15 anni fa lo studioso Douglas McGray si sorprendeva – non senza un certo nazionalismo filoamericano – dell’influenza della cultura pop giapponese sui giovani statunitensi, innamorati di anime, manga, sushi e videogiochi. In Italia l’ascendente culturale del Sol Levante era ancora più evidente, e quasi tutti i nati nei ’90 pranzavano con Dragon Ball e andavano a letto dopo lunghe session di Tekken, Final Fantasy e i vari classici Nintendo.
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The Legend of Zelda: Breath of the Wild
Solo una decina di anni dopo Keiji Inafune, autore di Mega Man e produttore di vari Resident Evil, dichiarava la morte del videogioco giapponese, devastato da una serie di fallimenti commerciali e da un’incapacità di aggiornarsi ai trend delle produzioni occidentali. La crisi era enorme, e persino un colosso come Konami cacciava il suo designer-rockstar Hideo Kojima (e tutto il suo studio) per dedicarsi ai pachinko, macchinette per il gioco d’azzardo.
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Gravity Rush 2
Tutto finito, si diceva nel giro, eppure, se c’è qualcosa che ha segnato il gaming di questo 2017 è proprio il ritorno delle produzioni giapponesi. A partire da Nintendo, che con i nuovi Mario e Zelda è tornata ai raffinati fasti del passato; poi gli action game adrenalinici e senza compromessi (Ni-Oh e Nier: Automata, per chi ama i metaforoni distopici) e il Cool Japan di Gravity Rush 2 e Persona 5, che vanta la direzione artistica dell’anno tra soft jazz e menù disegnati a mano. Titoli per tutti i gusti, coloratissimi e pieni di stile, che fanno anche più bella figura sotto l’albero rispetto al solito sparatutto americano.