Andrea Pezzi, già storico vj di MTV, per molti anni uno dei sorrisi più celebri del fu tubo catodico, da molto tempo sembrava essersi ritirato definitivamente dalle scene. Invece il 27 maggio si ripresenterà al pubblico – non su un set, ma su un palco – con uno spettacolo che porterà per la prima volta al Teatro Carcano di Milano e che si chiama Intelligenza naturale.
Per comprendere che cosa l’abbia spinto prima al ripiegamento nel privato e poi al ritorno nel pubblico, e perché proprio adesso, e perché il teatro, e perché quel titolo così ambizioso ed essenziale, bisogna riflettere sul percorso di questa strana creatura dalle origini romagnole e dagli obiettivi universali. Ma, anche così, a molte di queste domande resta complicato dare una risposta.
Il fatto è che non è facile capire Andrea Pezzi. Il suo sorriso disarmante in un attimo diventa serietà glaciale. Questa repentinità affascina e inquieta. Abbandonata sul più bello la carriera televisiva, dal 2006 Pezzi si è trasformato in imprenditore e ha fondato quattro aziende in ambito tecnologico. Non è facile capirlo perché probabilmente non si capisce fino in fondo nemmeno lui. Del resto già Eraclito, uno dei punti di riferimento filosofici di Pezzi, diceva: “I confini dell’anima non li potrai mai trovare, per quanto tu percorra le sue vie: così profonda è la sua realtà”.
Il mistero umano per Pezzi è diventato da qualche tempo non solo il principale interesse, ma pure la principale attività. A questo proposito ha scritto un libro, Io sono. Gli altri per incontrare me stesso (La nave di Teseo, 2019). E ha creato una fondazione “impegnata, nel pieno della trasformazione digitale, a riaffermare l’importanza di una visione universale e perenne della cultura umanista”. La fondazione si chiama Andrea Pezzi. “Questa scelta potrebbe sembrare il frutto di un egotico, di un pazzo”, spiega lui con un sorriso, poi si fa serio e dice: “La verità è che il nome è l’unico aspetto di noi stessi che per definizione non abbiamo potuto scegliere”. Lo spettacolo Intelligenza naturale, di questa fondazione, è il manifesto.
Andrea Pezzi potrebbe sembrare un infiltrato. Non sapeva nulla di tecnologia, per sua stessa ammissione, e per saperne qualcosa ha dovuto costruire delle aziende che sulla tecnologia fossero incentrate. Si è sporcato le mani con i semiconduttori. Un umanista sotto copertura tra gli informatici. Oggi dice che proprio perché ha conosciuto da vicino le macchine può aiutare gli esseri umani a comprenderle e a scongiurare eventuali derive nefaste.
Non bisogna immaginarsi per forza scenari da Matrix o da Terminator. I pericoli della tecnologia riguardano anche la nostra banalità quotidiana, qui e ora. Scrive per esempio Pezzi in Io sono: “Con l’arrivo di Internet e con un sistema scolastico più tecnologico, che punta sempre meno sulla fatica e sempre più sulla diffusione della conoscenza, si pensa di creare vantaggi agli studenti; tuttavia l’essere umano non è un computer su cui scaricare il maggior numero di nozioni possibile nel minor tempo e con le soluzioni tecnologiche più avanzate. L’essere umano si evolve grazie ai “sudati studi”, ove il senso dell’evoluzione è nel sudore prima ancora che in ciò che si studia”.
Il ritmo dei ragionamenti di Pezzi, la loro tendenza a mirare al bersaglio grosso (per dirla in parole complicate: l’Essere), questo planare al di sopra delle polemiche manichee di stretta attualità… tutto ciò ha una chiara derivazione filosofica. Pezzi ama la speculazione, occidentale ma non solo. Lo spettacolo sarà infatti scandito dalle cinque virtù etiche – individuali ma al servizio della collettività – di Confucio: Ren (benevolenza e rispetto) Yi (rettitudine o giustizia) Li (correttezza o rito appropriato) Zhi (conoscenza) Xin (integrità). “Cercherò di provocare lo spettatore per portarlo a riflettere su queste cinque virtù, che definirei ontologiche” dice Pezzi.
Secondo lui è proprio la tecnologia a obbligarci a investigare sull’essenza dell’umano. Più che difenderci dalle macchine, insomma, dobbiamo utilizzarle come termine di paragone per comprendere che cosa sia invece esclusivo dell’uomo e della sua intelligenza. E, visto che perfino le macchine sono oggi in grado di relazionarsi tra loro, che cosa sia esclusivo delle relazioni umane. Non è forse una contraddizione, data quest’importanza attribuita alla dimensione relazionale, che lo spettacolo sia un monologo? “Lo spettacolo formalmente è un monologo, è vero, ma la speranza è quella di generare un dialogo con ciascuno spettatore, di dargli quindi uno stimolo perché continui a interrogarsi sull’umano”.
Ma un approccio che pone sempre l’uomo al centro della realtà non rischia di diventare deleterio per le altre forme di vita, per l’ambiente, per il pianeta? “Tutto dipende dall’idea di uomo che si ha. Quando metti al centro l’uomo ma non sai quale idea di uomo stai mettendo al centro, oppure quando quell’idea è molto piccola, è chiaro che ciò produca conseguenze pericolose. Oggi devi invece allargare tantissimo l’idea di essere umano, come succedeva nel Rinascimento, tanto da includere anche l’idea di pianeta Terra”. Pezzi ha in mente un uomo cosmoteandrico: che sia insieme umano e divino, femmina e maschio, singolare e universale, sé e altro da sé.
Intelligenza naturale, oltre a essere il titolo dello spettacolo, è dunque un metodo con cui Pezzi cerca di analizzare il pensiero delle donne e degli uomini che lui ha amato di più. “Tutti animati e stimolati”, spiega, “da una stessa corrente elettrica che attraversa le epoche e i sistemi filosofici”. La saggezza percorre la Storia come una corrente carsica e a volte si manifesta con particolare forza per mezzo di una bocca umana. “Non c’è nessuno che sia naturalmente saggio. È la saggezza che utilizza i saggi”.
Difficile stabilire se sia immaginabile una macchina… saggia. Di certo per Pezzi addirittura la coscienza, che si basa su logiche duali, può essere replicata dalla tecnologia. Ma l’intenzionalità naturale che fonda l’essere umano, il logos in senso ontologico, no, non è replicabile. “Sto parlando di ciò che una cultura umanistica potrebbe definire spirito. Oppure, al di là di ogni formalizzazione religiosa, potremmo parlare di anima. Io sono convinto che questa radice ontologica, questo centro connaturato all’essere umano, gli garantisca un futuro anche nel regno della tecnologia”.
L’alternativa è lasciarsi andare a una sorta di fede negativa: niente vale la pena, niente ha senso, tutto è nulla. “Io non dico di non rispettare questa visione, solo non mi interessa e non mi convince: sarebbe come se tu volessi persuadermi che, mentre siamo qui che parliamo seduti su due poltrone, in realtà stessimo affogando nel mare Adriatico”.