Sono stati i primi ad aprire una libreria a nord di Napoli, creando quella che definiscono «l’editoria terrona made in Scampia» e, nonostante gli abbiano detto più volte che sarebbero durati poco, «noi per dispetto siamo arrivati a pubblicare gli inediti di Stephen King, Osvaldo Soriano, Garry Kasparov e a settembre Daniel Pennac». Fra l’altro, pubblicando libri totalmente ecosostenibili «per cui se non vi piacciono potete usarli come concime e nascono i fiori». Di certo è qualcosa di speciale quello che sta facendo Rosario Esposito La Rossa, insieme alla moglie Maddalena Stornaiuolo, con la Scugnizzeria. Lo abbiamo incontrato al MystFest di Cattolica, il festival del giallo e del mistero dove ha ricevuto il prestigioso Premio Andrea G. Pinketts, alla memoria dello scrittore milanese che anche nella cittadina romagnola ha lasciato un segno indelebile.
Uno “spacciatore di libri”, così si presenta Rosario come provocazione rispetto alla nomea del quartiere dove da anni coinvolge i ragazzi in attività culturali di ogni tipo dandogli una alternativa alla strada della criminalità. Nominato Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana dal Presidente della Repubblica, ci ha spiegato perché, nonostante una tragedia che lo ha colpito direttamente con l’uccisione del cugino innocente Antonio Landieri per mano della camorra, non ha deciso di andarsene, ma invece di rimanere «per avere cura di quella che è casa nostra».
Rosario, innanzitutto cosa rappresenta per te Scampia?
È casa mia. Io appartengo alla prima generazione nata in quel quartiere. I miei genitori vennero “deportati” da altri quartieri, insieme ad altre fasce della popolazione. Erano stati ghettizzati. Ma in quanto casa è un luogo di cui voglio avere cura. L’attivismo mio e di mia moglie è frutto di questo.
È anche il quartiere nel quale tuo cugino, Antonio Landieri, che aveva solo 25 anni e soffriva di una disabilità, venne ucciso per sbaglio in quella che è stata definita la Faida di Scampia.
Il sentimento verso la mia terra dopo la morte di Antonio è cambiato. È stato ucciso mentre giocavo a calcio nel Napoli, avevo 15 anni, ero al massimo della mia adolescenza. È stato ammazzato in un anno in cui ci sono stati altri 144 morti ammazzati, dove non potevo entrare in casa mia liberamente ma dovevo chiedere il permesso. Ho vissuto qualcosa che non auguro a nessuno, tra cui appunto la morte di un ragazzo disabile di 25 anni. Molti giovani sono scappati e anche alcuni miei familiari, in me invece è esplosa la voglia di rimanere e cambiare le cose. Non nascondo mai i problemi di Scampia e ce ne sono tanti, però provo a chiedermi come risolverli.
Come spiegheresti che cos’è la camorra a un bambino?
Ci sono due modi. Il primo, che esistono i buoni e i cattivi, ma io non credo in questa affermazione. Gli direi invece che ci sono alcuni bambini che nascono in contesti molto sfortunati, in cui i papà sono dietro le sbarre da quando loro sono nati. E proverei a dirgli che ci sono i Pinocchio e i Lucignolo per i quali nessuno fa niente, con uno Stato che arriva in ritardo quando ormai a 17-18 anni fanno già le rapine. La camorra prospera nelle assenze della comunità educante. Non a caso le mafie sono forti in zone disagiate del Paese.
A 17 anni hai scritto il tuo primo libro, Al di là della neve, che raccontava appunto la Scampia delle faide e della morte di tuo cugino. Cosa c’è ancora di attuale e cos’è cambiato?
È cambiato tanto. Allora studiavo Cicerone e Catullo ripetendomelo mentre facevo lo slalom tra i tossici, mi era vietato vestirmi in un determinato modo, acquistare certi motorini perché legati alla criminalità. Oggi tutto questo non c’è più, portiamo 5mila ragazzi in gita a Scampia, si cammina liberamente, c’è il più alto tasso di associazionismo del sud Italia, insomma è un quartiere in totale fermento. Vedo i protagonismi del mio libro che sono mutati ed è una sensazione molto bella.
Sei stato premiato nella stessa serata in cui era ospite Roberto Saviano, un altro simbolo del possibile cambiamento di Napoli e della Campania. Ma l’accusa che gli fanno, a volte gli stessi napoletani, è di parlare male della vostra terra. Come risponderesti a chi lo pensa?
Io a Saviano farei sempre da scorta civile. Quando ci sono i problemi bisogna raccontarli, che non vuol dire non saper apprezzare le cose belle. Se vai dal medico e ti fa male la testa non ti dice “però dai, ti funziona il braccio”, ma prova a risolvere quel problema. Roberto ha rischiato la vita, vive da anni in una condizione difficilissima, fa bene a mettere in faccia ai napoletani e agli italiani i problemi del territorio. Chi si oppone a Saviano sbaglia a livello concettuale, perché critica chi prova a risolvere i problemi, nel suo caso attraverso la narrazione.
Altra accusa è stata quella del rischio emulazione dopo la serie Gomorra. Tu che vivi il quartiere e hai a che fare con i giovani, hai notato questo rischio?
Il rischio c’è sempre, per Gomorra è accaduto. L’ho visto con i ragazzini della Scugnizzeria. Però le serie non sparano, la camorra c’era prima e ci sarà dopo le serie tv. È però importante continuare a provare a raccontare un territorio, in questo caso per far sapere che Gomorra racconta una Scampia che non c’è più, di dieci anni fa. Sarebbe come andare alla Magliana a Roma e pensare di trovare il Libanese o il Freddo. Così a Scampia non c’è più Jenny, già rimpiazzato da altri modelli.
Un consiglio alla politica per fare di più per i territori come il vostro?
Il problema è che in politica si ragiona sempre per evento. Noi invece abbiamo bisogno della quotidianità. Ci abbiamo messo dieci anni per aprire la metropolitana di Scampia. Mi piacerebbe trasformare il simbolo delle Vele in una università, che è quasi ultimata, far capire che non si viene più a Scampia per comprare la droga ma per studiare.
Il sindaco Luigi De Magistris è stato un buon primo cittadino?
Per noi lascia un bilancio positivo. Per me non è De Magistris ma Luigi. Ci è stato vicinissimo in questi dieci anni. È stato l’unico a dedicare lo stadio di Scampia ad Antonio. Al di là di questo credo sia stato un sindaco onesto, senza ombre. Potrà averlo fatto bene o male, ma è indubbio che abbia provato a fare le cose seriamente. Partendo da una città invasa dai rifiuti ci ha lasciato con il Lungomare più bello d’Italia. Quando è stato eletto la città non era una meta turistica, mentre da un po’ di tempo è costantemente in overbooking. Alla fine, sono tante le cose positive che ha lasciato.
È tornato alla ribalta per la polemica con Saviano sul festival di Ravello, ma Vincenzo De Luca è un buon amministratore o no?
Credo abbia fatto una grande esperienza di sindaco a Salerno, dove ha ribaltato completamente la città. I primi cinque anni in Regione non li reputo negativi, però c’è sicuramente bisogno di meno personalismi. La polemica tra De Magistris e De Luca è stata sterile e dannosa per la città. Faccio solo un esempio: il Napoli teatro festival ha cambiato nome in Campania teatro festival perché finanziato dalla regione, credo succeda solo da noi. Non abbiamo bisogno di targhe e bandierine. Anche il fatto che De Luca non abbia un assessore alla cultura è abbastanza imbarazzante.
Avete mai ricevuto minacce per la vostra attività?
No, perché il nostro modo di agire è uno scudo. Non giudichiamo i ragazzi ma proviamo a fare qualcosa di bello insieme a loro. Questo viene apprezzato anche dalle famiglie, che ci tengono a fargli trovare altre strade alternative rispetto alla delinquenza. Non veniamo percepiti in opposizione, ma come un gruppo di ragazzi che prova a cambiare le cose.
Siamo in periodo di Europei di calcio e la nostra nazionale sta volando grazie a diversi napoletani, come Immobile, Insigne e Donnarumma. Sono loro stessi esempi di riscatto?
Vengo da una scuola calcio che ha prodotto Armando Izzo, l’Arci Scampia, che è quella con il maggior numero di iscritti d’Italia, che ha vinto la medaglia di bronzo Uefa quindi fra le tre migliori d’Europa ma purtroppo nessuno ne parla. Non credo nel calcio moderno dei Cristiano Ronaldo, preferisco quello che va al di là delle porte dove esistono diversi tipi di vittorie. Come quella del chiattone che deve solo smaltire le merendine. Da istruttore di scuola calcio per dieci anni, posso assicurare che è stato molto più bello che partecipare a competizioni sportive di un certo livello.
Avete tantissimi progetti. Quali sono quelli principali ci cui andate orgogliosi?
Siamo impegnati su tre grandi filoni. La Scugnizzeria che sta crescendo, siamo stati gli unici ad allargarci nonostante la pandemia acquistando una casa di 150 metri quadri che nell’autunno diventerà il primo museo del libro della Campania. Dal punto di vista cinematografico, mia moglie che dirige la scuola di recitazione debutterà al Festival del cinema di Venezia, dopo aver già vinto l’anno scorso il Nastro d’Argento e quindi prosegue ad altro livello. E la casa editrice Marotta e Cafiero negli ultimi tre mesi ha pubblicato gli inediti di Stephen King, Osvaldo Soriano, Gary Kasparov e a settembre Daniel Pennac, poi Don De Lillo, che è un altro autore enorme.
I grandi autori vengono convinti dalla vostra storia o dalla professionalità?
Sempre a livello professionale, perché proviamo a fare gli editori in modo serio, facciamo offerte mettendoci alla pari di altri editori di caratura nazionale che Napoli non aveva. Siamo entrati a far parte della Mondadori come distribuzione, pur rimanendo indipendenti e abbiamo voglia di non arrangiarci e basta, ma di provare a creare una vera e propria industria culturale. Tutto questo sta convincendo anche i grandi autori a credere in noi.
Hai ricevuto il premio Pinketts e ti ricordo che lui diceva spesso: «Secondo me i libri belli dovrebbero costare pochissimo, mentre quelli brutti tantissimo». Sei d’accordo con questa provocazione?
Sì, il problema è che i libri ormai si dividono in troppe categorie. Per me esiste una buona letteratura e una cattiva letteratura. Ci sono libri che sono universali, come Moby Dick, sia che tu li legga da bambino o da adulto. Ricevere questo premio ha un valore altissimo per noi, perché vuol dire che la nostra storia è finalmente uscita dai confini della regione.