Nove anni dopo il primo colpo di piccone, ha inaugurato ieri in via di Settebagni, nell’estrema periferia nord-est di Roma, il primo Tempio italiano della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. Con 4.000 metri quadri, 3 piani e un complesso di 6 ettari attorno (centro culturale, foresteria, parco) è il più grande d’Europa. Siamo andati a visitarlo in anteprima per voi se, per non andarci di persona, nel mese e mezzo in cui resterà aperto al pubblico, trovaste una scusa migliore di essere rimasti bloccati dalle preoccupazioni del mondo o nel traffico del G.R.A.
A metà marzo 2019, il Tempio sarà definitivamente chiuso ai non adepti ai lavori, anche se parti della struttura, come la biblioteca genealogica, resteranno a libero accesso. Il che, però, è come dirvi che, entrati nel parco giochi di una festa patronale, potete fare giri gratis a vita sul Brucomela, senza però poter mai mettere piede sul Tagadà, che sarà trasformato per l’eternità in un cilindro chiuso alto 50 metri, da cui vedrete uscire regolarmente frotte di gente estasiata, sebbene un poco stordita.
Se decideste di visitare il Tempio, per assicurarvi l’esperienza più completa, vi invitiamo a raggiungerlo nel modo più scomodo, come una prova iniziatica: a piedi, dal centro commerciale Porta di Roma. Prima attraversate indenni (se possibile) un sottopassaggio autostradale tortuoso e non del tutto protetto (a simboleggiare una vita terrena vissuta pericolosamente); poi lasciatevi alle spalle i saldi di Decathlon e la speranza di ritrovare la strada per il capolinea dell’80 (metafora della totale fiducia nei mezzi celesti); infine salutate come un miracolo la vista delle guglie luminescenti che hanno ridisegnato lo skyline di Casal Boccone. Solo così il concetto di piano di salvezza, centrale nella fede dei nostri nuovi amici, assumerà, anche nell’animo meno credulone, tutto un altro sapore.
Viste di persona, le vetrate del Tempio di Roma sembrano più ipersaturate che su Instagram e la tromba dell’angelo Moroni, rivolta verso Roma Est, ad annunciare il Vangelo, ancora più dorata. Tutto sembra photoshoppato, ma in senso buono.
L’esterno del Tempio non ricorda nessun periodo della storia dell’architettura religiosa in particolare, come accade invece con il gotico random di Salt Lake City o il neo-neo-neoclassicismo di Philadelphia. Se, nel progettare il Tempio di Roma, gli architetti si fossero davvero ispirati al San Carlino o al Sant’Ivo di Borromini, come dichiarato in un momento di esaltazione, forse sarebbe il caso di fare due chiacchiere con Paolo Portoghesi. Se, invece, volevano farlo somigliare a due cattedrali, con tanto di rispettivi campanili, unite per le absidi come gemelle siamesi; o a due astronavi aliene che si esibiscono in una meiosi, ecco, hanno fatto un capolavoro. Niente avrebbe potuto simboleggiare meglio l’indissolubilità di bellezza materiale e bellezza divina, per i mormoni, come un Tempio frutto di uno scontro in retromarcia tra un municipio bavarese e una chiesa metodista. Quello che uno storico dell’architettura italiano chiamerebbe in un modo, probabilmente, irriferibile, infatti, un mormone chiama il paradiso in anteprima.
All’ingresso ci accoglie Fratello Raimondo Castellani, un uomo non più giovane, alto e premuroso, che emana serenità, pace interiore e sicurezza in se stesso con la stessa intensità con cui un trapper ostenta macchine, orologi e donne altrui. È una delle persone di madrelingua italiana più gentili che abbiamo mai conosciuto ed è il nostro Virgilio mormone, che immediatamente ci abbraccia, scusandosi per l’attesa di pochi minuti e indicandoci dei copriscarpa aeroportuali che chiama, mettendo subito in chiaro di essere un professionista della comunicazione, calzari bianchi. Non è un rituale ma una precauzione necessaria, perché dentro non troveremo un centimetro quadrato che non sia coperto di moquette color crema o marmi intarsiati.
La prima cosa che colpisce, entrando nel cuore del Tempio, è che non è perlopiù vuoto, come tutti gli altri luoghi di culto che conosciamo, ma è fatto di tanti piccoli ambienti diversi, disposti su più livelli e concatenati tra di loro. Non è scenografia ma è struttura. Se la pianta di una chiesa cattolica a croce latina simboleggia la nave da cui Gesù salva gli apostoli, questa è decisamente una Costa Crociere, in cui gli apostoli hanno una cabina di prima classe con trattamento tutto incluso.
Per una religione che vieta di fatto alcol, tabacco, tè, caffè e droghe è confortante pensare che l’unica forma di dipendenza concessa sia quella dalla comodità. Non esiste che un mormone stia seduto sacrificato. In questo sono il contrario esatto del cattolicesimo, almeno delle origini, per cui gli ultimi saranno i primi e più siamo e meglio stiamo, anche se uno sopra l’altro. Non ci sono croci nei loro Templi, perché per loro la comunicazione deve essere tutta in positivo e Gesù sarà sempre più trionfante che sofferente.
A questo punto, due o tre nozioni di dottrina religiosa potrebbero tornare utili. Innanzitutto, in un Tempio mormone non si viene ogni domenica, per riunioni di comunità (quello lo si fa nelle cappelle/palestra/centro congressi adiacenti), ma lo si frequenta, invece, principalmente per quattro motivi.
1) Stare bene con se stessi e col Padre Celeste, lontano dalle tribolazioni, seduti compostamente ma molto confortevolmente su divanoni dotati di porta-Kleenex placcati oro, alla luce di lampadari in vetro di Murano alti e costosi come villette monofamiliari, con formula all-you-can-pray.
2) Partecipare a riti sacri come ordinanze, investiture o altre forme di impegni con Dio, come unirsi in matrimonio (suggellamento) con altri fedeli.
3) Ripetere — e qui la faccenda si complica — i riti del punto 2 per antenati trapassati, che non avessero avuto la fortuna di accedere in tempo utile alla Chiesa in questione, anche se ancora da battezzare (per procura).
4) Per farla semplice: in altre parole, tutto è così morbido, luccicante e lussuoso che, a patto di essere in regola con il pagamento volontario del 10% dei propri introiti alla Chiesa e negativi all’alcol test, ogni scusa è buona per tornare.
Ci sono tele, arazzi, statue ovunque. Astenersi critici d’arte o interior designer: questo è un luogo costruito intorno al senso estetico di persone semplici o nordamericane. Lo stile è per metà Casa Bianca / Rotary Club e per metà albergone emiratino. Tutto emana profumo di nuovo, playlist Pure focus di Apple Music e materialismo spirituale, che non è un paradosso nella mente e nelle azioni di chi crede che si possa essere Santi già in Terra. Il loro Tempio è una metafora calpestabile dell’aldilà in cui credono e non c’è spazio per estasi o tormenti: la rivelazione su come funziona il mondo e l’oltretomba arriva seduti nella Sala delle Ordinanze, pochi per volta, con posti numerati, agevolata da un proiettore 4K (se siete particolarmente curiosi, di questa cura Ludovico dolce e bene accetta, su YouTube, girano alcuni video bootleg).
Alcuni ambienti notevoli.
Il fonte battesimale. Un battesimo per procura che si rispetti avviene in uno spettacolare bacino sorretto da 12 buoi in marmo a grandezza naturale, simboleggianti le 12 tribù di Israele. Come Gesù Cristo ha sofferto per tutta l’umanità, così i Santi degli Ultimi giorni possono immergersi completamente in una specie di Jacuzzi priva di idromassaggio, per conto dei loro antenati. Qui non basta più il cinema, siamo nella realtà virtuale divina. Qui i Dias de los Muertos durano tutto l’anno.
Gli spogliatoi. Prima di fare questo, proprio come in una spa, ci si spoglia dei propri abiti e si indossano delle tuniche bianche, simbolo di purezza e di uguaglianza davanti a Dio. L’elettronica resta qui, al netto di eventuali orologi con movimento meccanico automatico.
Gli uffici. Il Presidente del Tempio, la sua consorte (la matrona), il suo segretario (lo scrivano), hanno tutti un loro ufficio al piano terra. I vari inquadramenti rappresentano, su questo pianeta, la grandezza della burocrazia iperurania: senza computer, senza file e con le poltrone executive in pelle sia da una parte che dall’altra della scrivania.
(Tra le sale, ogni volta che facciamo commenti simpatici o mostriamo di aver capito qualcosa, Raimondo si sente costretto dalla sua bontà d’animo, anche se si trova dalla parte opposta della stanza, a venirci vicino e ad abbracciarci. Progressivamente, limitiamo le battute di spirito alle occasioni essenziali, se non altro perché, data la vastità degli spazi, non vogliamo farlo stancare).
La Sala del Suggellamento presenta una chicca: un inginocchiatoio a più posti, formato famiglia. Di norma, qui un uomo e una donna si inginocchiano l’uno di fronte all’altra e si uniscono per l’eternità, al cospetto del sacerdote suggellatore. Però, se ci si sposa religiosamente già con figli a carico, anche loro vengono suggellati. Di qui i cuscini surround. Da una parte all’altra della stanza, si fronteggiano due specchi, che moltiplicano in eterno le immagini riflesse di infiniti noi, come direbbe Raf.
Entrando nella Sala Celeste, il momento culminante della visita, Raimondo ci chiede di sedere e meditare per qualche minuto. Fa niente se siamo scettici o non credenti. Ebbene, dopo qualche minuto di meditazione sentiamo l’enorme lampadario muoversi, anche senza finestre aperte, anche se non ci sono affatto finestre. La reazione geniale di Raimondo, che alza le braccia, all’uscita, davanti al nostro sbalordimento, ci fa capire che non è solo uno molto bravo a fare il suo mestiere, ma è anche uno di noi: ”Sei stato tu a sentirlo muoversi”.
I mormoni credono che i loro Templi siano una prefigurazione di ciò che Dio ha preparato per loro. Un posto bello, pulito e ordinato oltre il casino che è la vita. Forse, per questo, tanto più utile a Casal Boccone che a Salt Lake City, anche se non possiamo sapere con certezza se, nel West contemporaneo, a livello psicologico stiano tanto meglio di come siamo messi noi a livello di degrado urbano.
Ma poi, passeggiando nel loro giardino di essenze mediterranee, con tanto di ulivi secolari di riporto e pini marittimi, anche se è ormai sera tardi, ti arriva l’illuminazione: forse non ha molto senso sforzarsi di capire se i mormoni ci sono o ci fanno.
Comunque stiano le cose per loro, intimamente, che credano o no in tutto quello in cui dicono di credere, di base i mormoni ci trollano tutti, fosse anche inconsapevolmente, ma non per questo con meno efficacia. La loro missione sottaciuta è mostrarci per assurdo, col sacrificio estremo di rischiare di passare, nella migliore delle ipotesi, per degli zuzzurelloni un po’ pacchiani, quanto siano ugualmente assurde, se prese alla lettera, tutte le altre dottrine religiose. Le quali, solo perché non sono state fondate da un ragazzino americano dell’800 che avrebbe scritto un’altra Bibbia sotto la dettatura di un angelo italian sounding, non è detto che siano meno assurde.
Certo, i mormoni fanno anche delle scelte che ti fanno un po’ salire l’angoscia. Come la selfie-room di Roma, in cui, a qualunque ora del giorno e della notte, puoi trovare sempre lo sfondo trompe-l’œil col Tempio e l’angolazione e la luce giuste per scattarti una foto perfetta. Eppure, tornando a casa, ti viene in mente che la loro caratteristica migliore è che sono così sicuri e determinati, in quello che fanno, che, accogliendoti, non ti chiedono di lasciare nel parcheggio il tuo senso dell’umorismo. Ti dicono anzi di prendere un po’ di dubbi da asporto, e finisci per sperare che lo stesso spirito critico che applicherai alle loro stramberie, potrebbe essere quello che, un altro giorno, applicherai a quelle in cui sei cresciuto o che ti governano.