In fondo, il gesto è semplice: ci si collega a un apposito sito, si sceglie un film e lo si gusta in pochi clic. Gratis. Volendo esagerare, ci si può abbonare, pochi euro al mese in pieno stile Netflix, e si ha accesso a una libreria che include non solo tutte le ultime novità del botteghino, ma anche videogame e libri. In questo momento, per esempio, si trovano Creed II, City of Lies, Non ci resta che il crimine, e molti altri ancora. Ovviamente, tutto illegale. Ovviamente, il link truffaldino cambia sempre. Perché il servizio di cui parliamo è pirateria pura, al 100%, e sfrutta alcuni magheggi per rendersi il meno identificabile possibile, tra cui il continuo cambio di indirizzo web.
Senza contare che, proprio a causa delle continue denunce per pirateria, viene continuamente chiuso, ma ogni volta s’improvvisa araba fenice digitale e ricompare più in forma di prima. Ecco, CB01, uno dei più famosi, non è che la punta dell’iceberg di un fenomeno che, solo in Italia, nel 2017, ha generato perdite per 617 milioni di euro e 5700 posti di lavoro. Di fatto, stando ai dati FAPAV/IPSOS, due utenti Internet su tre hanno fruito illegalmente di contenuti audiovisivi.
Un grosso problema, insomma, al quale, tuttavia, non sembra venga contrapposta la giusta artiglieria. Ci sono, in particolare, due domande che meriterebbero di avere risposta: come è possibile trovare in Rete film appena usciti, con qualità paragonabile a quella cinematografica? E come fanno dei servizi palesemente legati alla pirateria a offrire servizi di assistenza, in italiano, anche telefonica?
Fin troppo facile
Insomma, se un normalissimo utente Internet ha modo di accedere con disinvoltura a questi contenuti, è in grado di pagare il servizio con carta di credito, e addirittura di ottenere risposta a dubbi tecnici, come mai CB01 e affini continuano ad agire indisturbati, quasi fossero entità sfuggenti? A limitare il fenomeno, o per lo meno cercare di farlo, ci sta pensando una class action mondiale, gestita in Italia dal punto di vista legale dallo studio Bernardini de Pace, dove l’Avv.to Luciano Faraone, con l’ausilio di un’approfondita investigazione privata, ha portato alla luce una rete dedita proprio alla pirateria audiovisiva. Con l’aggravante che i siti a cui si rifà rimandano a contenuti pornografici accessibili anche a minorenni, senza alcun tipo di filtro.
Il materiale raccolto è stato consegnato dai legali al Colonnello Salvatore Poiani, del Gruppo Speciale Beni e Servizi in Roma della Guardia di Finanza, solo pochi giorni fa, per dare il via a un’azione di tutela del copyright come raramente ne sono state sferrate nel nostro paese. Anche perché i possibili capi d’imputazione sono svariati. È proprio l’Avv.to Faraone a confermarlo: «La lista dei reati è molto lunga, ma in breve va dalla violazione del DMCA (Digital Millenium Copyright Act), al furto, frode, appropriazione indebita, trasporto illegale oltre confine di proprietà rubate, falsificazione, contraffazione, fino alla questione delle oscenità ai minori e i siti pedo-pornografici. In breve, se dichiarati colpevoli nella causa civile, chi condannato rischia di pagare centinaia di milioni di dollari di danni. Ma dal punto di vista penale (noi abbiamo riportato tutte le prove al Department of Justice) parliamo del carcere a vita se una giuria federale fosse preposta a tal fine, con un minimo di 10 anni».
Tutte le ultime novità
Ma qual è la causa scatenante di una tale sequela di reati? Si torna di nuovo lì, a un servizio come CB01, che nel frattempo è raggiungibile a un nuovo indirizzo dopo che il precedente, come volevasi dimostrare, è stato chiuso. Una volta qui, basta cliccare sul film desiderato per accedere alla relativa scheda, dove si trovano i link da cui guardarlo via streaming o scaricarlo. I link sono molteplici e gestiti da domini web totalmente diversi tra loro. Di base, non si tratta di servizi a pagamento, fatto salvo varie offerte opzionalmente sottoscrivibili, che permettono di accedere ad altri contenuti (per esempio libri digitali e videogame) o altre tipologie di film. In questi casi, si ha accesso a servizi dotati anche di assistenza telefonica 24 su 24, 7 giorni su 7. Il business principale di questa forma di pirateria, in realtà, si basa sui grandi numeri. Grandi quantità di traffico che generano visite a pagine web dotate di numerose pubblicità. Ogni clic, una piccolissima frazione di euro nelle casse dei pirati.
Prima di iniziare la visione di un film, infatti, si passa per banner, finestre pubblicitarie e offerte di ogni tipo, e solo facendo attenzione si esce da questo mini-labirinto di offerte e si arriva al contenuto desiderato (e illegale). In caso contrario, si rischia di accettare qualche offerta promozionale, su cui il servizio pirata, ovviamente, prende una percentuale. Nella nostra esperienza, che si è bloccata giusto un attimo prima dello streaming illegale, abbiamo avuto a che fare con un sito di abbigliamento, uno di offerte di voli low-cost, e un altro di notizie di gossip a pagamento. Resta il fatto, oggettivo, che alla fine della peregrinazione si arriva per davvero a film presenti nelle sale. Al punto che viene da chiedersi come, questi contenuti, possano passare dall’industria che li produce e vorrebbe tutelarli, a servizi di streaming e download pirata.
Lo studio di periti informatici che lavora gomito a gomito con lo studio Bernardini de Pace, contattato a tal proposito, è chiaro e diretto: «Dall’analisi dei servers, una volta ottenuto il sequestro dalla corte statunitense, sarà possibile scoprire tutto, incluso da quali computer sono stati effettuati gli upload di tutti i films, che per logica arrivano da quelle stesse reti usate per mandare in stampa i supporti digitali. A meno che si non voglia supporre che qualcuno ha acquistato (comunque prima della messa in commercio) oltre 150,000 DVD, Bluray o 4K e ha passato gli ultimi 50 anni a creare una decina di formati per ciascun titolo, incluso BluRay 1:1 e Full4K per poi metterli online. Ma come abbiamo scritto, una volta arrivati in corte tutto salterà fuori. Ecco perché’ è fondamentale la partecipazione di più compagnie dell’entertainment possibile».
C’è, dunque, connivenza tra industria dell’intrattenimento e pirateria? Probabilmente no, mentre è più plausibile che, all’interno del settore, ci siano “ganci” pronti ad arrotondare lo stipendio passando le copie originali da infilare, poi, nel circuito pirata. In quest’ottica, la Legge, per quanto cerchi di aggiornarsi alle nuove tecnologie e alle nuove forme di criminalità, può davvero poco. È essenziale, piuttosto, che l’industria dell’intrattenimento si coalizzi, grazie a class action come questa, per portare il più avanti possibile investigazioni serie ed approfondite, e arrivare ai responsabili.