Abbiamo imparato a conoscerlo come conduttore grazie a Pechino Express, ma nel tempo ha tirato fuori anche chicche come il talent per parrucchieri Hair – Sfida all’ultimo taglio su Real Time e due format innovativi come Secondo Costa e Le spose di Costantino su Rai 2. Costantino della Gherardesca non sa stare con le mani in mano: dopo l’exploit come concorrente di Ballando con le stelle e l’attuale ruolo di giurato nel talent show Il cantante mascherato, ha inventato pure il podcast Artefatti in cui, dal 18 febbraio, scandaglierà l’arte contemporanea. L’obiettivo? Capire quello che davvero può essere definita un’opera artistica e quello che, semplicemente, è un fake. Al suo fianco il critico d’arte e curatore Francesco Bonami che invita all’ascolto ammettendo che la materia viene trattata «senza pregiudizi, ma con molto giudizi. Potete sentirlo anche mentre cucinate, siete dal parrucchiere o guardate il soffitto. Se volete anche imparare qualcosa, fa per voi: pieno di arte, di fatti e misfatti». Un progetto che, secondo il critico, mette insieme una strana coppia: «Io vicino a quota 100, 65 anni, lui nel fiore della carriera. Io etero solido, lui omo fluido. Lui aristocratico, io piccolo borghese. Io amo la pittura, lui l’arte cerebrale». Dopo aver sentito una metà del duo, è giusto sentire anche l’altra.
Costantino, perché c’è bisogno del podcast Artefatti?
Secondo me le città italiane non investono abbastanza nell’arte contemporanea se paragonate alla Germania o all’Inghilterra. Istituzioni come la Tate Modern in Gran Bretagna e svariati musei in Germania non trovano dei corrispettivi da noi. Essendo un grande appassionato d’arte, sento la missione di divulgarla. Abbiamo deciso di fare un podcast divertente e di intrattenimento che trattasse artisti molto seri, di cui normalmente la stampa italiana non parla.
Tipo?
Andrea Fraser, un’artista nota per Institutional Critique: l’opera stessa era andare a letto con un collezionista in una stanza d’albergo. E si può comprare il DVD con l’amplesso. Una specie di critica al mondo dell’arte, al fatto che l’artista, in un certo senso, sia costretto a prostituirsi e piegarsi al volere del mercato. Questi artisti concettuali, molto importanti, hanno spazio all’interno dei settimanali inglesi, americani e tedeschi.
E in Italia?
I personaggi della cultura internazionale non hanno voce e, secondo me, è un peccato perché mette il nostro Paese un filino indietro agli altri. Mi dispiace perché sono al 100% italiano – con qualche parente olandese – e vorrei tanto che facessimo un saltino verso il futuro. Mi piacerebbe che culturalmente – e stiamo parlando di cultura contemporanea e non di rovine e dipinti del Quattrocento – oltre che economicamente, l’Italia fosse a livello delle altre nazioni, perché abbiamo tutti i requisiti per farlo.
Artefatti va anche alla ricerca delle bufale dell’arte. Che significa?
Molti giornalisti italiani o che lavorano nei media non conoscono bene l’arte. Ti faccio un esempio palese: Nanni Moretti ha mostrato apprezzamento e considerazione verso Banksy come grande artista solo perché è una persona diventata famosa. E le cui opere, se si possono definire tali, ottengono un sacco di soldi all’asta.
E non è così, immagino…
In realtà Banksy, come dice Francesco Bonami, non è un artista, ma un grafico pubblicitario. È troppo diretto per essere considerato sofisticato. Ha fatto un sacco di soldi, ma all’interno di una specie di gotha dell’arte – di cui lui vorrebbe far parte, ed è molto amareggiato – non c’è ancora entrato.
Mi fai un esempio?
Non è mai entrato alla Biennale di Venezia, anche se ha fatto cose in quella città. A Banksy non basta essere il più ricco tra i nuovi artisti, vorrebbe essere riconosciuto come uno dei più importanti. Cosa che sicuramente non è.
Come mai?
Ci sono artisti che fanno opere e lavori rivoluzionari che non hanno una lira e sono molto più bravi di lui. Ed è giusto che siano riconosciuti come tali. Per quel che mi riguarda, Banksy deve accontentarsi dei soldi, non può avere la botte piena e la moglie ubriaca.
Applichiamo il discoso delle bufale alla tv. Quali sono i bluff del piccolo schermo?
La più grande bufala della tv è l’idea che si possano fare programmi di giornalismo di prestigio. Quest’idea che ci sono alcuni programmi prestigiosi e altri meno nobili che fanno intrattenimento o sono definiti trash. Secondo me, nel momento in cui metti in piedi qualcosa e inizi a trasmetterla, è automaticamente fiction. Da un programma di intrattenimento ci si aspetta la fiction, mentre i programmi seri di giornalismo vogliono essere megafono della realtà e dei fatti.
E invece?
Abbiamo visto, in questi ultimi anni, che non lo sono per niente, anche perché non hanno fatto altro che dare voce a personaggi o politici di dubbia qualità empirica, scientifica e professionale. Mario Draghi è una diretta conseguenza di tutte le balle, il casino e il disordine avuto in questi anni. Grazie a Dio una persona competente è venuta a salvare la patria.
In molti si sono chiesti come mai hai a partecipato Ballando con le stelle, dove comunque sei stato la rivelazione.
Partiamo dal catalizzatore di tutto. La televisione è il luogo dove regna la falsità. Se guardi i programmi televisivi, sembrerebbe che conduttori e persone che ci lavorano siano amici e abbiano una grande intesa. In realtà non è vero: sono in poche a trovarsi veramente. Ecco, una delle pochissime persone che – prima di lavorare insieme – è stata carina con me, soprattutto a livello umano, è stata Milly Carlucci. In ambito tv non ho molti amici, non ho molte persone da chiamare per parlare di un problema personale. Una delle poche è lei, che si è sempre dimostrata una gran signora. E poi, a un certo punto, mi ha chiamato a fare Ballando con le stelle.
E tu?
C’era stato questo rapporto a distanza in cui lei era stata molto cortese e gentile. Anche se era un programma lontano dalla mia cifra, molto pop e su Rai 1, l’ho fatto perché mi ha sempre divertito. Ballando ha una doppia lettura, è estremamente camp e sopra le righe. Mi sono trovato lavorativamente con Milly e le ho detto quali erano i miei problemi.
Cioè?
Ho avuto delle operazioni alla schiena e due incidenti alla gamba: una volta l’ho frantumata totalmente e un’altra mi sono fatto male al ginocchio. Ho avuto problemi ortopedici e, come si è visto, non sono la persona ideale per ballare.
Che ti ha detto Milly?
Ha capito subito quello che avrei voluto fare nel programma, non potendo competere con i bellocci che sarebbero stati, inevitabilmente, più bravi e atletici di me. Avendo loro il vantaggio di essere votati per via dell’avvenenza – cosa che succede nella televisione commerciale – ho deciso di tentare la strada dell’entertainment, facendo numeri completamente fuori dagli schemi dello show.
E la Carlucci come ha reagito alla proposta?
Anche se tutti la vedono come una conduttrice di Rai 1, Milly è molto più aperta di mente di quello che sembra: ha viaggiato molto e ha vissuto anche in California. Quindi ha accettato le proposte che le ho fatto per le prime quattro puntate – perché non pensavo di andare oltre, onestamente – dimostrando di essere molto cosmopolita. Ad esempio, quando mi sono vestito da omosessuale dei locali leather anni ’70 di San Francisco – rendendo omaggio a Sylvester e al suo compositore Patrick Cowley, grandissimo musicista elettronico, entrambi ci hanno lasciato a causa dell’Aids – Milly era entusiasta settimane prima che la mettessi in atto. E mi ha raccontato di aver partecipato a uno dei primi Gay Pride della storia a Los Angeles.
Insomma ti ha conquistato.
C’è un lato di Milly che le persone non conoscono e, visto che do molto valore all’apertura mentale, ci tengo che si sappia perché ho scelto di lavorare con lei. Oltre che per la certezza professionale di avere una persona che si mette tutto sulle spalle, come è solita fare.
Comunque le tue esibizioni a Ballando sono piaciute: ne hanno parlato tutti e sei arrivato alla finale.
Si vede che la mia idea di intrattenimento ha funzionato. La giuria mi ha dato voti bassissimi perché non apprezzavano il mio lato dissacrante, mente il pubblico – perché io faccio la tv per il pubblico – ha apprezzato e mi ha votato.
Avevi carta bianca sulle esibizioni?
Le decidevo io e, proprio all’inizio, mi ero fatto mettere tutto sul contratto. Non avrei accettato se avessi dovuto fare il tango vestito da tanghero o cose già viste in tv.
Com’è andata con colleghi concorrenti come la Mussolini, forse la più distante da te…
Umanamente non è stata per niente antipatica. È stata una persona molto espansiva, se mi doveva mandare affanculo lo faceva direttamente, cosa che è successa…
Perché?
Quando doveva chiedere scusa, per via del suo passato, in cui aveva detto «meglio fascista che frocio» a Vladimir Luxuria.
Mi sembrava si fosse scusata dopo un chiarimento con Fabio Canino.
Alessandra ha chiesto scusa, ma era un po’ restia. Io ho un po’ insistito, le ho detto che bisogna abbozzare nella vita. Le ho fatto intendere che capivo che non si sentisse realmente omofoba – anche perché non lo è, visto che il suo entourage è pieno di gay – ma da personaggio pubblico è la percezione che gli altri hanno. E poi le ho detto «Non dimenticarti che ti chiami Mussolini». Lei, che è molto diretta, ma in modo non troppo violento, ha risposto «Basta Costantino, non rompermi i coglioni, ho già chiesto scusa».
E tu come hai reagito?
Non lo fa in modo antipatico. Ho visto che, con me, è sempre stata onesta. So che è una cosa ovvia da dire, ma preferisco chi mi dice le cose in faccia.
Arriviamo allo show Il cantante mascherato. Hai visto le versioni estere? In Spagna dietro una delle maschere c’era addirittura un ex ministro della cultura: Màxim Huerta.
Certo, poi da qualche mese mi hanno fatto ambasciatore della cultura coreana in Italia. E Il cantante mascherato è un format coreano. Sono un grande amante della Corea del Sud. È stata una delle cose determinanti per la mia scelta di accettare il programma, oltre alla garanzia che dà Milly di un prodotto fatto bene, sta attenta a tutti i dettagli. Tecnicamente è ben costruito.
Quali versioni hai visto?
Oltre a quella coreana, anche quella americana e inglese. Da globalista quale sono accetto volentieri di partecipare a format internazionali. Come quando ho fatto La prova del cuoco perché a scrivere quel programma (il cui titolo originale è Ready Steady Cook, ndr) è stato un genio della televisione come Peter Bazalgette, diventato direttore dell’Arts Council in Gran Bretagna. Dettagli che forse il pubblico non sa, ma fanno capire che sono un secchione della tv.
Tu che tra le maschere in gara ti rispecchiavi nel Baby Alieno, ti aspettavi che uscissero i Ricchi e Poveri?
Sono rimasto molto sorpreso. Mi identificavo in lui, ma i Ricchi e Poveri si sono sentiti poco bene perché erano tutti ammassati. Certamente non mi identifico con loro: sono folkloristici, italiani, nella mia mente non li avrei visti come baby alieni.
Ti senti un po’ in colpa per aver preso il posto di Guillermo Mariotto nella giuria?
Non ho preso il posto di Mariotto: avevano deciso di cambiare la giuria, e preservare Mariotto per Ballando, prima ancora che mi chiedessero di partecipare. E poi Mariotto è un amico di Milly da decine di anni, sono molto legati, per cui figuriamoci.
Dopo la prima puntata, nonostante gli ascolti mi sembra dicano il contrario, molti giornalisti hanno gridato al flop.
Perché non sanno leggere i dati televisivi. Il programma è andato bene. Chiaramente, in quei giorni specifici, sono stati trattati temi che hanno dato spazio alla politica perché era crollato il governo. Nessuno può prevedere gli eventi in televisione. Fare televisione è un po’ come fare politica.
Però hanno paragonato gli ascolti con quelli del vostro competitor, il Grande Fratello Vip, anche se voi finite quasi un’ora prima e gli spettatori sono praticamente gli stessi.
Anche lì bisogna vedere i professionisti della tv: abbiamo assistito alla morte dell’expertise e abbiano visto i no-vax prendere posto in tv e nel mondo della politica. E così succede anche con i giornalisti. Quelli che si sono guadagnati un’ottima patente e reputazione, come Aldo Grasso, hanno parlato bene del programma. Poi qualche blogger, per essere sensazionalista, ha detto che era un flop, anche se non era vero.
Sarai conduttore anche di Pekin Express su SkyUno. Ma quando parte?
È una produzione metà italiana e metà belga. Dobbiamo aspettare che i belgi si sentano sicuri e che il governo belga dia l’ok per girare un programma tv in determinate nazioni. È stato solo posticipato per via del Covid. Da quello che vedo nei tg, deduco che dall’autunno di quest’anno si potrà ricominciare a viaggiare. E faremo il programma prendendo le dovute misure sanitarie, vaccini, e tutto il resto.
Pensavo si facesse, visto che L’isola dei famosi è in partenza…
L’isola si fa in un luogo, basta che tutti vengano tamponati e testati. Paradossalmente è più sicuro che stare in una città come Roma. Pekin Express gira il mondo, entra nelle case di persone sconosciute. Bisogna essere molto cauti da un punto di vista della salute, perché in questo momento è ad alto rischio.
Che mi dici di Barbara D’Urso? Sei spesso stato ospite dei suoi programmi.
Ho sempre difeso Barbara, capro espiatorio dei televisivi che, per sentirsi più belli e nobili, le danno addosso accusandola di fare programmi poco eleganti. In realtà non esistono show che devono essere eleganti: la tv è una, è intrattenimento. E lei ha creato un suo linguaggio, un suo mondo di mostri molto camp di cui un telespettatore può fruire ed esserne intrattenuto. A me il Prati Gate è piaciuto moltissimo. E non sono così bacchettone da giudicare e condannare un programma solo perché non è di servizio pubblico.
In tv che altro ti piace?
Trovo del bello e dell’interessante nei programmi pop. Penso che Antonella Clerici (in onda su Rai Uno con È sempre mezzogiorno, ndr) abbia una qualità unica, una scioltezza davanti alle telecamere che la rende un po’ l’Alice nel Paese delle meraviglie della tv, sempre curiosa e sorridente. Mi piace molto anche La caserma: mi diverte vedere come ragionano i ragazzi di 18 e 20 anni, perché mi ricordo com’ero io alla loro età.
Com’eri?
Un vero discolo in confronto alla nuova generazione. Anche perché non eravamo occupati dai telefoni: facevamo le nostre marachelle dal vivo, non trollando online.
Arriviamo a Sanremo e alle sue polemiche. Secondo te è giusto farlo o avresti saltato un giro?
È assolutamente giusto farlo, perché non è un programma di musica raffinata, non è uno show teatrale, ma è, molto semplicemente, un evento tv. Non va considerato come uno spettacolo a teatro o un festival cinematografico. Molte persone lo hanno paragonato a Cannes, ma è sbagliato.
Come mai?
Perché Cannes è un assembramento di persone del mondo del cinema che comprano e vendono film, si incontrano e fanno pubbliche relazioni. Sanremo è da anni, almeno dal 1973, un evento tv. Come una partita di calcio, ma con lo stadio vuoto. E gli appassionati vogliono vedere il match anche con lo stadio vuoto.
Conosci qualcuno dei cantanti in gara?
Non li conosco, ma da conduttore, se dovessi mai fare Sanremo anche da direttore artistico, lo farei sempre con personaggi adatti, come Achille Lauro, cantanti più pop e meno cantautorali. Sarebbe più simile all’Eurovision Song Contest: un programma con meno lamentele, meno brani lenti e più intrattenimento leggero, divertimento e tutte quelle cose considerate deplorevoli dai puristi della tv che criticano la D’Urso.
A questo punto dimmi il nome di un cantante che chiameresti subito…
Non mi dispiacerebbe portare musicisti decenti come ospiti dall’estero.
Tipo?
Sicuramente vorrei portare il rapper Skepta, che è un fenomeno da tanti anni, ma non ha mai attecchito bene in Italia, mentre nel resto del mondo sì. E poi Stormzy e Jme. Sicuramente per gli ospiti internazionali coinvolgerei Christopher Angiolini dell’Hana-Bi di Marina di Ravenna, nonché i ragazzi del Mamanera in Salento, grandissimi esperti di musica dancehall, che amo molto.
Dopo Il cantante mascherato?
Ho tanti progetti da fare in esterna, in giro per l’Italia, ma non ne posso parlare. Per il momento mi concentro sul mio podcast a cui tengo moltissimo, perché è comunicazione così come la tv. Il Covid incide molto nella vita di un personaggio televisivo la cui cifra è fare programmi in esterna. Ho tanti format da fare una volta che usciremo da questo periodo spiacevole per tutti dal punto di vista personale, sanitario e soprattutto psicologico. Per questo credo che, in questo momento, sia importante che la tv e i mezzi di distrazione abbiano anche, nel loro bouquet di scelte, quella dell’intrattenimento.