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Gli animali si drogano: evoluzione e religioni psichedeliche

Una (lunga) chiacchierata con Giorgio Samorini, il più importante drogologo ed etnobotanico italiano, su psichedelifobia, proibizionismo, cristianesimo, sciamanesimo e ayahuasca

Giorgio Samorini è il più importante drogologo ed etnobotanico italiano, esperto di studi sulle sostanze psichedeliche e piante psicotrope. Il suo lavoro, punto di riferimento per qualsiasi ricercatore nel campo, mette in evidenza l’importanza che le droghe ricoprono per le culture non occidentali, plasmandone la relazione con gli altri viventi e il sacro. Tra le sue opere più importanti ricordiamo Terapie Psichedeliche, Animali che si drogano, Mitologia delle piante inebrianti, Droghe tribali, Jurema. La pianta della visione, Ayahuasca. Dall’Amazzonia all’Italia.

Abbiamo chiesto a Samorini (con cui avevamo già chiacchierato qualche tempo fa) di parlarci dei recenti risvolti politici sulla liberalizzazione delle droghe negli Stati Uniti e del ruolo che la psichedelia gioca per le prospettive non umane. Non solo umani, ma anche animali e piante fanno uso di droghe, una visione che riscrive la ricerca scientifica e apre le porte a nuove prospettive come la coscienza delle piante. Gli psichedelici sono parte integrante dell’esperienza del sacro dei vari popoli e si ritrovano anche in alcune religioni monoteiste, tra cui le diverse forme che il Cristianesimo ha assunto in altri paesi.

Il Colorado è il secondo paese statunitense, dopo l’Arizona, che ha votato un referendum per regolamentare l’uso di diverse sostanze come la psilocibina, la psilocina e la mescalina sia per scopi ricreativi che per pratiche mediche. Una tendenza che fa ben sperare?
È indubbiamente in atto un cambio di paradigma nei confronti degli psichedelici, che segue il mutamento di prospettiva già consolidato nei confronti della canapa, con l’introduzione della “canapa medica” che ha funto da apripista. Anche per gli psichedelici si parte dalle finalità terapeutiche, che sono le motivazioni più sensibili eticamente per il cambio di paradigma mediatico e sociale. Bisogna tenere conto del fatto che per oltre un trentennio, a partire dalla messa in fuorilegge dell’LSD, la popolazione occidentale è stata “educata” sulla grande pericolosità di queste sostanze, presentate come addirittura capaci di bruciare le cellule del cervello e di generare malformazioni fetali. Queste affermazioni non sono state confermate dai nuovi studi clinici, ma hanno generato una generale psichedelifobia anche tra i professionisti sanitari. Questo cambio di paradigma è quindi una tendenza che fa ben sperare, sebbene per diverse nazioni gli ostacoli appaiano ancora insormontabili.

La vittoria del presidente Lula in Brasile è stata salutata da tutto il mondo per le politiche progressiste di preservazione della foresta amazzonica e promozione dei diritti dei popoli indigeni. Ci si può aspettare la fine del proibizionismo di Bolsonaro in materia di droghe?
Il proibizionismo di Bolsonaro non finirà mai. L’esultanza per la vittoria di Lula non deve far dimenticare che lo stesso ha vinto le elezioni con un margine molto stretto, e che i seguaci dell’ormai ex presidente continuano a essere una grossa fetta della popolazione brasiliana. In materia di psichedelici, pochi sono al corrente che il movimento socioreligioso União do Vegetal impiega l’ayahuasca, la bevanda visionaria dell’Amazzonia per eccellenza, nei suoi riti collettivi, ma è al contempo un sostenitore di Bolsonaro e promuove un’anacronistica morale omofobica. Gli psichedelici non sono di sinistra di per sé. I tipi di esperienze con queste sostanze sono suscettibili all’indottrinamento e al plagio di figure ambigue e carismatiche.

In Italia con il governo Meloni sembrano essersi chiuse le speranze per vedere una legalizzazione a breve termine, mentre nel panorama culturale e terapeutico italiano la psichedelia sta riscuotendo sempre più successo.
Sarei cauto nel voler vedere un interesse italiano nell’ambito terapeutico. È vero che anche in Italia si osserva un aumento di professionisti sanitari che si avvicinano alle tematiche delle terapie psichedeliche, un dato senz’altro positivo, ma la massa di medici, psicologi e psicoanalisti afflitta dalla psichedelifobia è ancora enorme, soprattutto nei luoghi istituzionali attraverso cui deve obbligatoriamente passare qualunque approvazione di ricerche e sperimentazioni innovative. In breve, ci sono ancora tante menti da cambiare, per usare una felice frase di Michael Pollan. L’ascesa della destra al governo generalmente comporta poche speranze di avere politiche più permissive sulle droghe, ma in realtà da decenni non vedo grosse differenze in materia di droghe sia da parte della destra che della sinistra. Entrambe si basano su due tipi differenti di ignoranza. Semmai l’ignoranza tipica della destra è più aggressiva e demagogica. Ricordo che la legge Vassalli-Russo Iervolino del 1990, che prevedeva l’incarcerazione anche per il semplice consumatore di cannabis, fu voluta da Craxi, leader di sinistra. A causa di quella legge ci fu una triste catena di suicidi di ragazzini incarcerati solo per uno spinello.

Gli psichedelici non sono tutti uguali ma aprono le porte della percezione, per citare William Blake ripreso da Huxley, a diversi generi di visioni ed esperienze. Si può dire che ogni sostanza partecipa di una particolare cosmologia?
Non è tanto la sostanza, ma la cultura individuale e sociale a promuovere una particolare cosmologia. Per cultura qui si intende anche e soprattutto la cultura dell’approccio all’esperienza visionaria. Tutti gli psichedelici classici, l’LSD, i funghi psilocibinici, la mescalina, l’ayahuasca, ecc., hanno un potenziale rivelatore, che passa attraverso lo scioglimento e la liberazione dalle briglie materialiste dell’ego. Le differenze fra i diversi psichedelici stanno semmai nel lato estetico e nelle modalità espressive di questo processo psicologico.

Nei suoi viaggi lei ha conosciuto personalmente diversi sciamani e artisti visionari come il peruviano Luis Tamani. Il libro Piante degli dèi di Hoffman, Rätsch e Schultes accosta ad ogni pianta le immagini delle visioni che ne scaturiscono. Anche nell’arte sacra alle radici dell’occidente ci sono iconografie psichedeliche?
Aldous Huxley, i cui scritti sono ancora molto attuali, nel suo Paradiso e inferno suggerisce che tutta l’espressione artistica umana si rifà alle visioni dell’altro mondo, dei suoi luoghi luminosi ricoperti di pietre luccicanti e terre dall’infinita ricchezza cromatica. Per lui ogni creatività artistica, inclusa quella occidentale, parte da eventi visionari, indipendentemente dalle modalità con cui scaturiscono le visioni, se attraverso l’assunzione di psichedelici, tecniche meditative, la deprivazione sensoriale o la semplice predisposizione visionaria come nel caso dei grandi mistici cristiani. Del resto, lo studio iconografico dell’immensa produzione artistica cristiana rivela dettagli lasciati da certi artisti che fanno sospettare una conoscenza dell’esperienza psichedelica.

Uno dei suoi libri più innovativi che ha fatto parlare di sé è Animali che si drogano. Nelle sue ricerche riprende che esistono almeno più di 500 specie animali, dai mammiferi agli insetti, che mangiano intenzionalmente cibi psichedelici presenti in natura, comprese le secrezioni di altri animali, per inebriarsi. Nonostante il grande interesse verso altre prospettive non umane, c’è resistenza nel mondo scientifico-accademico ad accettare che gli animali siano psiconauti?
Quella che prima ho definito come psichedelifobia fa parte di una più estesa drogofobia, un comportamento psicologico ascientifico che affligge la stragrande maggioranza dei ricercatori di tutte le discipline, come purtroppo ho modo di constatare continuamente nei miei studi. Potrei dire che è da 40 anni che convivo con la drogofobia di archeologi, storici, filologi, antropologi, medici. È ampiamente diffusa finanche tra gli etologi, gli studiosi del comportamento animale. Da oltre un secolo i ricercatori osservano l’assunzione di droghe da parte degli animali, droghe che non sempre corrispondono a quelle utilizzate dagli umani, ma non si preoccupano di indagare il fenomeno. La loro drogofobia non gli permette di concepire che si tratti di un comportamento naturale e perciò continuano a considerarlo come un’enigmatica aberrazione comportamentale che resta da spiegare secondo i rigidi schemi behavioristi. La strada per il cambio di paradigma nell’ambito scientifico è ancora lunga e irta di poltrone baronali universitarie.

Gli animali possono sviluppare dipendenza da queste sostanze?
Generalmente no. Si è visto come nella maggioranza dei casi l’esposizione alla droga sia di carattere stagionale. I pochi casi di dipendenza, come quello dell’erba matta (locoweed) delle mucche, sono dovuti all’intervento antropico come gli assembramenti forzati e gli allevamenti intensivi del bestiame.

In alcune tradizioni, gli sciamani trasmutano in altri animali attraverso lo spirito della pianta psicoattiva, mentre sono presenti molte fiabe e racconti indigeni di animali che si travestono da umani. L’ebbrezza animale è paragonabile a quella umana? Come si comportano gli animali inebriati?
Molti animali, dagli uccelli ai mammiferi, quando sono sotto effetto di droghe psicoattive contorcono incessantemente la testa da un lato all’altro, un comportamento chiamato head-twitch. È un fenomeno così caratteristico, soprattutto per le sostanze psichedeliche, che la frequenza della contorsione viene presa come misura dell’intensità dell’effetto della sostanza negli animali da laboratorio. Ma a parte i comportamenti esteriori, non siamo ancora in grado di capire cosa provino gli animali sotto effetto delle droghe. È già tanto che i più moderni studi stiano aprendo alla possibilità che anche gli animali superiori possano essere dotati di una qualche forma di pensiero e di coscienza, sebbene buona parte degli etologi faccia molta fatica ad accettarlo, cioè a cambiare la propria mente.

L’animale in estasi gioca un ruolo importante nella spiritualità dei popoli locali. Uno dei casi più famosi è il giaguaro in Amazzonia che mastica le foglie di yagé da cui si ricava l’ayahuasca, che poi si ritrova nell’assunzione del giaguaro come animale di potere da parte degli sciamani locali. Come si presenta l’ebbrezza animale nell’esperienza del sacro delle varie etnie?
I popoli tradizionali non fanno una netta distinzione fra animali e uomini come siamo soliti considerarla noi occidentali, per questo ritengono simili le esperienze mentali degli animali e degli uomini. Il motivo è che nei tempi delle origini animali e uomini si potevano trasformare l’uno nell’altro, un fatto che secondo le credenze sciamaniche si ripresenta nel mondo attuale ogni qualvolta un uomo o un animale assume una fonte inebriante.

L’estrema destra si rifà al cristianesimo per proibire le sostanze psichedeliche. Il cristianesimo delle origini, e le diverse forme che ha assunto presso altre etnie, fanno uso di psichedelici?
Se nel Cristianesimo delle origini venissero assunti degli psichedelici è un’asserzione che resta nella sfera delle ipotesi e non dei dati accertati. L’estesa lacuna cognitiva della storia dei primi tre secoli del Cristianesimo continua a essere un grande ostacolo per la verifica di qualunque ipotesi drogologica. Al contrario, è una realtà di fatto che diversi gruppi religiosi odierni che si rifanno al Cristianesimo fanno uso di fonti psichedeliche come sacramenti per conseguire un’esperienza diretta con il divino. Ricordo il caso del culto brasiliano del Santo Daime che impiega l’ayahuasca, e quello del culto del Buiti fra i Fang del Gabon, dove viene utilizzata la potente pianta visionaria dell’iboga. Il Buiti è da tempo oggetto di mie indagini etnografiche sul campo, e per le quali sto preparando un ennesimo viaggio per il prossimo periodo natalizio.

Nella storia delle altre religioni monoteiste sono presenti droghe psichedeliche?
Vi sono concreti indizi di pratiche estatiche indotte dall’assunzione di fonti psichedeliche nel Sufismo islamico, nello Zoroastrismo e nel Rastafarianesimo. Non conosciamo, o forse solamente non sono stati studiati, seri indizi drogologici nell’Ebraismo.

Nelle sue interviste ha spesso rimarcato che per i popoli indigeni non esiste il concetto negativo di droga cosi come si è sviluppato in occidente. Quali sono i fattori culturali che hanno portato all’esorcismo dello psichedelico?
Le cause del proibizionismo e della psichedelifobia sono molteplici. Si sono sovrapposte una sopra l’altra nel corso dei secoli. Possiamo riconoscere un peccato originario di questo processo secolare nella lotta del Cristianesimo contro l’esperienza visionaria individuale. Una lotta che inizia con l’imporre l’egemonia assoluta della mediazione della casta prelatizia fra il divino e il comune mortale, e che raggiunge il suo culmine con l’Inquisizione. Questa negazione dell’esperienza individuale visionaria è stata inglobata e normalizzata nella psichiatria moderna, che sin dalle sue origini nel XVIII secolo considera patologico qualunque stato visionario a eccezione dei sogni. Un più recente impulso alla psichedelifobia si ritrova nella reazione politica al movimento psichedelico degli anni ‘60, che promosse tra l’altro l’indottrinamento delle figure professionali sanitarie sull’estrema pericolosità degli psichedelici, al punto da essere collocati nella famosa, oserei dire famigerata, Tabella I delle leggi di controllo sulle droghe, dove vengono riunite le sostanze altamente dannose e di nessuna utilità medica.

Sappiamo che il DMT è naturalmente prodotto dal cervello umano. Il sistema nervoso di altre specie animali produce sostanze analoghe?
Il DMT viene prodotto da diversi mammiferi, ed è un dato noto solo agli specialisti il fatto che la serotonina – il composto precursore di diverse molecole psicoattive, incluso il DMT – è uno dei neurotrasmettitori più antichi che conosciamo, apparso nella scala evolutiva degli esseri viventi diversi milioni di anni fa.

Il DMT viene secreto anche da diverse piante e funghi. Rievocando la visionarietà di Dale Pendell, è possibile che le piante vivano l’equivalente delle nostre visioni estatiche? Si può parlare di uno stato di ebbrezza per le piante?
È un’idea tanto inaccettabile quanto affascinante. Se anche gli altri animali e non solo l’uomo si drogano, ciò significa che questo comportamento in natura svolge una qualche funzione, forse adattativa o addirittura evolutiva. E se la droga fosse un fattore evolutivo, perché fermarsi agli animali e non estendere la sua funzione agli altri esseri viventi, alle piante? Certo è difficile capire come una pianta si droghi e cosa provi. È un’idea acerba, destabilizzante, quasi sovversiva, ma proprio per questo coraggiosamente proponibile da liberi pensatori quali Dale Pendell.

Oggi diversi studiosi riconoscono nelle piante la possibilità di formulare idee. Senza scadere in antropomorfismi, potremmo dire che il fiore o la radice secernono la sostanza psicoattiva perché hanno un’idea dell’estasi animale? Le piante psicotrope sono consapevoli degli effetti della propria sostanza sugli altri viventi?
Anche con questa domanda siamo nel campo della sovversione scientifica. Potrei difendermi dicendo che è troppo prematuro anche solo pensare a queste eresie. Eppure confesso che le penso anch’io, senza crederci, solo osservandole, badando bene tuttavia dal non scriverle nelle mie pubblicazioni scientifiche! Posso qui solo far notare come l’esistenza di una sottile e intricatissima rete di interazioni fra i diversi esseri viventi si stia lentamente evidenziando nei più moderni studi biologici, creando le basi scientifiche per un definitivo abbandono, o anche evoluzione, del troppo rigido paradigma evoluzionista darwiniano.

Una delle sue maggiori critiche è verso il paradigma della purezza sciamanica introdotta da Mircea Eliade, a cui si accompagna l’idea di purezza meditativa. Se nei confronti degli sciamani sembra esserci un cambio di prospettiva, la meditazione viene ancora venduta in occidente come una pratica “pura” da svolgere senza droghe.
L’opera di Eliade è soggetta da alcuni decenni a una severa critica da parte degli studiosi delle religioni, in particolare dello sciamanesimo. Eliade ha inventato una figura puritana dello sciamano che fu prontamente adottata dai primi movimenti New Age. Non a caso oggigiorno Eliade e Castaneda vengono considerati i promotori ideologici della New Age. I dati etnografici, storici e archeologici dimostrano inequivocabilmente l’antica relazione dello sciamano con l’impiego delle fonti visionarie psichedeliche, perciò lo sciamano di Eliade è stato influenzato dalla drogofobia personale dello studioso rumeno. La stessa fobia ha portato Eliade a inventare anche la figura dello yogico, del meditante come individuo che usa le tecniche di meditazione senza utilizzare i «mezzi degradanti, volgari e tardivi» (parole di Eliade) delle fonti inebrianti. Queste idee puritane hanno formato generazioni di studiosi e di praticanti della meditazione. Ho l’impressione che la strada per la liberazione da questi preconcetti e danni eliadiani sia ancora lunga.

Ci sono differenze tra l’esperienza del sacro vissuta attraverso gli psichedelici rispetto a chi non li adopera? Esistono etnie o correnti religiose che fanno una distinzione?
Il sacro è sacro, indipendentemente dalle vie utilizzate per accedervi. È il caso di puntualizzare che l’esperienza del sacro è da ricondurre a quelli che vengono definiti stati modificati di coscienza, che riuniscono una serie diversificata di esperienze psichiche non ordinarie. Da diverso tempo sono state sviluppate delle cartografie di queste esperienze, dove le più recenti sono molto complesse. Un altro fattore da tenere in considerazione è l’interazione fra l’esperienza non ordinaria e la sua immediata interpretazione, quest’ultima dettata dalla cultura personale dell’individuo che la vive. Ciò significa che le esperienze del sacro differiscono non tanto dalle modalità con cui le si esperisce, quanto dalla cultura che ne assorbe l’esperienza.

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