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Il punto sulla droga in Italia

Una legge (ora abrogata) ha riempito le carceri di spacciatori, la produzione di cannabis terapeutica fatica a partire e parlare di legalizzazione è ancora un miraggio

Rovigo. Il Crea (Centro di Ricerca per le Colture Industriali)  l'unico centro italiano dove vengono studiate e selezionate le varietˆ di cannabis per uso medicinale. Nella foto il dottor Gianpaolo Grassi nell' ambiente dove crescono le talee che una volta pronte verranno inviate allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze per la produzione di cannabis per uso medicinale: Crediti: Giampaolo Brancolini

Rovigo. Il Crea (Centro di Ricerca per le Colture Industriali)  l'unico centro italiano dove vengono studiate e selezionate le varietˆ di cannabis per uso medicinale. Nella foto il dottor Gianpaolo Grassi nell' ambiente dove crescono le talee che una volta pronte verranno inviate allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze per la produzione di cannabis per uso medicinale: Crediti: Giampaolo Brancolini

Nell’ultimo Libro Bianco sulla Legge sulle Droghe, pubblicato nel 2015 dalla onlus Società della Ragione, si legge che sui quasi 54mila detenuti italiani (censimento a dicembre 2014) circa 18mila sono in galera per reati relativi alla detenzione di sostanze stupefacenti. Il 34% Ancora non si sa quali siano stati gli effetti della recente abrogazione della legge Fini-Giovanardi, definita incostituzionale. Quando venne approvata quella legge – che annullava la differenza tra droghe leggere e pesanti e inaspriva le pene per chi veniva trovato in possesso di stupefacenti – le conseguenze sul medio termine portarono a una sovraffollamento delle carceri con conseguente crollo delle condizioni di vita della “popolazione carceraria” (il termine tecnico). I vari osservatori sui diritti umani indagano anche su aspetti come questi per calcolare il tasso di civiltà di un Paese e l’Italia non è stata immune da critiche. Ad aprile 2016 il Governo ha annunciato una prossima riforma carceraria.

Del resto, spesso chi finisce in carcere per reati relativi alle droghe sono i “pesci piccoli”. Lo spacciatore sotto casa è solo il penultimo anello della catena e finisce nei guai più facilmente perché è sacrificabile. Ci sarà sempre un altro disperato da raccattare per la strada, mentre il precedente finisce in galera. Fino all’abrogazione della legge, lo spacciatore di cannabis rischiava sei anni.

Quando l’allora presidente della Puglia Nichi Vendola avviò, nel 2010, una regolamentazione per l’uso della marijuana a scopo terapeutico, il tono delle varie destre non fu tanto diverso da quello usato nella recente discussione sulle Unioni Civili: un dibattito svilente che ha avuto l’unica conseguenza di polarizzare le diverse parti politiche in fazioni di tifosi. In questi giorni, inoltre, un candidato sindaco a Roma ha affermato che suo figlio è uscito dal coma perché «non ha mai fatto uso di cannabis» – era Alfio Marchini, quello vero. Pochi si preoccupano di quanto possa risultare ridicola un’uscita come questa. Il punto, però, è sensibile. Nel 2014 i ministeri di Salute e Difesa hanno approvato l’uso di cannabis a scopo terapeutico, e la possibilità di produrla in Italia – se ne occuperà lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze. Prima di questo passaggio, l’iter consentito per l’acquisto di questi farmaci prevedeva un procedimento lunghissimo. Bisognava prima trovare un medico che conoscesse la sostanza, poi fare richiesta al ministero e, solo allora, comprare il farmaco dalle aziende olandesi, che, però, avrebbero mandato il prodotto in capo a tre mesi. Inoltre, si poteva assistere a scene contraddittorie di pazienti (e a volte anche medici) costretti a comprare il prodotto dallo spacciatore più vicino. Adesso la situazione pare essere migliorata.

A ogni legislatura c’è chi deposita disegni di legge per la regolamentazione del consumo di cannabis. In quest’ultima, si segnala il disegno di legge C.3328, che permette il possesso fino a 15 grammi di marijuana in casa, fino a 5 fuori casa e la coltivazione personale di, al massimo, 5 piante. Il DDL, firmato tra gli altri da Benedetto Della Vedova e da Luigi Manconi, è più una mossa pubblicitaria che altro. Da un lato, perché i tempi e l’attuale conformazione del Parlamento non suggeriscono la possibilità di una discussione laica e serena. Dall’altro, perché è tecnicamente molto difficile che una semplice legge di iniziativa parlamentare diventi effettiva. L’iter legislativo prevede diversi passaggi di analisi nelle varie commissioni competenti (in questo caso: Giustizia e Affari Sociali con richiesta di parere di altre otto commissioni), l’analisi dell’aula e la votazione in Senato per poi passare alla Camera, dove l’approvazione di anche un solo emendamento fa tornare la legge in Senato. Senza considerare che la maggior parte delle leggi degli ultimi governi italiani sono state iniziative del Governo, spesso votate con la fiducia.

Il tema, però, prima o poi deve essere affrontato. Fosse anche per una questione culturale. Dopo l’abrogazione della Fini-Giovanardi, è tornata in vigore la legge Iervolino-Vassalli del 1990, corretta prima nel 1991 dalla Corte Costituzionale sulle norme per definire lo spaccio, poi nel 1993 dal referendum abrogativo dei Radicali di Marco Pannella, che tolse il carcere per il consumo personale. Sono trascorsi 26 anni, forse un po’ di acqua sotto i ponti è passata. Questa è una stagione politica particolare, in cui le vecchie cattedrali crollano e le nuove ancora non riescono a prendere forma. In un Paese in cui qualcuno mette ancora in dubbio l’efficacia dei vaccini, non stupisce che, per ogni studio scientifico citato a favore della legalizzazione, ne vengano esposti dieci di dubbia qualità fortemente contrari.

Forse, prima di tutto, ci vorrebbe una nuova battaglia di sensibilizzazione sulla laicità delle istituzioni e della legittimità di ogni discussione. Parlare di legalizzazione delle droghe leggere non vuol dire darla vinta a quattro fattoni che perdono tempo sulla panchina sotto casa, ma occuparsi di sanità, di criminalità organizzata, di diritti umani, e anche di vita nei quartieri delle città e di cultura giovanile. Un Parlamento che giura sulla Costituzione, e quindi giura di avere un approccio laico alla discussione, dovrà capire se sia il caso o meno di affrontare l’argomento fuori da ogni condizionamento ideologico, analizzando il problema nella sua complessità.
Intanto, mentre la politica decide se maturare o gettarsi nell’ennesima gara tra chi urla più forte il proprio slogan che promette di risolvere in modo semplice un problema ben più difficile, lo spacciatore sotto casa continua a vendere il suo fumo di dubbia provenienza a qualcuno che, per un motivo o per un altro, certo non smetterà di comprarlo perché glielo dice il primo leader con la ricetta pronta che passa di lì.

Questo articolo è stato pubblicato su Rolling Stone di giugno.
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