Quando qualche mese fa l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha deciso di classificare la dipendenza da videogiochi tra le malattie ufficialmente riconosciute, le associazioni di categoria così come alcuni ricercatori del campo hanno contestato la scelta lamentando l’assenza di prove evidenti e validi supporti scientifici.
Oggi un nuovo studio congiunto condotto dalle università di Oxford e Cardiff, attraverso l’analisi dei comportamenti di 1.000 adolescenti ha evidenziato come l’uso smodato dei videogiochi, più che come patologia in sé, si configuri piuttosto come la manifestazione di “frustrazioni sottostanti e disfunzionalità psicosociali più generalizzate”. In altre parole, la cosiddetta “dipendenza da videogiochi” sarebbe la conseguenza, e non la causa, di un disagio psicologico, emotivo o comportamentale preesistente, mentre non ci sono abbastanza evidenze scientifiche a dimostrare che il disturbo possa nascere spontaneamente, solo attraverso l’utilizzo degli stessi.
Secondo i risultati della ricerca, si può inoltre desumere che stigmatizzando il problema dell’abuso di videogiochi come una vera e propria dipendenza, si rischia di colpevolizzare quello che è un meccanismo difensivo (per quanto deleterio) senza andarne a rimuovere le cause sottostanti, che potrebbero per esempio essere ricondotte a casi di disturbi d’ansia o depressione. Il rischio, inutile dirlo, è quello di approdare a diagnosi sbagliate curando il sintomo ma non la causa.
La questione dunque rimane aperta, e possiamo solo augurarci che si continui a fare ricerca per arrivare a una definizione corretta e scientificamente accurata del problema, piuttosto che cedere alla solita caccia alle streghe.
I videogiochi non creano dipendenza, secondo un nuovo studio
Da ciò che si evince dai dati di una nuova ricerca, i videogiocatori compulsivi sarebbero già affetti da patologie preesistenti contrariamente a quanto affermato di recente dall’OMS