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Cinque cose che non sapete su Satoru Iwata, il boss di Nintendo scomparso questa settimana

Ha creato dei livelli che avete odiato, ha riprogrammato un gioco da solo e ha lasciato un'eredità bellissima. Cinque curiosità su Iwata san per ricordarlo
Gli omaggi dei fan a Satoru Iwata fuori dalla sede di Nintendo. Fonte: Facebook

Gli omaggi dei fan a Satoru Iwata fuori dalla sede di Nintendo. Fonte: Facebook

Ha contribuito a rivoluzionare il mondo dei videogiochi. Ha portato al successo Nintendo DS e Wii, per poi scomparire troppo presto lo scorso 11 luglio. Satoru Iwata è stato un santone per qualsiasi appassionato di videogiochi e ha contribuito a rivoluzionare esperienze di gioco. O addirittura a crearne delle nuove.

Lo ricordiamo facendovi scoprire cinque cose che forse non sapete del presidente d’azienda con la testa da sviluppatore e il cuore da gamer.

L’avete mandato a quel paese un sacco di volte (senza saperlo)

È il padre spirituale del grande classico del “livello sott’acqua”, noto anche come “livello gratuitamente difficile messo lì apposta per farti perdere una ad una tutte le vite che avevi pazientemente accumulato nel resto del gioco”. Trattasi del tipico livello da platformer 2D in cui il protagonista, invece di correre e saltare all’aria aperta, si muove sott’acqua: controlli lenti, nemici veloci, elementi ambientali letali, meccanismi a tempo. Capostipite di questo particolare tipo di inferno è, ovviamente, il famigerato livello sott’acqua di Super Mario Bros. Che in teoria sarebbe tra gli unici giochi della Nintendo in cui Iwata non ha mai messo mano, ma che in pratica non sarebbe potuto esistere senza di lui: per creare quel livello, infatti, gli sviluppatori dell’epoca si avvalsero del codice sorgente di un gioco chiamato Balloon Flight, realizzato qualche tempo prima da un giovane di brillanti prospettive a nome Satoru Iwata. Ogni volta che siete morti facendo glu glu glu in Donkey Kong Country o nelle Tartarughe ninja e avete maledetto i livelli sott’acqua e chi li ha inventati, stavate mandando al diavolo anche lui.

Vi ha portato dietro le quinte dei giochi

Ha portato il concetto di “dietro le quinte” nel mondo dell’industria dei videogiochi dando vita alla formula del cosiddetto “Iwata asks”. Lo schema è semplice: c’è Iwata, c’è un numero variabile di persone che hanno realizzato un determinato gioco, ci sono le domande e ci sono le risposte. E c’è una telecamera che registra tutto. A metà tra il backstage la seduta di autocoscienza, grazie agli “Iwata asks” milioni di appassionati, aspiranti sviluppatori e smanettoni in genere hanno potuto per la prima volta guardare dentro al processo creativo che porta alla realizzazione del videogioco. Assistere alle conversazioni tra Iwata e i colleghi è come aprire la cartuccia del gioco per vedere come è fatto dentro, solo con uno accanto che ti spiega il perché e il percome di ogni singolo circuito integrato. Sono talmente interessanti che avere giocato al titolo di cui si sta parlando diventa del tutto ininfluente. Provare per credere: sul sito della Nintendo c’è l’archivio completo di tutte le puntate. Sceglietene una che parla di un gioco che non conoscete e premete play. Non riuscirete a staccarvi.

Ha creato i picchiaduro per i bambini

Ha inventato l’approccio pacifista al picchiaduro, incidentalmente salvando uno dei titoli che avrebbero fatto la fortuna della Nintendo. Il gioco in questione è Super smash bros, acclamato gioco di combattimento la cui caratteristica peculiare sta nell’avere come personaggi giocabili i più celebri nomi dell’universo Nintendo. E il problema era proprio questo: è accettabile che personaggi buoni e amati dai bambini di tutto il mondo tutto ad un tratto inizino a picchiarsi tra loro? Dopo approfondito dibattito (immaginatevi la scena di una dozzina di corrucciati uomini d’affari giapponesi intorno a un tavolo che discutono della moralità della principessa Peach che sfigura di mazzate Pikachu) la linea del no stava per prevalere, finché Iwata non se ne uscì con l’uovo di Colombo: a gonfiarsi di botte non sono i personaggi veri e propri, ma pupazzetti raffiguranti i personaggi medesimi che combattono battaglie immaginarie tra di loro. Salvo il gioco, salva l’etica, salvi i profitti. Soprattutto, salve le centinaia di ore buttate da giocatori di tutto il mondo a picchiarsi mediante personaggi – pardon, pupazzetti dei personaggi – della Nintendo.

Ha salvato un gioco storico da solo

Ha salvato quello che sarebbe diventato uno dei titoli più amati della storia del Super Nintendo riprogrammandolo da solo. Quando sembrava che Earthbound, ambizioso progetto rpg per la nuova console, fosse destinato a subire un cospicuo rinvio a causa della lentezza con cui ne procedeva la programmazione, Iwata – che al tempo già ricopriva un ruolo manageriale e non aveva teoricamente più nulla a che vedere col lavoro tecnico – prese su il progetto, ci buttò un occhio e se ne uscì con le seguenti parole: «Posso sistemarlo io. Solo, se devo lavorare su questo codice ci vorranno due anni ma se posso ripartire da zero bastano sei mesi». I programmatori, perso per perso, gli lasciarono carta bianca. Tre settimane dopo, Iwata era tornato con un’ossatura nuova di zecca per il gioco. Che fu riconsegnato agli sviluppatori, completato in tempo e mandato nei negozi senza sgarrare di un giorno sulla tabella di marcia. Fu un successo così clamoroso che ancora oggi non c’è classifica dei “migliori rpg di sempre” che non lo includa in pianta stabile.

Ha lasciato un videogioco in eredità

Ha lasciato la cosa più preziosa che avesse in eredità ai fan. A settembre uscirà l’ultimo prodotto su cui Iwata abbia messo le mani: Super Mario Maker. Si tratta di un creatore di livelli per l’universo di Super Mario, con elementi, nemici e ambientazioni che vanno dagli 8 bit del primo Super Mario al 3D del prossimo New Super Mario Bros U: usando un’interfaccia simile a quella del vecchio Mario Paint, il giocatore può creare infiniti scenari mettendoci dentro letteralmente qualsiasi cosa ed avendo come unica regola il vale tutto. Così, l’ultimo atto nella vita del videogiocatore che in nome dell’amore per i videogame era diventato sviluppatore prima e amministratore delegato poi consiste nel dare al mondo lo strumento per trasformare in gioco vero e proprio l’immaginazione e la fantasia scatenate dai videogiochi. Consiste, cioè, nel mettere in mano alla gente la stessa scintilla che, anni e anni fa, si era accesa nella testa di un ragazzino innamorato dei videogiochi e lo aveva convinto a prendere la cosa sul serio. Per essere una schermata di game over, non c’è male davvero.

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