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Adriano Bettinelli: amico di Mariah

Prima concorrente del talent di Canale 5, dove è tornato in veste di ballerino professionista. Poi l'America, a lavorare con grandi star. Come si passa da Maria a Mariah? Lo abbiamo chiesto a lui

Foto: Instagram

Incredibilmente, le vite di Maria De Filippi e di Mariah Carey si sono incrociate più volte. Nel 2002, la diva americana venne in italia per promuovere il suo brano di allora, Through The Rain. Il luogo prescelto fu la scuola di Canale 5, con i ragazzi che cantarono di fronte a Mariah una versione tradotta del brano. Momento che sicuramente Mariah non ricorderà, ma noi sì e ve lo linkiamo qui in una qualità video degna di un videoregistratore dell’epoca.

La vita poi fa dei giri incredibili, e quest’anno potremmo dire che le vite di Mariah e di Maria si sono incrociate di nuovo, anche se indirettamente. Merito di Adriano Bettinelli, ex studente della scuola di Canale 5 ma pure ex ballerino professionista del cast, scelto per far parte del corpo corpo di ballo della star. Se cercate su Internet i video dei concerti di Mariah, state certi che vedrete lui, sullo sfondo, che balla.

Prima di questa esperienza acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. Adriano ha ballato per X Factor, Sanremo, agli MTV EMA, poi con Pharrell Williams e Kylie Minogue. Ma da qualche tempo si è trasferito in America per fare il salto. Poi è arrivata una residency di Mariah a Las Vegas: c’è qualcosa di più tipicamente americano di così?

Quando chiacchieriamo si sta preparando per dei concerti in Brasile e in Cina. «In Italia ho lavorato tanto. Avevo una serie di obiettivi, c’erano tanti coreografi con cui avrei amato lavorare e l’ho fatto. Tommassini, Peparini, Laccio, per dirne tre. Solo che avevo anche questo pallino di andare in USA. Sto per dirti una frase da reality, lo so, ma ‘amo mettermi in gioco’. Così l’ho fatto», ci racconta ridendo al telefono. Da noi è pomeriggio, lui si è appena alzato: «Non accendo la cam, lo faccio per te».

Una scelta, quella di partire, maturata non senza perplessità: «Ho iniziato a pensarci seriamente nel 2018. Era un sogno che avevo un po’ messo da parte per via dell’età, avevo 30 anni suonati. Poi sai la vita, le cose che accadono, ho fatto il processo per il visto e sono venuto negli States ma senza alcuna sicurezza. Ho lasciato Roma, il mio ambiente, e ho ricominciato da capo. Non sono né il primo né l’ultimo ad aver fatto la scelta di cambiare continente, ma non nego che non sia stato semplicissimo. C’è molta gente brava, a LA ci sono i più forti del mondo. Ti scontri con una realtà super stimolante, che ti fa crescere, ma non è stata una cosa semplicissima. Devi ricostruire la tua rete, sia lavorativa che di amici. Puoi farlo solo se sei molto motivato, altrimenti dopo le prime difficoltà torni a casa».

Adriano però a casa non è tornato. Ha iniziato a lavorare: «Prima dei video con i Twenty One Pilots, poi con i Panic! At the Disco. Il videoclip che abbiamo fatto ha preso pure una nomination ai VMAs come migliore coreografia».

«Poi cose più o meno grandi, di nuovo con Kylie qui in America ma è stato un po’ diverso. La prima volta era in Europa a fare questo mini tour del lancio del singolo All The Lovers, stavolta ho lavorato al lancio di Padam Padam alla finale di American Idol».

Poi pubblicità e spot. «Uno, per un telefono, girato come se fossimo all’interno di un areoporto di Milano. In realtà stavamo in Uruguay».

Poi è arrivata Mariah. Come? «Come per tutte le cose, con un provino. Ma c’è stata una serie di circostanze assurde, quando pensi proprio che le cose devono andare così. In pratica mi avevano chiamato per un’esibizione agli Oscar. Bellissimo, figurati. Mi richiedono la disponibilità, è un po’ diverso rispetto all’Italia che ti dicono subito sì o no, qui ti richiedono la disponibilità, io dico “beh certo”. Nel frattempo erano usciti anche i provini per il corpo di ballo di Mariah, mi iscrivo ma va a finire che sia per gli Oscar che per Mariah mi ritrovo a dovermi presentare lo stesso giorno. Uno doveva saltare, e visto che con gli Oscar eravamo già andati avanti stavo per disdire l’appuntamento per il casting di Mariah. Poi mi arriva una mail che dice che l’esibizione agli Oscar era saltata per un taglio di budget. Per fortuna non avevo ancora disdetto di là. Sono andato, ho fatto due giorni di casting. Belli, molto stimolanti e pure faticosi. Abbiamo fatto due pezzi, uno più hip hop e uno più jazz. Durante la residency ripercorre oltre tren’anni di carriera, quindi c’è un sacco di roba su cui lavorare, dalle cose più 90’s a quelle recenti. Bisogna essere versatili».

Mentre parliamo, dicevamo, l’attenzione è tutta sui prossimi concerti che saranno in Cina e in Brasile (si sono svolti a settembre). A Rio De Janeiro, nel weekend, Mariah si è esibita in uno stadio sold out davanti a 50.000 persone:

«Quando lavori con lei percepisci proprio di stare di fronte a un’icona. Non lo dico tanto per, ha davvero una carriera incredibile. Ha un’aura potentissima, ma allo stesso tempo è molto autoironica. È una cosa che sappiamo noi che ci lavoriamo ma che percepiscono pure i fan, nel modo in cui si relaziona al pubblico. Poi ha una fan base pazzesca, c’è gente che si è vista lo show non so quante volte. Ballare sulla sua sua voce è una roba assurda».

Possibile pensare a un ritorno in patria dopo che lavori con grosse star? «Io amo l’Italia. Roma in particolare mi manca terribilmente, con tutti i problemi annessi. Penso che tornerò, ho intenzione di invecchiare a casa mia perché mi manca la famiglia, mi mancano i miei amici. Poi l’Italia mi ha dato molto. Se sto qua è perché ho potuto fare tanto anche lì. Però è innegabile che il mio ambiente sia tosto da noi, troppo. Qui si gioca un altro campionato, c’è un rispetto verso le professioni dello spettacolo che viene poi trasformato anche in corrispettivo economico adeguato. In Italia non è così, le bollette non le paghi con i post su Instagram. C’è un grosso problema con i lavori artistici, è sempre un po’ tutto alla buona, i ballerini non hanno tutele. Parlo anche di lavori grossi, con grandi produzioni. Paghe ridicole, e intendo veramente ridicole. A un certo punto dovrà cambiare qualcosa, bisogna che tutti quelli che fanno questo lavoro si rendano conto che è un lavoro, e che non bisogna accettare qualsiasi condizione per lavorare con un artista o con un coreografo importante. Il lavoro va rispettato. Penso che la storia che raccontano sempre, quella che “non ci stanno i soldi” non sia completamente vera. Vengono riversati in altri settori che si fanno rispettare un po’ di più. Noi facciamo anche orari assurdi, a volte lavoriamo 12 ore al giorno. Qui, per esempio, non esiste che non vengano pagati gli straordinari. C’è una serietà diversa. Io faccio otto ore, e se le prova finiscono alle 6 di pomeriggio, io alle 5.59 mi sto già sistemando lo zaino per uscire. In Italia a volte manco te lo chiedono se te ne devi andare e si aggiungono le ore così, automaticamente. C’è questa mentalità che devi sempre ringraziare perché stai lavorando. Io dico che invece il lavoro va rispettato, e che questo rispetto si traduce anche in maggiori compensi. Detto questo, tornerò».

Non subito però. Sta per arrivare ottobre, la Mariah season è alle porte. Com’è che si dice? It’s (almost) time…

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