Rivolte, pillole oniriche e una Roma futuristica e oscura, dominata dalla multinazionale Yoko, produttrice di tutti i gadget elettronici possibili. Golem, graphic novel di Lorenzo Ceccotti (in arte LRNZ) uscita a inizio anno per Bao Publishing, è un’opera distopica che è valsa al suo autore il Premio Boscarato nella categoria “Miglior disegnatore” al Treviso Comic Book Festival conclusosi proprio domenica. Ne avevamo già parlato a suo tempo sulle pagine di Rolling Stone ma, dopo questo premio, era doveroso fermare LRNZ nel bel mezzo di un buffet trevigiano per parlare un po’ del suo lavoro.
Golem ha un’origine molto lunga, ce la racconti?
Golem ha avuto una gestazione lunga ma sui generis perché di solito, quando un’opera ha una tale gestazione, c’è un costante avanzamento dei lavori fino al suo compimento. Invece io ho sostanzialmente perso tempo per un sacco di anni con questa idea in testa perché non ero in grado di farla: ho fatto dei tentativi, tanti anni fa è uscita una puntata pilota su Pic Nic, un freepress che abbiamo fatto con i Super Amici, che però non somigliava per niente a quello che volevo ottenere.
Qual era il problema: la narrazione o il disegno?
Era la narrazione a non andare: c’era tutte delle ingenuità in quella prima versione. Mi piace quindi dire che è come se avessi preso la rincorsa per quindici anni per poi metterci pochissimo a farlo: una volta raggiunte le condizioni giuste non mi sembrava nemmeno vero, c’ho messo davvero poco, mi sono proprio chiuso in casa per togliermi di dosso questo peso.
In tutto, comunque, parliamo di circa 15 anni.
Beh, facciamo i conti: ho avuto l’idea mentre ero in terza liceo e adesso ho 37 anni. (pausa) Sono venti anni!
Eh sì, una ventina.
Beh sì, più di quindici anni. Infatti pensavo da sempre a una storia come quella di Golem. Per questo non ho appena ho potuto farlo, c’ho messo poco, concentrandomi solo su questo e tagliando ogni altro impegno. Sono circa 300 pagine sviluppate con una media di quattro tavole al giorno… (Lorenzo e io proviamo a dividere 300 per 4, con grossa insicurezza.) Beh, comunque in cinque mesi ho fatto tutto.
Ricordi com’era la primissima idea, il germe di Golem?
Sì, era molto semplice: una delle idee fondamentali era che la tecnologia, da sempre, ha un aspetto etico enorme, e la si può usare a fin di bene o a fin di male. Un’industria può essere onesta o disonesta con i suoi clienti. Poi, avendo studiato disegno industriale per tanti anni, questa cosa è diventata lampante, diciamo. Studiare il dietro le quinte degli oggetti ti fa capire come la tecnologia venga spesso usata in modo doloso. Quindi il concetto di tecnologia come conoscenza e il fatto che tutta la vera innovazione è data dal sogno, soprattutto i sogni dei bambini, che sono alla base di tutte le scoperte dell’uomo. Mescolando tutto questo per anni sono uscite fuori molte idee come quella del golem come metafora.
E la città di Roma, rappresentata in modo così distopico?
L’idea è sempre stata quella di ambientarla nel futuro e di usare la distopia per fare una satira delle moderne democrazie. La scelta di Roma è invece successiva perché all’inizio volevo ambientare la storia in Russia. Poi però è stato chiaro che l’alienazione di cui volevo parlare era un fenomeno globale che toccava qualsiasi luogo del mondo, compreso quello dove vivo, Roma. Tutti però mi dicono che la Roma di Golem è irriconoscibile e invece secondo me è davvero simile alla realtà: la Roma periferica è già così, non è troppo diversa da quella che ho disegnato su Golem.
A livello sociale o architettonico?
A livello architettonico, di colpo d’occhio. Il livello di disumanità è altissimo. È per questo che Treviso mi piace tanto (eravamo nella corte interna di una villa veneta nel cuore della città: in effetti non era malaccio).
Cosa ti ha ispirato nella creazione di una società distopica?
La cosa che mi ha più ispirato è stato Il figlio degli uomini di Alfonso Cuarón che secondo me è uno dei momenti più alti della fantascienza moderna con la sua rappresentazione distopica della modernità. C’è uno scambio millimetrico rispetto la nostra realtà eppure l’effetto è fortissimo ed è credibile, sembra tutto normalissimo, è una cosa bellissima. Cuarón ha la capacità di alterare degli elementi strutturali fortissimi con attenzione e maniacalità che fa sembrare tutto vero.