«Lo vede quell’albero? È fatto di parole». Benedetto Levi indica uno dei tanti “muri dipinti” all’interno del palazzo milanese di iliad. «Un anno fa, quando ancora eravamo pochissimi, ho chiesto a ogni collaboratore di definire quello che doveva rappresentare l’azienda in un termine. Tra i più usati ci sono ‘libertà, entusiasmo, sfida, scommessa’. Il mio preferito probabilmente è ‘Rivoluzione’».
L’amministratore delegato dell’operatore telefonico non sceglie quella parola per una presunta spocchia che tutti ci portiamo appresso assieme ai nostri 30 anni. Da ingegnere, la sceglie accuratamente dopo aver scartato ogni alternativa; e prova a motivare la scelta, con la parlata velocissima degli uomini di numeri e la voce piuttosto sussurrata dei torinesi.
«Volevamo fare la rivoluzione: volevamo cambiare il mercato e soprattutto il modo con cui gli operatori telefonici si approcciavano alle persone. Volevamo essere totalmente trasparenti, eliminare qualsiasi concetto di costo nascosto nelle offerte e di rimodulazione delle tariffe. Volevamo creare un rapporto di fiducia con le persone».
Un anno dopo, dice che la scommessa è vinta: iliad è diventato il quarto operatore telefonico, con oltre 5 milioni di utenti, 450 dipendenti e 12 uffici in tutta Italia. Il più grande è a Milano: un palazzo di quattro piani in mezzo al quartiere Isola, in cui sono piazzate, tra le altre cose, un’altalena, un calcio balilla e un tavolo da ping pong «dove facciamo tornei all’ultimo sangue». Benedetto Levi si aggira calpestando i pavimenti fatti di parquet, tappeti e prato sintetico con un paio di sneaker rosse, jeans e camicia bianca: la sua “divisa”.
La storia che l’ha portato a diventare AD di uno dei principali operatori in Italia parte anche un po’ dai consigli ricevuti da suo padre, spiega. «È uno psicanalista. Da lui ho imparato due cose».
Vada con la prima.
La mentalità imprenditoriale. Promuoversi, cercarsi i clienti e non perderli nel tempo.
E la seconda?
L’attenzione all’ascolto delle persone. Lo sforzo di comprensione delle loro esigenze e delle ragioni profonde dei fenomeni che mi circondano.
Voleva fare lo psicanalista pure lei?
No. Sapevo solo che volevo crearmi un lavoro, piuttosto che cercarmene uno.
Un modo elegante per dire che non sapeva cosa fare.
(Ride) Scelsi Ingegneria logistica e della produzione al Politecnico di Torino. Appena laureato lasciai l’Italia per completare il mio percorso di studi con una parte più pratica prima di ritornare.
Dove se ne andò?
A fare un Master in management tra Parigi e Londra, che mi ha permesso di lavorare con le aziende e vedere realtà di altri Paesi.
Utile?
Utilissimo. Ho relativizzato tutto, studiato modelli che in Italia non avrei visto e conosciuto un sacco di persone che si erano create il proprio lavoro.
Come ha iniziato a crearselo lei?
Prima di finire il master creai con un mio compagno di scuola Extraverso. Producevamo cover per cellulari innovative, eco-friendly, 100% Made in Italy.
Come andò?
Bene, ma ebbi la prima dose di realismo. Uscito dalla scuola ero come tutti piuttosto ingenuo. Pensavo che se avessi fatto le cose per bene, il mio prodotto avrebbe funzionato per forza. Scoprii che non è così. Ogni giorno dovevo scontrarmi con gli errori di quello precedente, riconoscere di aver sbagliato – forse la parte più difficile – e ricalibrare le mie decisioni.
Cos’ha fatto dopo?
Ho lanciato sul mercato italiano Trainline. Era una startup franco-inglese che comparava i biglietti dei treni in tutta Europa. Una sorta di Skyscanner dei treni. Poi, ho ricevuto la chiamata da iliad (che è una società francese, nda). Volevano che guidassi lo sbarco in Italia. Ci trovammo subito d’accordo su molte cose.
Come mai?
Da consumatore provavo anch’io la frustrazione che molti italiani provavano col proprio operatore telefonico, poco chiaro e pieno di costi nascosti. Decidemmo di essere totalmente diversi.
Si spieghi.
Rapporto semplice e schietto con le persone. Gerarchie aziendali ridotte al minimo. Comunicazione interna rapida e agile: per capirci, i ragazzi del customer care sono sullo stesso piano di quelli del dipartimento tecnico, per dialogare al volo e senza sovrastrutture.
Il momento più difficile?
Le prime settimane, quando siamo stati inondati di richieste di passaggi di nuovi utenti. Da un punto di vista logistico è stata una corsa contro il tempo per soddisfare i primissimi italiani che avevano creduto in noi.
Quali sono invece le sfide per il futuro?
Tre. Mantenere e aumentare i nostri utenti attuali restando fedeli alle nostre promesse. Costruire la rete 5G, per la quale ci siamo già aggiudicati le frequenze, e sbarcare nella rete fissa, portando lo stesso approccio che abbiamo usato nel mobile.
Lei ha 30 anni. Non le chiederò il punto di forza. Mi dica direttamente quello di debolezza.
Credo che l’esperienza sia importante. Per questo qui dentro abbiamo scelto di ‘mischiare’ giovani, spesso a digiuno di esperienze nel settore TLC, e persone più grandi e di maggiore esperienza.
Da buon millennial, è parecchio attivo sui social.
Mi piace condividere le opinioni su Twitter. Per il resto, le app che uso di più a scopo strettamente personale sono Facebook e Google Maps.
Google Maps?
Quando non sono in ufficio, di fatto, ho due principali hobby: la cucina, e passeggiare per Milano. Ci vivo da meno di due anni: mi devo ancora orientare.
Ma lei tra un anno quale parola vorrebbe aggiungere a quell’albero?
Fiducia. È la parola più difficile, quella che si costruisce nel tempo, rimanendo fedeli alle promesse fatte.