Giovanni Robertini: Il tormentone estivo “definitivo” c’è già, aspetta solo una base di Mark & Kremont, di Zef e Marz, oppure della nuova AI di Meta che può comporre una canzone direttamente da un testo. In questo caso si tratterebbe di un’omelia funebre, quelle che l’arcivescovo Mario Delpini ha scritto per Berlusconi. Breve intro strumentale, poi inizia così: “Vivere. Vivere e amare la vita. Vivere e desiderare una vita piena. Vivere e desiderare che la vita sia buona, bella per sé e per le persone care”. Bridge e ritornello: “Essere contento e amare le feste. Godere il bello della vita. Essere contento senza troppi pensieri e senza troppe inquietudini. Essere contento degli amici di una vita”. Forte, no? Forse un po’ troppe anafore anche per un pezzo pop, manco Vasco, manco Jovanotti. Come titolo sono indeciso tra Godere e Desiderio d’amore. Non voglio andare a fondo sul significato di questa predica quasi laica, senza citazioni delle sacre scritture, che lascia a dio ogni giudizio sull’uomo. Non per superficialità, ma perché so già che peccherei di moralismo, preferisco alzare il volume di Lambada di Paola & Chiara, e amen…
Alberto Piccinini: Mi pare di avertelo scritto in un messaggio l’altra settimana: con Paola e Chiara fino all’inferno. Pare passato un secolo lo so, ma adesso che abbiamo seppellito i nostri incubi di gioventù possiamo tornare a occuparci delle cose serie. L’altro sabato ero al gay pride vicino al primo carro del corteo di Roma: sopra c’erano Paola e Chiara che cantavano “vamos a bailar”, sotto c’era Elly Schlein che ballava “esta vida loca”. Cosa vuoi di più? Politicamente, intendo. Ho aspettato Lambada un mese intero e ho fatto benissimo. Tu prendi il Salento di Boomdabash con Takashi e Ketra, zarro come la masseria di Bruno Vespa, inutile come i cronisti di sinistra che si aggiravano col taccuino l’altro giorno a piazza del Duomo, triste come sa essere ferocemente triste l’estate, e mettici dentro un momento di consapevolezza estrema, un’illuminazione mistica consegnata alle voci di P. e C.: “Siamo qua con il fuoco negli occhi / aspettando le luci del mattino”. Cantano all’unisono, sospese nel vuoto come un’antifona di Hildegard Von Bingen, sole e annoiate come Elly e Mattarella al funerale di B. Già pronte, ho pensato, per un featuring con Caterina Barbieri, la nostra musa elettronica, il cui bellissimo Myuthafoo è uscito ieri (“the synthesizer equivalent of Franz Liszt or Sergei Rachmaninoff”, ha scritto Pitchfork). Il fuoco negli occhi è chiaramente la fiamma nel simbolo della Meloni, no? La luce del mattino verrà, prima o poi. Ma la consapevolezza è più profonda stavolta: “Nella notte che se ne va / tra le note di una lambada / che sapore ha la stessa storia / di un’estate fa”. È tutto già successo, tutto già visto, tutto ripete la stessa lambada, ci dice l’autrice dei versi Federica Abbate (credo sia lei). Eppure è da qui che dobbiamo ripartire.
GR: A proposito di laicità e tormentoni, sai già come la penso: siamo alla seconda sfornata di pezzi dell’estate, li ascolto con piacere, non “sospendo il giudizio” ma tocca prenderla con leggerezza e guardare con disincanto dai vetri di questo trenino di ritmi che ogni stagione fa tappa in tutte le stazioni della nostra distratta e instabile psiche. Per questo non sopporto solo i tormentoni che sembra che “ci credono”, che si prendono sul serio, la canzonetta finto colta e ammiccante, piena di citazioni vintage, come quelle credenze Ikea che copiano il design svedese anni ’50, e tu stai lì con la brugola in mano, sudato, che smadonni per l’ennesimo truciolo di legno che si spezza a metà nel buco, e ti chiedi solo perché ti sei fatto convincere a buttare la vecchia madia di nonna. Ecco, è l’effetto che mi fa il nuovo pezzo di Colapesce e Dimartino, Considera, lo puoi sentire allo scaffale 12 fila M: “Considera che tutto può finire / Lo sai che mi deprimo, ma con stile”. E poi giù con la consapevolezza – hanno detto che questo pezzo prosegue il loro “discorso sulla canzone pop esistenzialista“- e l’ironia mista a cinismo del video-gag che i due hanno girato prima della pubblicazione del singolo: “La gente non è stupida, se ne accorge che i singoli estivi sono uguali da troppi anni e non li ascolta più”. Ci mancava il meta tormentone? No, proprio no. Aridatece Baby K, va bene anche – verso le due di notte magari, dopo un paio di Montenegro al bar della pineta – nella versione chansonnier di Francesco Bianconi.
AP: Sono d’accordo. È precisamente quello che dicono Paola e Chiara: il tormentone, o è un’esperienza mistica, lisergica (un tormento persino, tipo Teresa D’Avila) oppure non è. Ma non basta. Nessuno ricorda mai che la lambada, cioè il primo tormentone, fu rubata dalla multinazionale discografica Cbs a un povero gruppo di musicisti andini (Los Kjarkas) coi poncho e i charango, la cui vendetta azteca-montezuma pende da allora su tutti noi, e pure su tutti i sogni di privè e Prada cantati (ancora) da Boomdabash, tutta roba che nutre il “demone nella pancia del paese” come dicono i nostri amici Antonelli e Guadagnino nel necrologio per B. Per questo a me l’arcivescovo Delfini non me la conta giusta. Vivere vivere amare vabbè d’accordo ma possibile che da qui a quando ti presenterai davanti a Dio non devi rendere conto di niente a nessuno oltre che a te stesso? Mi sbaglierò. Tutto mi sarei aspettato, ma un vescovo nietzschiano? O decisamente paraculo? Insomma, mi aggiravo pensieroso per casa meditando sull’arcivescovo e sul Salento quando mio figlio mi ha tirato fuori dall’impasse. I ragazzini sanno tutto. Hai sentito il nuovo Kid Yugi? Il rapper di Massafra (Taranto), la vera new wave pugliese no salento no tormentone no vacanze? “Non venite a ballare in Puglia / Massafra come Ruanda / Taranto a Sud come Atlanta”. Adorabile. Beats di Night Skinny. C’è anche il video.
GR: Forse questo è un lavoro inutile, forse dovremmo lasciare che di tormentoni si occupi solo l’algoritmo, non credi? A proposito di algoritmo il nostro comune amico Filippo mi ha fatto notare l’altro giorno un cartellone di un noto marchio di streetwear che pubblicizzava una capsule – sì, l’ho detto, capsule! – dedicata allo storico writer milanese Dumbo che per primo ha invaso la città con le sue tag e poi – ma questa storia meriterebbe un racconto a parte – è andato a vivere con bimbi e moglie in una country farm in Sardegna e produce oggetti di design esposti al Salone del Mobile, sempre a Milano. Ma sto divagando, il claim del cartellone è: “In strada nessun algoritmo”. Bello, no? Torniamo in strada, sfanculiamo l’algoritmo, dai! Mica facile però, parafrasando il Jova: “voglio andare in strada… la strada dov’è?”. Passo e chiudo.