AP: Sai qual è il motore di tutte le cose? La noia. Mica l’avidità, il potere, il desiderio, lo spirito animale. No. Quello viene dopo semmai. Prima viene la noia. Mi pareva molto promettente la storiella del tuo amico Guè che stava così sotto con OnlyFans da spenderci più di 5000 euro al mese, al punto che il commercialista pensava che lo stessero fregando con la carta di credito. Per capire meglio sono andato a guardarmi il podcast Growing Up Italians, una di quelle interviste lunghissime a vip internazionali tali o presunti di cui si nutre avidamente la Rete, fatta da due simpatici ragazzoni italoamericani di Brooklyn. A un certo punto Guè in inglese spericolato spiegava il perché: «Sei ubriaco alle 4 mattino e sei solo». Diceva anche che la sua perversione maggiore era quella di parlare tramite OnlyFans con ragazze che lui conosceva di persona senza che loro lo sapessero. Il potere erotico della mascherata, una roba mozartiana. E poi: “The real deal… you’ve to pay”, perchè senti a me bro, non si trova tutto su Telegram, Tik Tok, nemmeno negli anfratti di Google, per le cose buone devi pagare. E faceva vedere la camicia: «È seta, mica plastica». L’ho guardata fino in fondo, c’era almeno un volume o due sulle perversioni emotive del nuovo capitalismo. Sesso, solitudine, soldi, noia.
GR: Sembrano passati secoli dal “non m’annoio io no che non m’annoio” del Jova: “Se riuscirai a sopravvivere lontano dal branco/Non c’è mai noia non sarai mai stanco”. A segnare la distanza basti il manifesto di Tha Supreme, No14: “Ma cosa fate oggi? Io mi annoio/Io mi finisco tutta la serie oppure dormo”. Pensa che su Tik Tok è tornato virale un vecchio sketch dei nostri amici Nongio e Biggio, i Soliti Idioti degli inizi a Mtv: ci sono Patrick e Alexio, duo proto maranza che, Gazzetta dello Sport aperta e sfondo di palazzoni, passano il pomeriggio a fissare le pagine dicendo solo «Minchia, il Milan». Lo sketch potrebbe durare all’infinito, esattamente come possono durare all’infinito i podcast di puro cazzeggio, dove l’intervistatore e uno noto vanno avanti per ore con l’idea che alla fine ci sarà una rivelazione. Praticamente sono una puntata di Belve della Fagnani senza montaggio. Ti metti lì ad ascoltare e speri di vedere a un certo punto il gatto spiaccicato in autostrada, attendi che una miccia con un filo lunghissimo e noioso alla fine esploda in una polemica, una rivelazione gossippara. Però, c’è un però. Un mio collega di Sky mi diceva che i ragazzetti le partite di calcio non se le guardano più intere, è roba da boomer, loro cercano solo gli highlights su Youtube. Quindi non ti vedi una semifinale di Champions ma ti ascolti un’ora e un quarto di Growing Up Italians e sta lì aspettando di dire ogni tot «Minchia, il Guè». Del resto si va caccia di content, più o meno trash, e i veri creatori di content oggi sono solo rapper e influencer. Una bella partita di calcio non è un content, lo sa bene Fabrizio Corona che si occupa di gossip e scandali, come quelli che oggi inguaiano Zaniolo e Fagioli. Due talmente annoiati dal non potersi vedere le sintesi delle partite, visto che le giocano, da scommettere direttamente dalla panchina.
AP: Ho il cuore tenero: la noia di Zaniolo e di Guè un po’ mi fanno pena. Però due parole tra noi sulla messinscena di queste storie dovremmo pure dircela. Nessuno può sapere che cosa fa ascolto e che cosa non lo fa, specie oggi che assistiamo al crollo di Telemeloni con Pino Insegno e Nunzia De Girolamo nella melma del 2-3%. Ma il podcast con Guè durava appunto un’ora e 18 minuti, in una stanza bianchiccia di hotel di fronte a un tavolo imbandito male, con due telecamere, microfoni in mano e un sacco di gente che parlava fuori campo. Tutta roba che neanche tanto tempo fa avremmo liquidato come invedibile. Difatti. Quanto al calcioscommesse, la presenza di Fabrizio Corona nell’operazione rende il tutto più ridicolo e cialtrone di una puntata di Striscia la notizia coi bip-bip e popi-popi. Al confronto il calcioscommesse dell’82 è un film di Sergio Leone. Dice un mio amico che la tv è ferma all’800. Ha ragione, è tutto una pochade, un teatrino dei pupi, il ‘900 ancora non l’ha sfiorata, nemmeno Ibsen. Ma di fronte alla perversione della Rete non c’è competizione. E questo avremmo dovuto già saperlo noi, quando come giocatori di poker aprivamo le prime foto porno col modem a 56k. Avremmo dovuto lanciare l’allarme. E perché non l’abbiamo fatto? Perché eravamo soli, qualcuno ubriaco. Per noia. Bah, cosa vado a pensare.
GR: Dai Picci che oggi, pacificati dal boomerismo, una politica attiva per resistere alla noia l’abbiamo trovata. Il drone continuo, quei concerti alla Kali Malone con massimo due note suonate in loop per un’ora e passa, o se vuoi la forma più colta, il Deep Listening di Pauline Oliveros, quasi una forma di meditazione. Perché il continuum del drone ammazza la noia, la scavalca a sinistra, è un po’ il reddito di cittadinanza degli annoiati, il divertimento minimo, minimalista. Fantastico, a metà concerto puoi anche dormire. E sognare che i giornali del giorno dopo non escano, soprattutto ora che la guerra è diventata affare di haters.
AP: A proposito, di Israele e Palestina non capisco cosa si possa dire di nuovo, di diverso, di tanto scandaloso, più scandaloso di quanto non sia già la situazione. Trovo ridicola la chiamata alle armi della destra, del Foglio e del Giornale, fuori tempo massimo, deja vu, anzi una vergogna proprio. Quindi non posso che dare solidarietà a Patrick Zaki e a Mia Khalifa. Zaki dopo aver detto che Netanyahu è un serial killer viene messo all’indice dalla tv e dai festival letterari. Mia dopo aver scritto su X che le immagini di Hamas sono un «quadro rinascimentale» e l’hanno allontanata da Playboy. Esagerava ok, e immagino continuerà a vivere benissimo vendendo roba su OnlyFans, sempre per la nostra noia.