Dopo una fase di consultazione durata mesi, L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha infine classificato la dipendenza da videogiochi tra le malattie ufficialmente riconosciute. Annunciata durante la settantaduesima Assemblea Mondiale della Sanità, la decisione, benché preannunciata da tempo, farà indubbiamente discutere. L’organizzazione definisce la dipendenza da videogiochi facendo distinzioni pressoché irrilevanti tra esperienze online e offline, e focalizzandosi principalmente su tre principali manifestazioni del disturbo:
- Una scarsa capacità di controllare la propria attività di gioco, in particolare per ciò che riguarda la frequenza, l’intensità, la durata, la capacità di interruzione, e il contesto.
- Un’importanza sproporzionata data ai videogiochi, fino al punto di trasformarli in una priorità rispetto ad altri interessi della vita e alle attività quotidiane.
- La persistenza nell’attività di gioco anche a seguito della comparsa di conseguenze negative, che devono essere di una gravità tale da compromettere la stabilità emotiva, i rapporti familiari, sociali, o lavorativi.
Le associazioni di categoria, tuttavia, si sono sempre ritenute contrarie alla classificazione di una patologia come la dipendenza da videogiochi, fin da quando l’OMS presentò le prime bozze nel 2017. UKIE, per esempio, contesta la mancanza di un valido supporto scientifico e accademico che riconosca l’esistenza di un simile disagio e mette in guardia dalle ripercussioni negative che il settore potrebbe soffrire da un punto di vista normativo.
Microsoft invece ha manifestato un atteggiamento decisamente differente sulla questione, richiamando l’industria dei videogiochi a una presa di coscienza e di responsabilità per promuovere nuove forme di controllo sulle attività dei videogiocatori, in particolare per quanto riguarda online e loot box. In un’intervista a The Telegraph il capo delle operazioni di Xbox, Dave McCarthy ha dichiarato: “Il nostro settore deve riconoscere che non è facile per i genitori gestire ciò che riguarda il digitale e l’online”, aggiungendo che “Ci sono molte considerazioni che dovremmo fare, per esempio su quanto tempo sia appropriato passare davanti a uno schermo, oppure la questione della sicurezza online e altre cose del genere.”
“Dovremmo far evolvere quello che offriamo e riconoscere che possiamo fare di più. Probabilmente in passato abbiamo taciuto più di quanto avremmo dovuto. Parte di questo sta nel riconoscere che ci sono delle sfide in corso, e che ci sentiamo addosso la grande responsabilità di dover creare un ambiente sano.” Al di là di quello che si pensa della questione, il proposito di fornire più strumenti per tutelare in particolare i minori dall’uso eccessivo dei videogiochi è sicuramente un’idea condivisibile.