Rolling Stone Italia

Maccio Capatonda ha fatto pace con se stesso

La lettera a Michael J. Fox, la passione per il golf, il debutto in tv. Nella sua biografia ‘Libro’ Maccio si mette a nudo: «Senza i miei personaggi mi sentivo un manichino, ora ho rivalutato la mia versione al naturale»

Maccio Capatonda è diventato Marcello Macchia nello spazio di circa 200 pagine, in perfetta continuità con quel “TG Casa Quarantena” in cui ci ha fatto vedere casa sua, la sua intimità e persino la sua ragazza. In Libro fa il punto della situazione al giro di boa dei 40 anni, e fa pace con se stesso, con il suo sentimento d’inadeguatezza, con la paura della realtà. «È vero», ammette, «ho rivalutato la mia versione al naturale».

In Libro (Mondadori Electa), concluse le istruzioni per l’uso e le avvertenze contro la lettura, Maccio racconta Marcello e tutte le sue stranezze: il reale a volte sembra un’invenzione, e le invenzioni sembrano cose realmente accadute: non è facile distinguere, ma nel complesso ci racconta un sacco di cose vere. Tipo quando, da bambino, andava in giro con il dado per il brodo in tasca, lo usava per calmare la fame o per trovare rifugio nei momenti di disagio. O quando faceva il chierichetto per il semplice fatto che andava matto per le ostie, fino a quando fece un’indigestione dopo averne ingoiato decine in sagrestia. O la sua passione per il golf, soddisfatta soltanto da brevi soggiorni estivi a Fiuggi con il nonno. Lo stile cambia a seconda delle fasi di vita: Maccio riesce a scrivere come un bambino che ripete in continuazione gli stessi concetti nelle prime pagine, poi come un adolescente, mentre il tono diventa più serio quando racconta l’inizio della sua carriera, ci parla di cinema, di doppiaggio di montaggio. Notevoli i passaggi in cui il tempo della scrittura si ferma, e improvvisamente l’autore si lancia in surreali dialoghi con se stesso o altri personaggi. «Ho come la sensazione che la scelta di fare il comico e in generale l’artista sia una via alternativa alla politica», dice. «Anziché scendere in campo e cercare di cambiare le cose, si sceglie di comunicare il dissenso attraverso l’arte, la destrutturazione dei linguaggi, la risata».

Marcello Macchia nasce con quel faccione grande che fa sembrare alcuni neonati delle precoci teste pensanti, cresce con il disprezzo di essere nato, e soffre per l’incapacità di muoversi come vorrebbe. Poi si fa delle grandi dormite al cinema finché non scopre Ritorno al futuro, e comincia a tappezzare la camera di poster di Michael J. Fox. L’attore americano risponde a una sua lettera con una cartolina indirizzata a “Marcella Mocchie”. Vive la scuola come una prigione, finché non comincia a scrivere una giornaletto che fa ridere anche i professori. Fa film horror amatoriali, che senza volerlo fanno sganasciare dalle risate amici e parenti. Impara a ballare come Michael Jackson, e soprattutto a montare usando due registratori VHS. Dopo la facoltà di Scienze di Comunicazione a Perugia, una società di produzione pubblicitaria milanese lo valorizza, ma Maccio perde il suo lavoro a causa del servizio civile obbligatorio. Fu la ragazza che gli prese il posto a presentarlo a Carlo della Gialappa’s, un amico di famiglia. A Mai dire Grande Fratello nel 2004 nacque il mito di Maccio, con i suoi trailer e i suoi personaggi. Una serie di format perfetti per il web che sfondano in televisione prima ancora di nascere sul web.

L’intervista dalla Bignardi, dopo l’uscita di Italiano Medio nel 2013, su Youtube accumula quasi un milione di visualizzazioni. Si schermisce, chiede una birra per rilassarsi, trasuda un’umiltà e un senso d’inadeguatezza che ora Maccio considera eccessivi. «Questo libro», racconta, «è stata come una seduta psicanalitica. Se prima quando non interpretavo un personaggio mi sentivo un manichino nudo, inadeguato, ora ho rivalutato la mia versione al naturale. Con TG Casa Quarantena ho puntato all’iper-realismo per renderlo spettacolare». Gli eventi scatenanti sono diversi: i suoi due gatti, che l’hanno convinto a trasferirsi a Roma perché a Milano non trovava una casa con giardino; la pandemia e il lockdown, naturalmente; l’incontro con la sua ragazza, Myriam, che in quattro anni lo ha accompagnato in un percorso di accettazione di se stesso. «È riuscita a farlo anche tecnicamente, perché era lei l’operatrice dietro le immagini del TG, e la sua apparizione nel trailer di The Congiunty è stato un doveroso omaggio».

Ora Maccio lavora a un terzo film, che va nella stessa direzione del cambiamento che sta vivendo: «Si tratta di una storia distopica ma raccontata in maniera realistica, una sorta di Black Mirror comico, senza eccessive caricature e caratterizzazioni nella mia recitazione. Lo faccio per il cinema, rispetto ai precedenti. Verrà girato tra la primavera e l’estate».

Iscriviti