Il primo Ciao è in italiano, come sempre in questi casi. Già sorride Daniel Ricciardo, e non smetterà di farlo per tutta la durata della nostra chiacchierata telefonica. Si è già messo alle spalle una giornata di prove complicata: dopo il ritiro in Belgio, domenica sul circuito di Monza il pilota della Red Bull partirà in fondo alla griglia, per la decisione di montare il motore Renault Spec C. Oggi Ricciardo (7 GP vinti in carriera e 29 podi) occupa la sesta posizione in classifica e vuole provare a togliersi delle soddisfazioni in questa ultima parte di stagione, e così pare sinceramente gasato per la possibilità di giocarsi una gara con nulla da perdere, provando a rimontare da dietro.
Dopo anni (e anni) di magra per il movimento tricolore, Daniel è ciò che più somiglia a un connazionale titolare di una monoposto in Formula Uno, visto che entrambi i genitori hanno origini italiane e lui possiede passaporto del nostro Paese, cui è molto legato. Nelle ultime stagioni si è confermato tra i piloti più entusiasmanti del circuito, dall’anno proverà a dire la sua con la Renault, con cui ha già firmato un biennale. “Andiamo”, dice. E procediamo con la prima domanda.
Hai origini italiane, e hai vissuto qui un paio di anni quando eri un aspirante campione. Che periodo dell’anno è quello del tuo ritorno (per lavoro) nella terra dei tuoi genitori?
Sempre bello, carico di emozioni. Soprattutto perché in Italia il calore della gente lo senti addosso, fanno tutti un po’ il tifo anche per me da queste parti. Le mie origini, come hai detto, sono in questa terra, per me è qualcosa di speciale.
Sei mai stato a Ficarra, dove è nato tuo papà, o nella Calabria di tua mamma?
Quando ero piccolo. Ho fatto un giro per conoscere il paese di papà e quello di mamma. Sono poi tornato tre o quattro anni fa in Sicilia per un evento di Red Bull, ed è stato davvero bello.
Qual è la prima cosa che ti viene in mente se pensi a quelle terre?
Alla Storia che emanano quei posti, a quanto sono “vecchi”. La grande differenza con l’Australia, il mio Paese, è proprio questa. Lo noti in ogni dettaglio: nelle case e nei palazzi pubblici, nelle strade e nella geografia della città. Ricordo che quando andai al Sud Italia per la prima volta, da bambino, la cosa mi colpì molto: non avevo mai visto nulla di simile. Allora non sapevo, ovviamente, che l’Italia fosse un Paese più “vecchio” dell’Australia, ed è stata una rivelazione. E poi da quelle parti l’atmosfera è unica, con la gente per strada che gioca a carte e beve decine di caffè. Magari sono stereotipi, ma sono stato molto bene.
Che il Canada sia il tuo circuito preferito è cosa nota, il GP d’Italia che posizione occupa nella tua classifica?
Amo questo circuito, davvero tanto. Non sono mai stato sul podio a Monza, ma mi piace da matti. La pista è molto divertente, la chicane va affrontata in maniera aggressiva, sfruttando i cordoli, la parabolica è uno spettacolo. Il palco anche. Qua non ci si annoia mai a guidare, e poi la Storia di Monza è davvero importante.
Che sensazioni hai per domenica?
Sono eccitato, come ogni volta che vengo qua. Devo scontare la penalità in partenza per via del cambio al motore, come sapete, per questo non sarà semplice centrare il podio. Ma non vedo l’ora di gettarmi nella mischia, e superare tutti quelli che potrò.
In generale che giudizio dai di questa stagione, finora?
La mia stagione è stata fin qui un mix, con la partenza ottima e due vittorie nelle prime sei gare. Fino a Monaco, diciamo, è andata bene: è stata la mia miglior partenza di sempre, probabilmente. Purtroppo le cose con il tempo sono cambiare, e quindi ci tocca ripartire da capo.
A questo punto della carriera qual è l’obiettivo per il tuo futuro?
Diventare campione. Non voglio essere avido, puntare a tutti i costi al quinto o sesto posto. Mi accontento del primo, per ora.
So che il tuo pilota preferito, in realtà, corre sullo schermo: Ricky Bobby, personaggio intepretato da Will Ferrel, (per cui condividiamo una grande passione). Sei uno di quelli che guarda i film che gli piacciono decine di volte?
Era stato Jenson Button a darmi questo soprannome, ha iniziato a chiamarmi Ricky Bobby e la cosa è rimasta. Il film fa stare male dal ridere, adoro la scena in cui i ragazzini diventano aggressivi con il nonno (in italiano nell’intervista, ndr). Will Ferrell è un grande, l’ho visto di sicuro più di 10 volte. Ma il record appartiene a Scemo e più scemo, lì sono sicuro più di 30 le volte.
Sei anche un grande appassionato di musica, ci dai qualche consiglio su qualche band nuova e imperdibile?
Ascolto davvero un sacco di musica, parecchio rock e punk e soprattutto band australiane. Meno il pop, invece mi piace molto l’elettronica in questo periodo: consiglio l’ultimo disco di RL Grime, una bomba, e un ragazzo che si chiama Kasbo.
Qual è il tuo rapporto con la tecnologia?
Amo la tecnologia, ne ho a che fare per lavoro. Solo ho un po’ paura di quanto proceda veloce l’innovazione. A volte mi esalto per una novità tecnologica davvero forte, altre volte continuo a preferire l’old school. Prendi ad esempio Tag Heuer, di cui sono testimonial. Mi piacciono da matti i suoi orologi digitali, ma per quanto mi riguarda sul polso continuo a preferire quelli meccanici. Più invecchio, più mi piacciono le cose agée.
Torniamo alla Formula Uno. Quanto è importante un duello come quello tra Vettel e Hamilton per il vostro sport e il vostro business?
La loro battaglia, che continua dall’anno scorso, è una cosa bella. E sono invidioso di esserne solo spettatore. Stanno continuando a salire di colpi: penso che, se Vettel riuscirà a vincere a Monza, allora le cose potrebbero cambiare per davvero. Potrebbe essere un turning point per la Ferrari, fare scattare le motivazioni giuste per andare fino in fondo alla conquista del titolo.
Qual è la tua rivalità storica preferita nella Formula 1?
Le rivalità sono il succo dello sport. Ce ne sono state tante negli anni, forse dico Senna vs. Prost.
Potessi cambiare una cosa domani mattina nella Formula 1, cosa faresti?
I motori, tornare alla vecchia scuola. Tipo il V10, quel periodo lì. Motori meno complicati, per gare più “umane”.