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Lo Swag di Virginia Raggi

Rolling Stone incontra la nuova sindaca dei 5 Stelle, che dice di essere pronta a salvare Roma. Senza dissing

Foto di Kimberley Ross

Virginia raggi, prima donna sindaco di roma, è soggetto di un diluvio di articoli sul suo conto che non accenna ad arrestarsi dopo l’incoronazione popolare: un controllo mediatico quotidiano e capillare, quasi senza precedenti. Nonostante lo stile poco appariscente, la voce sempre bassa e contenuta, la scarsa propensione per le dichiarazioni a effetto, Virginia, come lei stessa ha chiesto di essere chiamata, suscita emozioni forti, paragonabili per certi versi a quelle che accompagnarono a suo tempo l’ascesa di Silvio Berlusconi: c’è chi non le perdona nulla, neppure uno sbadiglio coperto in ritardo con la mano, e chi è pronto a sostenerla senza limiti. Però chi sia davvero la nuova sindaca di Roma resta un mistero.

Chi è questa giovane donna curata senza mai essere vistosa, tanto sobria che neppure Mario Monti ci troverebbe qualcosa da ridire, ma con una collana di perline che pare uscita dritta dagli anni ’70? È una miracolata portata dal caso e da 1764 preferenze sui 3862 votanti nelle “comunarie” dell’M5S a guidare la città più importante d’Italia oppure è una politica di razza? È un’amministratrice che bada al sodo, come lei stessa si dipinge, oppure – come sostengono i suoi molti nemici – è solo una sprovveduta kamikaze che si è assunta l’onere di governare la piazza più difficile d’Italia, una metropoli che ha sul groppone 13 miliardi di debiti, un commissariamento e praticamente niente che funzioni? Sarà una pedina nelle mani dei dirigenti del Movimento che profetizza la democrazia diretta, ma nell’attesa esercita un controllo dall’alto tra i più rigidi, o sbugiarderà il coro dei critici dimostrando una insospettata autonomia? Domandare alla diretta interessata se resterà in politica o tornerà all’avvocatura è inutile. Seduta al tavolino di un bar di Quarto Miglio, la borgata più popolosa di Roma e una delle più sperdute, con intorno la gente che scalpita per una foto ricordo, lei spalanca le braccia e sorride: «So solo che tra cinque anni non potrò ricandidarmi a sindaca, perché le regole del Movimento non me lo permettono. Ero già consigliera comunale, quindi sono al secondo e ultimo mandato. Ma immagino che potrò sempre dare una mano. Se mi chiedi cosa sarà del mio futuro, posso solo allargare le braccia e aspettare di vedere cosa succederà».

Virginia Raggi nel quartiere di Quarto Miglio, Roma. Foto Kimberley Ross

Dicono che a far pendere a suo favore la bilancia dell’M5S, quando si trattava di scegliere chi mettere in campo per la sfida principale nelle comunali, sia stato soprattutto il “provino” dei papabili a Milano, di fronte al guru Gianroberto Casaleggio. Virginia era risultata quella più capace di reggere senza scomporsi critiche, attacchi e colpi bassi. Nella comunicazione politica Casaleggio era un maestro. Sapeva che nella campagna elettorale romana proprio quella sarebbe stata la dote principale. Prevedeva che non sarebbero mancate insinuazioni, calunnie, scandali e sgambetti: a fare la differenza sarebbe stata la capacità di tenere sotto controllo i nervi.Casaleggio, scomparso lo scorso 12 aprile, non ha fatto in tempo a constatarlo di persona, ma il fiuto non lo aveva ingannato. In campagna elettorale la candidata a cinque stelle è stata accusata di tutto l’immaginabile: inesperta, telecomandata, corrotta, bugiarda, pariolina, fascista. Non se ne è fatta scalfire. Ha adoperato la buona educazione e una gentilezza tanto marcata da far sospettare la posa come trincee inespugnabili. Quando nel corso del comizio a Quarto Miglio, dove l’abbiamo incontrata poco prima del ballottaggio, un energumeno la interrompe urlando: «Dicci qualcosa del tuo lavoro nello studio Previti?», lei si limita a rivolgergli l’immancabile sorriso e e rispondere cortesemente: «Dico che non è vero. Grazie».

E alla fine arriva Grillo…
Non è solo una posa da comizio. A quattr’occhi, Virginia Raggi ostenta la stessa imperturbabilità: «Ma quale pariolina e quale fascista», sussurra senza fare una piega. «Sono cresciuta a San Giovanni, in una normalissima famiglia del ceto medio. Di politica, anche se votavo a sinistra, non mi sono mai interessata, fino a che non è nato mio figlio, sei anni fa. Si può dire che la mia militanza nell’M5S la devo a lui. Prima che nascesse, lavoravo 12 ore al giorno, non avevo proprio il tempo di guardarmi intorno. Dopo la nascita di Matteo, mi sono presa un periodo di pausa, ho iniziato a girare con lui per il quartiere dove abito, Borgata Ottavia, e mi sono resa conto di quante sono le cose che non funzionano a Roma. Mi sono detta che bisognava fare qualcosa, dato che si tratta della città dove mio figlio dovrà crescere. Così sono entrata nel Comitato di quartiere, che non aveva nessuna appartenenza politica, e ho iniziato a darmi da fare lì. Poi, nel 2011, è arrivato Grillo…».

Raggi ha usato la stessa strategia per fronteggiare rivelazioni scandalistiche, illazioni, in qualche caso vere calunnie: un tranquillo muro di gomma. Solo una volta ha concesso alle emozioni di trasparire. La notte del ballottaggio, a risultati già certi, su tutti gli schermi è comparsa con un’espressione ben diversa da quella che ci si sarebbe aspettati. Tesa. Quasi incattivita. Il paragone con il sorriso dello sconfitto Roberto Giachetti, più da condannato graziato in extremis che da candidato battuto, diceva tutto. Forse era la preoccupazione per il compito che attende chi ora deve provare a salvare Roma da un disastro che pare inevitabile. Forse anche l’imbarazzo per quel post pubblico con cui il marito aveva appena notificato a mezzo mondo le traversie di un matrimonio arrivato al capolinea. Ma, probabilmente, era soprattutto la rabbia per l’ultimo agguato, scattato a un secondo dal ballottaggio, con l’accusa di non aver denunciato due consulenze legali per conto dell’Azienda sanitaria di Civitavecchia svolte quando era già consigliera comunale a Roma. Ma è questione di un attimo, poi il sorriso torna a campeggiare. Se Virginia dimostrerà di essere capace in attacco quanto lo è nell’incassare i colpi, occuperà a lungo il palcoscenico della politica.

Virginia Raggi nel quartiere di Quarto Miglio, Roma. Foto Kimberley Ross

Quando si parla di attacco, però, non bisogna pensare ai ruggiti di “Giggino” de Magistris, il sindaco Masaniello rieletto a Napoli con un successo pari a quello dell’avvocatessa romana, e neppure ai pirotecnici show di Beppe Grillo, il padre fondatore. Raggi di tribunizio non ha nulla. Mai un decibel di troppo nella voce o un’accusa greve rivolta agli avversari. È l’opposto di come solitamente si immaginano i rumorosi “populisti” del movimento grillino. Rappresenta, in realtà, la seconda generazione dell’M5S, quella che non ha più per obiettivo il farsi largo a spallate, ma mira a rassicurare coniugando calma e fermezza, l’immagine solida e tranquillizzante di chi non vuole spaccare, ma ricostruire. La sindaca è così per carattere, ma anche perché con Roma c’è poco da scherzare o da ruggire. Per chi si aspettava la presa della Bastiglia, le prime uscite dell’eletta sono state deludenti, sempre caute, estremamente prudenti: «Ci vorrà del tempo. Non abbiamo la bacchetta magica e ci lasciano una città in macerie. È una macchina che sta andando a sbattere contro un muro, ma riusciremo a invertire la rotta». Però “piano piano”.

Tanta cautela non deve ingannare. Se sarà o no una sindaca all’altezza del compito lo dirà solo il tempo, ma sul fatto che Virginia Raggi sia una donna a cui “non è mai mancata la determinazione”, come scrive lei stessa nel suo profilo web, non ci sono dubbi. Lo ha già dimostrato con la durissima lettera inviata ai vertici Acea, che giusto tre giorni prima del ballottaggio avevano nominato un mazzetto di nuovi dirigenti per anticipare l’entrata in carica di una sindaca contraria alla privatizzazione dell’acqua. Lo ha dimostrato, soprattutto, non arretrando di un centimetro di fronte ai poteri che a Roma comandano da sempre e che, con le Olimpiadi 2024, vedranno probabilmente sfumare un affare da miliardi.

Dieci giorni dopo essere stata eletta e nonostante le pressioni, ha ripetuto parola per parola quel che aveva detto in campagna elettorale, pur lasciando aperto uno spiraglio per l’eventuale referendum: «Abbiamo appena finito di pagare una rata di 90 milioni per i Mondiali del 1990 e siamo indebitati per 13 miliardi. Fatevi i conti di quanto pesano questi eventi». Sarà davvero consapevole di sfidare gente il cui potere nella Capitale è eterno e smisurato? Avrà pensato a come fronteggiarli? Se glielo chiedi, lei si finge ingenua: «Ma lo vedi da solo: nessuno mi chiede delle Olimpiadi e in mesi di campagna elettorale nessuno lo ha mai fatto. I cittadini si preoccupano d’altro: dei trasporti prima di tutto, dell’assistenza agli anziani, dei disabili che sono quasi del tutto abbandonati». Sarà come dice lei, ma quelli che sono un po’ più cittadini degli altri, i palazzinari, i costruttori e gli affaristi della capitale, non concordano e non sono tipi da arrendersi facilmente. Virginia lo sa perfettamente. Ma dietro la risposta all’apparenza ingenua c’è un’idea, e solo il futuro dirà se fondata o illusoria, quella di potersi appoggiare agli elettori, agli abitanti della città disastrata, per tenere botta con i potenti: «Ce la possiamo fare insieme, perché Roma cambia se cambiano i romani».

Virginia Raggi con il giornalista Andrea Colombo, foto di Kimberley Ross

Roma val bene una messa
Come gatta da pelare, il governo di Roma è insuperabile. Ma a volte la situazione all’interno dell’M5S sembra appena meno spinosa. Prima del voto, Raggi si era attirata una marea di anatemi firmando, a differenza della sindaca di Torino Chiara Appendino, un “impegno etico”, corredato da salata multa di 150mila euro, a non derogare da non meglio specificati “princìpi del movimento”. Aveva peggiorato la situazione con l’annuncio che nelle decisioni sulle materie più spinose sarebbe stata affiancata da un “mini direttorio” composto dai portavoce dell’M5S alla Camera, al Senato, al Parlamento europeo e alla Regione Lazio. «Non si può governare Roma senza un rapporto continuo con le altre istituzioni. Il rapporto stretto con chi opera lì è nell’interesse dei cittadini romani», si era giustificata senza convincere quasi nessuno.

Forse gli stessi dirigenti del suo Movimento hanno scoperto solo dopo le elezioni che, dietro i modi sommessi, Virginia Raggi nasconde un carattere per niente remissivo. Invece di obbedire, ha ingaggiato un braccio di ferro per piazzare nei posti chiave dell’amministrazione le persone di sua fiducia, come il portavoce Augusto Rubei, che si è dimostrato bravissimo in campagna elettorale, ma ha il torto di non risultare abbastanza fedele ai vertici grillini.

Tra le conseguenze dello scontro interno c’è un ritardo nella formazione della giunta, più volte annunciata e sempre rimandata, che è diventato il nuovo cavallo di battaglia dei suoi nemici. Dopo la campagna elettorale, infatti, il fuoco ad alzo zero non si è placato. La sindaca, cattolica, ha rotto una consolidata tradizione recandosi appena eletta a messa, invece che all’altare della Patria. Si è subito levato un coro indignatissimo: «Baciapile. Il Campidoglio val bene una messa». Lei ha tirato avanti come se nulla fosse: il primo incontro ufficiale è stato con papa Bergoglio, nel territorio della Città del Vaticano. Però anche col pontefice la prima cittadina ha rotto le consuetudini. Si è presentata in giacca e tailleur scuri, accompagnata dai genitori e dal figlio. Ha salutato il papa con una stretta di mano, invece che col classico baciamano. Gli ha portato in dono un video con le voci degli abitanti delle disastrate periferie romane, quelli che con il loro voto plebiscitario ne hanno decretato il trionfo. E in testa alla sua lista delle urgenze rimane il progetto di ricavare 400 milioni di euro facendo pagare l’Imu alle molte proprietà vaticane sparse per la metropoli, che sono a tutti gli effetti attività commerciali. Stavolta le critiche sono state ben più sommesse.

Intende continuare così, Virginia Raggi: ignorando le polemiche messe nel conto sin dall’inizio della sua avventura, da quando dichiarava: «Non so se ce la farò, però io sono pronta». Sa che, alla fine, una cosa sola conterà, per lei, per il suo Movimento che nel governo di questa città si gioca tutto e forse, soprattutto, per Roma: i risultati.

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