Nel corso degli anni i videogiochi sono passati dalla pixel-art bidimensionale a una modellazione 3D ricca e complessa. Questo processo evolutivo, tuttora in corso, sta modificando in modo radicale l’arte del character design. Il lavoro che un tempo richiedeva grande creatività, oggi sta diventando sempre meno fantasioso, complice l’abuso delle tecnologie che permettono di ricreare in modo fedele i lineamenti e la mimica dei volti reali. Che senso ha sbattersi per creare il volto perfetto per il protagonista del proprio gioco, quando con il giusto investimento economico si può ingaggiare un attore famoso, garantendosi al tempo stesso una notevole pubblicità? In un mercato in cui i numeri registrati dalle prenotazioni tengono in piedi l’intero modello economico (un sistema in precario equilibrio e sull’orlo del collasso), la scelta di affidarsi agli attori sulla cresta dell’onda è quella più redditizia a livello di marketing. Un volto noto, stimato e rassicurante, basta per dare agli indecisi la spintarella per cadere nella trappola della prenotazione a scatola chiusa. Non che in passato le case produttrici agissero diversamente. Molti anni fa le illustrazioni di copertina non rispecchiavano nulla dei giochi a cui erano associate, avendo l’unico obiettivo di attirare l’attenzione tra gli altri titoli in vendita sullo scaffale.
Blocco creativo
Fra i titoli che più di ogni altro soffrono la flessione qualitativa del character design ci sono senza alcun dubbio i giochi di combattimento. Cosa è successo nei circa trent’anni di evoluzione del genere? Abbiamo provato a parlarne con alcune persone che di arte e design ne sanno qualcosina: Lorenzo “LRNZ” Ceccotti e Giacomo “Keison” Bevilacqua. “Il genere dei picchiaduro si basa su azioni e reazioni da parte dei giocatori alle azioni del rispettivo avversario, quindi è interessante il fatto che i personaggi SONO l’interfaccia del gioco. Fanno parte dell’interfaccia di gioco come in nessun altro genere”, spiega LRNZ. Alla luce di questa considerazione Lorenzo ricorda l’importanza, nei giochi di combattimento, di avere un design in grado di far capire subito al giocatore le caratteristiche di ogni personaggio. “La mia avventura nel mondo dei giochi di combattimento nasce proprio alle origini con Yie Ar Kung-Fu, della Konami, un picchiaduro a incontri non dissimile da Street Fighter come idea di base, con un personaggio che incontra altri lottatori caratterizzati da un aspetto fisico e da uno stile di combattimento estremamente chiari e definiti. Quello che mi colpisce di Yie Ar Kung-Fu, ma anche del primo Street Fighter, è che l’aspetto dei personaggi su schermo era fondamentale per comunicare subito almeno il 50/60% delle informazioni su come affrontare quel dato avversario”. Giacomo Bevilacqua si concentra invece sull’impatto dirompente dei design più asciutti. “Da ragazzo ero innamorato della semplicità totale con cui i personaggi erano realizzati”, racconta il fumettista. “Era più semplice l’approccio al character design, perché più toglievi, più avevi un personaggio asciutto che paradossalmente raccontava molte cose al solo guardarlo. Il roster originale di Street Fighter era stato creato andando a togliere. Erano secchi, così come li vedevi, e raccontavano già una storia che lasciava intendere benissimo il loro carattere e molti altri dettagli. Da lì non si può togliere altro. Togli i pantaloni a Fei Long? Hanno quindi dovuto iniziare ad aggiungere. Aggiungendo, appesantisci e appesantendo hai un gioco diverso, anche visivamente”.
Do it yourself
Rimanendo ancorati al genere dei giochi di combattimento, nei titoli con grafica 3D si andata a consolidare la tradizione di permettere ai giocatori di modificare l’aspetto dei lottatori. È una pratica che, col tempo, ha convinto gli sviluppatori a risparmiare sul design predefinito per concentrarsi sulla realizzazione di accessori più o meno pacchiani con cui dare sfogo al proprio gusto personale. “In Tekken ormai puoi mettere i vasi di fiori in testa alla gente”, sottolinea Bevilacqua. “Sono rimasti i personaggi caratterizzati da una serie di mosse. Il resto è completamente personalizzabile. Questo garantisce un’esperienza diversa, ma per quanto mi riguarda ha rovinato l’atmosfera”. L’idea della personalizzazione nasce per permettere a tutti di creare il proprio design ideale, fregandosene del lavoro fatto a monte dai responsabili dei personaggi. L’altra faccia della medaglia della personalizzazione è quella dei costumi alternativi, su cui la saga di Dead or Alive e di Street Fighter stanno puntando con decisione. In merito a quest’argomento abbiamo consultato Fabio Capone, CEO e Art Director del Naps Team, che ha fatto un’osservazione interessante: “è certamente più semplice cambiare l’outfit di un personaggio che crearne di nuovi e interessanti. Non è che io sia contrario”, ha sottolineato Fabio, “ma sarebbe meglio spendere il proprio tempo e denaro nella produzione di personaggi diversi che arricchiscano il gameplay, invece che creare 100 costumi fini a se stessi”.
Benvenuti a Hollywood
La pigrizia nella creazione dei personaggi, tuttavia, non ha investito solo i giochi di combattimento. Nei titoli con grafica 3D, di qualunque genere, è infatti sempre più diffusa la realizzazione di eroi con le fattezze di attori famosi. Non è certo una strategia recente, ma ultimamente la frequenza con cui i miti del grande schermo invadono i mondi virtuali è aumentata in modo preoccupante. A differenza di quanto accade nel cinema, dove i personaggi sono normalmente interpretati da un attore e dove le scelte a disposizione di chi si occupa del casting sono limitate, nei videogiochi le possibilità sono infinite. Invece di godere della libertà creativa concessa dall’assenza di legami con i personaggi reali, per motivi di marketing ultimamente si tende a vincolarsi spesso ai volti più in voga del momento. La strategia di tranquillizzare sempre e comunque gli utenti finali, in questo caso affiancandogli uno o più personaggi che stimano o apprezzano nella vita reale, sta creando una grottesca dipendenza che rischia di lasciare il segno. Durante l’ultima edizione dell’E3, per esempio, il gioco degli Avengers è stato criticato perché i supereroi non hanno il look definito nel Marvel Cinematic Universe, ma sono basati sui fumetti. Dopo anni di Robert Downey Jr, Chris Evans e compagnia bella, tornare a una caratterizzazione diversa ha destabilizzato chi per anni è stato legato all’immaginario cinematografico, facendogli dimenticare che le origini dei personaggi Marvel sono ben altre. Quando si tenta di affrontare questo argomento, molti si trincerano dietro alla necessità di garantire ai personaggi una mimica realistica grazie al motion capture del volto. Tale tecnica, tuttavia, non richiede che il personaggio abbia il viso dell’attore anche nella sua versione finale. Una volta registrati i movimenti, basta modellare il volto in modo diverso per non rinunciare alla creatività. Non a caso, un caratterista del calibro di Andy Serkis ha aperto da anni il proprio studio per dedicarsi alla componente recitativa dei personaggi virtuali (come Gollum, King Kong e molti altri).
Life happens
L’uso degli attori porta con sé una serie di problemi da non sottovalutare. Quando si associa il nome di un prodotto a un personaggio famoso, il rischio di essere travolti da eventuali scandali è dietro l’angolo. Nel recente Judgment di SEGA il volto del personaggio di Kyohei Hamura, originariamente modellato sulle fattezze di Pierre Taki, è stato modificato in seguito alla condanna dell’attore per l’uso di droghe. Quando Kevin Spacey è stato accusato di molestie sessuali nei confronti di un minorenne, il mondo del cinema si è affrettato a prendere le distanze dall’attore, revocandogli i premi vinti in anni di carriera e allontanandolo dai progetti lavorativi in cui era coinvolto. L’attore aveva prestato il volto a un personaggio chiave di Call of Duty Advanced Warfare, uscito tempo prima. Activision non apportò modifiche al gioco, ma l’atmosfera era tale da far circolare con insistenza una fake news secondo cui la compagnia avrebbe sostituito Spacey con il più “family friendly” Tom Hanks. Il fatto che una bufala del genere abbia ingannato un gran numero di persone, permette di capire quanto possano essere fragili e vulnerabili gli accordi di questo tipo.
Esempi da seguire
Tutto questo, ovviamente, non vuol dire che gli attori famosi non debbano più essere inseriti nei videogiochi. L’apparizione di un volto noto ha perfettamente senso, se giustificata. La scelta di Keanu Reeves per l’interpretazione di Johnny Silverhand in Cyberpunk 2077 è un ottimo esempio di un uso virtuoso di questa strategia. Oltre a garantire un notevole aumento delle vendite grazie alla popolarità dell’attore, infatti, la presenza del buon Keanu stuzzica la nostalgia degli appassionati di cinema cyberpunk, grazie alle performance dell’attore in diverse pietre miliari del genere. Un altro caso ben studiato è quello di Shang Tsung in Mortal Kombat 11, per il quale è stato scelto lo stesso attore che interpretò il personaggio nel film di Mortal Kombat del 1995, con tanto di citazioni dedicate agli appassionati. Le collaborazioni con gli attori reali e la creazione di personaggi originali possono quindi convivere senza problemi, a patto di non rinunciare mai alla creatività per motivi discutibili.