Giovanni Robertini: Hai visto la nuova serie di Zerocalcare su Netflix? Io c’avevo la lacrimuccia già al primo episodio, quando Zero strappa dai muri del quartiere i manifesti phasci “contro la sostituzione etnica”. Che vuoi che ti dica, brutta bestia la nostalgia boomer! Prima dei meme, dei tweet, dell’algoritmo, dei talk infiniti, c’era un semplice oggetto, punk come la colonna sonora della serie, che andava a costruire l’identità politica di noi ragazzetti: il poster. Quello in cameretta – i Clash, The Specials, Van Basten, Maradona, Samantha Fox, Sabrina Salerno – e quello in strada: l’attacchinaggio notturno per un concerto o una manifestazione, e il successivo strappo, piccolo vandalismo socialmente accettato, di quei manifesti che la voce non la volevano dare, ma togliere. Deve essere per questo che Zerocalcare continua a disegnare i poster che vedo nel tuo quartiere, al Pigneto: feste della birra nel centro sociale per raccogliere fondi per i curdi, concerti hardcore per le spese legali di un compagno in carcere, cortei, presidi, scioperi. Perché un muro dove attaccare con la colla un manifesto c’è sempre, sia a Tor Sta Ceppa che su una piattaforma di streaming a pagamento. La mano che li strappa invece di sti tempi tocca animarla col fumetto.
Alberto Piccinini: Parole sante. Sai qual è la vera nostalgia boomer? Ho il sospetto che sia quella dell’anti-phascismo come lo chiami tu. We don’t need this fascist groove thang cantavano gli Heaven 17 nel 1981. Erano elegantissimi, avrebbero aiutato di lì a poco Tina Turner a diventare una megastar, mostravano a tutti noi la via in fatto di tagli di capelli e di politica. Forse avevo un poster loro, non ricordo. Dato che, come sai, ho una cattedra di secondo piano in una prestigiosa università privata fichetta italo-milanese potrei aggiungere qualche altra banalità del tipo che oggi Instagram TikTok e gli altri social hanno completamente soppiantato l’immaginario dei poster. Con la differenza che i poster rimanevano a prendere polvere sui muri, ingialliti dal fumo delle nostre fantasie (bella questa, me la segno). I social purtroppo non smettono un secondo di muoversi e parlare. Scroll. Swipe. Quel che è peggio pretendono di raccontare qualcosa. Luis sfancula Fedez. Damiano tradisce Giorgia. Arisa infama Paola (o Chiara, boh?). Sono forse subdole strategie per distogliere la gente dai veri problemi del paese? Chiaro che sì. Vabbè, non mi è chiaro neppure quali siano i veri problemi del paese, ma in questa nebbia la democrazia va in crisi e lo storytelling ti frega.
Giovanni Robertini: Non so se hai notato, ma – tra una chiacchiera sulla lite Louis Sal e Fedez e una sulla finale Champions – nelle mie chat l’algoritmo ha iniziato a martellare come ogni anno: che fai questa estate? Grecia o Berlino, mare o montagna? Salento? Una bella masseria in Salento tutti insieme? Ma come! Ma pure tu, algoritmo carissimo, non le hai lette le cronache della Meloni nella masseria di Vespa? Vasche etrusche, cafonissime sedie di design a forma di cactus, vino “Rosso di Vespa” e menù dello chef stellato con cornucopia di orata ripiena di scarole? Anni di “Fuecu intra sta casa, “Sciamu a ballare”, dancehall e sagre, sesso sulla spiaggia e cannette sugli scogli, tutto questo seppellito da una cornucopia di orata. Altro che gentrificazione, siamo al livello successivo: il set televisivo di un talk di destra. Altro che Salento, guardiamo se su Airbnb ci sta un bilocale a Tor Sta Ceppa, periferia roots della penisola zerocalcarica e facciamoci la nostra vacanza MineCraft: nelle vie del quartiere ci facciamo passare tutti i giorni un Pride, e poi costruiamo decine di baretti con solo Peroni ghiacciate e gelati, no cornucopie, no tormentoni estivi, solo musica a km zero di eroi punk locali e rave queer come nel saggio di McKenzie Wark che sto leggendo ora. Alla mattina andiamo a camminare in tenuta gorpcore, e al pomeriggio, verso le cinque, una bella seduta di autocoscienza militante. Vabbé, no dai, la seduta forse è troppo. Partiamo subito con le birrette e le amichevoli estive in tv.
Alberto Piccinini: Bei tempi quando l’unico orizzonte che avevamo era una birretta al tramonto sulla balconata del Fico d’India di Porto Selvaggio, vista mar Jonio. Non torneranno. Non torneranno più. Sai cosa ti posso dire? Che finalmente Elly Schlein o chi l’ha consigliata ha fatto il gesto politico più radicale degli ultimi trent’anni. Ha detto NO a Bruno Vespa, agli ulivi, ai leccaculo con le scarpe sbagliate, a Giorgia Meloni vestita come il matrimonio del cugino, al menù gourmet che ti vado a recitare: tagliatelle di seppia con salsa di zucchine alla scapece e mentuccia, granita di riccio e gamberi, cornucopia di orata ripiena di stocazzo eccetera. Stocazzo è citazione da Zerocalcare. È importante. Importantissimo. Chiude la fetida stagione iniziata con Nanni Moretti “di qualcosa di sinistra” a D’Alema a Porta a Porta. Elly Schlein come Claudio Rocchi: «La tv non esiste». Elly Schein come Gil Scott-Heron: «La rivoluzione non sarà teletrasmessa». Tiè. Che le cozze crude vi vadano di traverso. Che i polpi si rianimino e vi stritolino. Io ci credo ancora. Buon Pride a tutt*