terapeutici e ricreativi e il 60% della popolazione americana ha accesso alla pianta. «Non ha senso, il governo considera la cannabis così pericolosa da non poter essere testata senza un medico e allo stesso tempo incoraggia le aziende a farne un business ricreativo», dice Hiller. «Il governo rilascia una patente, distribuisce cannabis ai pazienti da 40 anni e pretende di essere preso sul serio quando dice che non offre benefici e che può provocare danni cerebrali».
È come il matrimonio omosessuale, spiega Hiller, il governo non può difendere il proibizionismo basandosi su fatti concreti. «La nostra causa rappresenta la verità», spiega Bondy, un altro degli avvocati. «La marijuana ha un valore medico ampiamente riconosciuto. La posizione del governo è folle».
Siamo sicuri che la parte sconfitta (non importa quale) farà sicuramente appello e che la battaglia non finirà qui. «Questi sono temi importanti perché riguardano diritti costituzionali. Siamo felici di sfruttare questa opportunità per dimostrare che abbiamo ragione», spiega Bundy.
Nel frattempo Alexis Bortell è costretta a scegliere se salvarsi la vita o infrangere la legge. «Guardo i miei compagni di classe e provo a immaginare cosa faranno da grandi», spiega. «Io invece non sarò nulla, perché il governo pensa che sia una criminale. Lo so che hanno torto. Spero di vincere la causa, così potrò diventare un dottore, o magari entrare in politica».