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Cyberpunk 2077: il futuro ha bisogno di un aggiornamento

Il videogame di CD Project RED è ricco, complesso e pieno di tesori. Il suo più grosso limite, però, non sono i bug (esilaranti), ma la scelta di attenersi a un immaginario del futuro che è uguale da troppo tempo

Foto press

Chiamare Cyberpunk un gioco cyberpunk è abbastanza rischioso: significa che sei pronto a caricarti le conseguenze che l’appropriazione di un concetto così complesso comporta. Era ovvio che ci sarebbero state parecchie controversie intorno al titolo più atteso dell’anno, non ultime quelle sul fatto che dopo aver rimandato più volte la data d’uscita, il gioco sia stato buttato al mondo comunque prematuramente (forse c’era un po’ di pressione) e, come era prevedibile, gira male, si incaglia ed è pieno di bug. Per quanto mi riguarda questo è un aspetto risibile, ma parlo dal punto di vista di una persona che durante il primo lockdown ha imparato a meditare e ad apprezzare il valore dell’attesa. Anche se mi rendo conto che per molti giocatori le imperfezioni della release possano risultare ben fastidiose, trovo questi malfunzionamenti molto divertenti, e questo non soltanto per le valanghe di meme che hanno generato, ma anche e soprattutto per l’ironia intrinseca al concetto stesso di bug. Come ha fatto notare qualche utente di Twitter (che, cari lettori e care lettrici, resta il social network migliore della storia) i bug di Cyberpunk 2077 sono la cosa più cyberpunk di questo gioco.

Come saprete se ci avete giocato, l’editor del gioco è talmente dettagliato che probabilmente avrete passato le prime due ore a curare il vostro personaggio nei minimi dettagli, o almeno è quello che è successo a me e probabilmente anche al genio che ha impiegato questo tempo per creare Elon Musk o l’artista che ha riprodotto il leggendario Hold the Pain Harold. Puoi anche creare una donna col pene o un uomo con la vagina, e uso questi termini vetusti e binari non a caso, ma perché l’editor stesso, come il resto del gioco, nonostante questa possibilità rimane molto binario, un po’ troppo binario dal momento che stiamo parlando di un contesto cyberpunk, ovvero di un futuro non troppo lontano in cui modificare il nostro corpo per raggiungere uno stato transumano sarà all’ordine del giorno, e come in ogni transumanesimo che si rispetti, le creature non dovrebbero più appartenere ai generi che voi umani antichi e voi TERF chiamavate biologici. La mia personaggia, ad esempio, è una ragazza trans e gabber, ma dal momento che ho scelto per lei una voce maschile tutti si rivolgono a lei al maschile. Oltretutto ho scoperto che il solo fatto di aver scelto per la mia gabberina una voce maschile mi preclude di avere una sexy storia d’amore con una ragazza carina che ho incontrato e avevo intenzione di corteggiare. A parte che il dead-naming e la scelta obbligata tra maschile e femminile avrebbe già dovuto fare la fine delle televisioni a tubo catodico, figuriamoci se ci proiettiamo tra cinquanta e passa anni, i generi dovrebbero proprio essere qualcosa di estinto.

Il problema di questo binarismo un po’ rétro per essere il 2077 è nato dalla pubblicità di una delle bibite energetiche di cui è pieno l’immaginario distopico (basti pensare al product placement della Monster in Death Stranding) e ovviamente anche Night City. Lo slogan è “mix it up” e l’immagine è quella di una ragazza trans con un top stretto e un’evidente erezione. Il problema dei corpi trans in Cyberpunk, come scrive la columnist del Daily Dot, è che sembrano concepiti e rappresentati a partire da un’ottica decisamente cis, e nonostante molte persone trans (tra cui Indya Moore) stiano apprezzando il fatto di poter vedere rappresentato un corpo di donna con un pene, il fatto che non esista un neutro e che non sia stato immaginato niente che vada oltre i due poli del maschile e del femminile è abbastanza deludente.

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“All’inizio, molti giocatori trans erano contenti dell’idea che il sesso non sarebbe stato determinato dai genitali del personaggio” si legge su una delle recensioni che ragionano su questo tema. “Tuttavia, quella potenziale felicità si è trasformata in incredulità quando i giocatori si sono resi conto che il sesso e i pronomi del loro personaggio non sono determinati dai genitali, bensì dalla voce. Soltanto i personaggi con una voce profonda possono essere identificati come maschi, mentre i personaggi con toni più alti sono identificati come femmine, il che presume l’idea che il sesso delle persone possa essere identificato da determinati tratti”.

Se l’immaginario cyberpunk serve a qualcosa è proprio per far esplodere le estreme conseguenze di quello che già accade, in nuce, nel presente, ed è un po’ assurdo che ci siano più identità di genere nella realtà del 2020 che in quella immaginaria del 2077. Fortunatamente c’è un bug che altera il personaggio che scegli e fa comparire un pene per magia o fa direttamente scomparire ogni organo genitale, provocando una disforia di genere virtuale a molti giocatori.

Nel 1985 usciva Manifesto Cyborg di Donna Haraway, che si chiude con questo paragrafo: “Le immagini cyborg possono indicarci una via di uscita dal labirinto di dualismi attraverso i quali abbiamo spiegato a noi stessi i nostri corpi e i nostri strumenti. Questo è il sogno non di un linguaggio comune, ma di una potente eteroglossia infedele. È l’immaginazione di una femminista invasata che riesce a incutere paura nei circuiti dei supersalvatori della nuova destra. Significa costruire e distruggere allo stesso tempo macchine, identità, categorie, relazioni, storie spaziali. Anche se entrambe sono intrecciate nella danza a spirale, preferisco essere cyborg che dea”. Dopo la morte di dio, Haraway uccideva la dea e delineava un futuro in cui commistioni, contaminazioni, sovrapposizioni e crasi danno vita a nuove parole per nuovi concetti per nuove realtà. Al funerale di queste divinità si piange in realtà la morte dell’essere umano così come lo conoscevamo fino a un paio di secoli fa. Una serie di rivoluzioni del pensiero ci hanno espulso dalle nostre certezze, tirando fuori l’uomo vitruviano dal suo cerchio perfetto — un processo tanto doloroso quanto liberatorio. Haraway parla di “ferite al narcisismo che l’essere umano ontologico ha dovuto soffrire” a partire da quella copernicana che ci ha spostati dal centro dell’universo, quella darwiniana che ha rimosso l’umanità dal centro della vita organica, quella freudiana in cui la nostra coscienza è stata destabilizzata e per ultima quella sintetica, che ha decentrato il naturale in favore dell’artificiale, mettendoci a confronto con una realtà tecnologica che è oramai inscindibile dalla nostra esistenza organica (notizia recentissima, gli oggetti artificiali per la prima volta nella storia della Terra hanno superato quelli naturali). È semplicemente un po’ assurdo che nell’immaginare le persone del futuro non ci liberiamo di alcune limitazioni mentali.

In generale, nonostante Cyberpunk 2077 sia un gioco molto ricco e pieno di tesori nascosti, probabilmente il suo più grosso limite è la scelta di attenersi a un immaginario del futuro che è sempre uguale da troppo tempo.

Night City, l’ambientazione di ‘Cyberpunk 2077’. Foto press

“Sono passati quarant’anni anni da quando il Cyberpunk rappresentava una novità, ora è semplicemente diventato parte dell’immaginario collettivo, della cultura pop, forse è persino un retaggio culturale”. Così Bruce Sterling, uno dei fondatori del genere, ne descrive la percezione attuale. “Perché il cyberpunk sembra ancora uguale a com’era negli anni Ottanta? Forse non c’era bisogno che cambiasse: continuiamo a identificarci in questo immaginario perché la realtà che descrive è quello in cui viviamo,” scrive il Guardian. “Nessuno ha ancora immaginato una via d’uscita dalla tipica distopia cyberpunk, che è sicuramente sintomo di un blocco creativo. Non è un caso che il cyberpunk sia diventato maggiorenne nell’era in cui il capitalismo si stava muovendo verso il dominio globale, culminando nel suo trionfo simbolico con la caduta del muro di Berlino. I concetti in competizione furono delegittimati dall’asse Thatcher-Reagan e il neoliberismo divenne un consenso che precluse con successo l’immaginazione di alternative. Questo orizzonte degli eventi politici fu anche una morte per la fantascienza utopica. Abbiamo interiorizzato l’idea che il sistema in cui viviamo sia un’inevitabilità e con ciò, la nostra immaginazione si è bloccata, incapace di concepire un futuro che vada oltre — come se fossimo bloccati in un loop in una di quelle simulazioni al computer che il genere ama così tanto tanto. Di conseguenza, il cyberpunk viene privato del potere politico che aveva una volta”.

Ironicamente, la narrazione cyberpunk sta morendo per mano della stessa lama che ha teorizzato, ovvero la vittoria dell’individualismo sul potere della collettività, e questo è un sintomo, ma anche una conseguenza del fatto che non riusciamo a proiettarci in un futuro, specialmente nel 2020, l’anno più distopico della storia recente. È assurdo pensare che forse la nostra mentalità attuale sia ancora un po’ troppo legata a schemi e concetti del passato e che questo in un certo senso ci stia impedendo di immaginare un futuro diverso, una distopia diversa da quelle che ci immaginavamo negli anni Ottanta. Le cose forse cambierebbero se riuscissimo a guardare oltre all’iper-individualismo in cui siamo immersi dal boom economico al boom dei social network e immaginarci un futuro post-cyberpunk in cui finalmente sarà morto ogni dio.

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