Massimo Coppola prova a sbloccare il presente: torna ‘brand:new’ | Rolling Stone Italia
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Massimo Coppola prova a sbloccare il presente: torna ‘brand:new’

Dopo 25 anni torna una nuova versione del programma cult di MTV, ma a teatro. Non chiamatela nostalgia, perché è una «anti-reunion». In questa intervista lunghissima come un flusso di coscienza durato un quarto di secolo, ci parla di musica, politica e futuro. E su cosa significa essere di sinistra oggi: «I diritti non si negoziano. Gli indecisi sono di destra»

Massimo Coppola prova a sbloccare il presente: torna ‘brand:new’

Massimo Coppola

Foto: Pamela Rovaris

New:brand:new volume uno. Un titolo che sembra un glitch, un cortocircuito, una di quelle cose che accadono quando schiacci troppo forte il tasto rewind. E invece no, Massimo Coppola torna davvero, e lo fa con un tour teatrale che riprende la struttura del programma cult di MTV (al via dall’Astro Club di Pordenone dal 21 febbraio), scritto con Giovanni Robertini e Alberto Piccinini. Per chi c’era, per chi vuole capire gli anni zero e perché da allora giriamo a vuoto. Ma non ci sarà spazio per la nostalgia: «Mi dissocio da me stesso, da questi ultimi 25 anni. Ma ci dissoceremo guardandoci in faccia, avere paura insieme è meglio che consolarsi da soli», leggiamo nella presentazione.

In fondo chi guardava brand:new non stava solo guardando un programma: stava dentro un’idea, un linguaggio, un pezzo di mondo. Un monologo fluido e destrutturato, in cui un filosofo ventenne milanese raccontava se stesso, la politica, la musica, la società. Una tv che lo metteva in onda senza censura, e mentre l’Italia berlusconiana raccontava il futuro come una promessa scintillante, lui intravedeva il baratro: «Al tempo raccontavo il lancio di Napster e MySpace, e già allora parlavo della morte della selezione musicale. Pensavo a un oceano infinito di canzoni, che alla fine diventano una sola. Ora abbiamo un gigantesco continuum».

Tornare oggi, però, non è neanche un’autocelebrazione. In questa lunga chiacchierata, che sembra l’estensione di new:brand:new, Coppola la chiama anti-reunion. Un modo per riaprire quel flusso e rimettere tutto in discussione, come se l’ultimo quarto di secolo fosse un vhs in loop: «Ho visto i vecchi video e sembrano girati ieri». C’erano già i titoli sparati di Libero, il razzismo nel calcio, la Cia che annienta i terroristi, il prezzo alle stelle del petrolio… Cambiando i nomi dei protagonisti, ma il paradigma è il medesimo.

Così Coppola, che alla deriva verso il centro preferisce il riaffermarsi di un linguaggio radicale, incalza con la rabbia che caratterizzava i primi anni del 2000: «Con Berlusconi al governo non c’era libertà e noi facevamo le campagne contro l’omofobia e la guerra, la sensibilizzazione sull’alimentazione, la malattia mentale e la sessualità. Tutto questo rivolto ai giovani è esattamente cosa significa essere di sinistra». Poi qualcosa si è interrotto a partire dal G8 di Genova: «Ci ha rivelato che la violenza vince». Così oggi, mentre «ciò che succede a Gaza mi toglie il sonno», torna a riflettere su come la «ritirata da un linguaggio radicale sia stato uno dei mali della sinistra». Perché «i diritti non si negoziano» e per lui «gli indecisi sono di destra». E intanto che si ritiene superiore al «subumano» Matteo Salvini, riaffiorano nelle immagini dell’epoca le giovanissime Giorgia Meloni e Mara Carfagna: la prima che ci aveva visto lungo sulla «perdita d’identità», la seconda «che era di un’ignoranza sesquipedale».

Nel frattempo ci ha spiegato perché un dottorando in filosofia che stava partendo per Oxford, decise di accettare la proposta di una tv sperimentale, e come mai quel format si sia trasformato in «una storia di successo di pop culture progressista». Tra una boccata di sigaro e un’altra (ma assicura: «non sono radical chic»), ci porta a ripensare il presente, dove le più grandi novità gli appaiono già vecchie. Le serie streaming? «David Lynch con Twin Peaks è arrivato trent’anni prima». Elon Musk e la “filosofia” della PayPal Mafia? «Sta hackerando, con strumenti finanziari e di engagement, la più grande democrazia del mondo».

Insomma, forse davvero «Massimo Coppola è rimasto per anni chiuso in quello studio e sta aspettando che si riaccendano le luci». E qual è la prima cosa che dirà? «Ehi, non è cambiato niente!».

Una domanda che può sembrare scontata, ma spesso non la è: come stai?
Questo tuo inizio mi piace molto…

Coppola rivolge lo sguardo altrove, tira una corposa boccata di sigaretta, inspira ed espira con calma serafica, e poi si concede una lunga pausa di riflessione prima di rispondere.

In effetti la gente si sorprende quando rispondo sul serio. A me non piace se le persone rispondono solo «bene»… meglio allora mi dicano: «ho avuto un po’ di costipazione intestinale, però adesso meglio». Ti posso rispondere che ieri sera ho riletto delle pagine di Tolstoj e mi sono reso conto per la milionesima volta di essere del tutto superfluo. Mi hai anche fatto venire in mente il film Paterson, di Jim Jarmusch, con la gag dove Adam Driver chiede ogni giorno al suo collega «come stai?» e lui, dopo avergli elencato quotidianamente in dettaglio i suoi guai alla fine gli dice solo: «lasciamo perdere». E tu, invece, come stai?

Potrei risponderti come Nino Frassica, che alla domanda «come stai?», nel podcast Tintoria, ha ribattuto: «Adesso sto bene, ma sono stato anche benissimo».
(Scoppia a ridere) Allora posso replicare con una battuta di mio padre: «La maggior parte delle persone, quando ti chiedono “come stai”, in realtà ti stanno dicendo “come sto?”».

Massimo, torni dopo 25 anni dalla prima puntata su MTV di new:brand:new, stavolta però live. Ma chi te l’ha fatto fare?
Bella domanda. Nonostante sia consapevole di avere ottimi strumenti razionali, li uso molto bene sulle piccole cose e sugli altri, quando me lo chiedono, mentre su me stesso nella vita quotidiana faccio fatica. E anche questo programma fa parte della vita quotidiana, se lo pensiamo da un punto di vista più esistenziale. Potrei considerarlo il mio Ricomincio da tre.

In che senso?
Negli anni mi hanno chiesto tante volte dalla tv di rifare brand:new, o di rifare Avere vent’anni, e io ho sempre detto di no. Perché eravamo come una band alternativa che ha smesso quando ha raggiunto il picco. Era come chiedere a un gruppo, come nel nostro caso, di rifare un album o di provare a tornare in concerto. È vero che oggi l’80% delle produzioni sono celebrazioni del passato, siamo nel pieno delle reunion, dai CCCP agli Oasis. Anche se, a dir la verità, questa formula per new:brand:new ho iniziato a pensarla dal 2021.

Che genere avrebbe suonato brand:new se fosse stata una vera band?
Punk-pop! A prescindere dall’apprezzamento o meno che poteva suscitare, era chiaramente distonico rispetto al luogo in cui andava in onda. Nonostante questo, però, aveva creato intorno a sé una vera comunità. Forse l’ultimo movimento culturale prima dell’avvento dei social, che sono arrivati subito dopo. Anche questo, a ripensarci, è abbastanza incredibile.

Li avete quasi sospinti i social, visto che già facevano capolino.
Al tempo di brand:new ho raccontato il lancio di Napster e di MySpace. E in tutti i miei deliri, nei quali mi chiedevo dove saremmo arrivati, ce ne sono alcuni che ancora oggi mi fanno sorridere. Perché non solo siamo arrivati dove pensavo, ma abbiamo fatto due volte il giro di boa. Parlavo già, per esempio, della morte della selezione musicale. Dell’arrivo di una sorta di oceano rappresentato da un’unica canzone. Quando superi i trenta trilioni di triliardi, alla fine la canzone diventa una sola. Infatti nello show parlerò anche di questo. Un conto è avere in mano sette granelli di sabbia, un altro tutto il deserto. Ora abbiamo un unico gigantesco continuum. Però non so se ti ho risposto…

Lasciamola così, valuteranno i lettori.
Ti posso aggiungere che ho il divertimento di farlo, anche per vedere le persone riconoscersi. Immagino queste meravigliose persone, che guardavano con interesse brand:new, ascoltando la musica e i concerti che consigliavo loro, ma poi non si erano ancora ritrovati a guardarsi in faccia. Non vedo l’ora che vi vediate tra di voi. E io vi osserverò.

Francesco Bianconi dei Baustelle mi ha detto che «viviamo un’epoca di nostalgia».
Capisco cosa intende, anche se io mi sento meno self-centred. Credo sia necessario fare uno sforzo in più. Sto riguardando i vecchi materiali e spesso parlo con quella che sembra nostalgia delle cabine del telefono o della TV in bianco e nero… ma alla fine poi mi lasciavo sedurre totalmente dal contemporaneo. A me la nostalgia non interessa, così come il giudizio sulle generazioni che è spesso troppo sbrigativo. È vero che la rivoluzione digitale è stata un cambio di paradigma, come si direbbe in filosofia della scienza, ma non c’è una generazione che non si è pensata superiore a quella successiva. Anzi, penso che, tra le tante cose che la sinistra dovrebbe cominciare a fare è non pensarsi superiore alle generazioni successive.

Ma non vuoi prima spiegarci meglio che cosa sarà new:brand:new a teatro?
L’idea è di fare, con strumenti e una maturità diversi, qualcosa che ho già fatto, ed è per questo interessante. Ma ti ripeto: è più una anti-reunion cosn il pubblico, perché non l’ho davvero mai visto in faccia. Allora ero in studio da solo di fronte a dei televisori mal sintonizzati, in un’epoca totalmente analogica. Essendo poi stato uno undercover, perché non sono uno che va in giro a fare l’opinionista, tornare con qualcosa e far scattare il putiferio che si è scatenato mi ha stupito. Mi ha fatto piacere.

Hai scritto: «Avere paura insieme è sempre meglio che consolarsi da soli».
In fondo è questo che facciamo. Critichiamo le generazioni successive, ma i 50enni di oggi passano molto più tempo sul telefonino di quanto non facciano i loro giovani.

Massimo Coppola. Foto: Pamela Rovaris

Faccio un salto all’indietro: chi era Massimo Coppola prima di brand:new?
Ero un giovane filosofo. Stavo facendo un dottorato in scienze cognitive, dopo essermi laureato in filosofia della scienza con Giulio Giorello, purtroppo scomparso poco tempo fa. Ho vinto questo dottorato a Torino, e a un certo punto mi arriva un invito per trascorrere un semestre a Oxford che è la capitale mondiale della filosofia analitica. Come se a un ragazzino il Barcellona dicesse: vieni ad allenarti con noi per sei mesi? Nello stesso momento è arrivata la proposta di MTV.

Com’è andata in seguito lo sappiamo. Ma cosa ti ha portato a preferire MTV?
Ci ho messo una notte a decidere. Quando ho incontrato Antonio Campo Dall’Orto, che oggi posso dire è uno dei miei migliori amici e con il quale ho condiviso tante avventure, ho conosciuto una persona che ha una rara cultura e una grande sensibilità pop-progressista. Io chiesi carta bianca, però era un modo per mandare affanculo quella che allora per me era solo una multinazionale americana. Ero convinto non mi avrebbero mai fatto fare quello che volevo. Invece me lo hanno fatto fare. La MTV di quegli anni, di Dall’Orto, è irripetibile.
Con Berlusconi al governo non c’era nessuna libertà e noi facevamo le campagne contro l’omofobia, contro la guerra, la sensibilizzazione su alimentazione, malattia mentale e sessualità. Tutto questo rivolto ai giovani è esattamente cosa significa essere di sinistra.

È partito subito bene o c’è voluto un periodo di rodaggio?
Mi hanno protetto molto, perché all’iniziocome ha fatto fatica a ingranare. Era qualcosa di veramente nuovo. Poi è diventato un programma cult, come in seguito Avere vent’anni. Comunque, per risponderti, ho scelto MTV rispetto a Oxford per la voglia di stare in mezzo alle persone e provare ad avere una influenza sugli altri. Io mi occupavo di mente e coscienza, aspetti fondamentali ma con i quali sarebbe stato difficile avere un impatto come quello che sono riuscito ad avere con quel tipo di tv. Alla fine penso di aver usato meno peggio di altri lo spazio e l’audience che ho avuto. Soprattutto l’ho fatto in maniera autentica. Non ho detto nulla in cui non credessi davvero. Ecco, se c’è qualcosa che new:brand:new può celebrare simbolicamente, è una storia di successo di pop-culture progressista in Italia.

Ho recuperato qualche estratto di brand:new che si trova ancora su YouTube e quelli che hai pubblicato sui tuoi social nelle ultime settimane. Ce n’è uno dove parlavi dei titoli di Libero, del razzismo nel calcio, di Weah che va a giocare in Arabia Saudita, della Cia che annienterà i terroristi, di Bin Laden che forse ha la bomba atomica, del Grande Fratello posticipato e del prezzo del petrolio alle stelle. Basta sostituire qualcuno dei protagonisti, ma le dinamiche sembrano rimaste le stesse del 2001.
io:massimo coppola è rimasto per 25 anni chiuso in quello studio. Sta aspettando che si riaccendano le luci, mentre è ignaro di tutto quello che è successo nel frattempo. Viene fuori perché qualcuno ha deciso per lui che è tempo di incontrare tutte le persone che lo seguivano e la prima considerazione che fa è questa: «Ehi, ma non è veramente cambiato niente! MALEDETTO CAPITALISMO!».

In un altro estratto dicevi: «Bob Dylan ogni volta che fa un disco torna a essere il più grande». E siamo adesso a pochi giorni dall’uscita A Complete Unknown.
Perché è rimasto vivo. Così come Kurt Cobain è rimasto morto. Questo mi sarebbe piaciuto che fosse cambiato. Avrei voluto uscire da quello studio e ritrovare Kurt Cobain risorto, visto che è una delle grandi ferite della mia generazione. Ma mai quanto la morte di Carlo Giuliani, che è la vera morte dell’idea di futuro che abbiamo subito. Se ci ripenso sono ancora scosso.

Il G8 di Genova è stato il grande spartiacque della storia recente?
A parte il povero Carlo, lì non è stata tanto una questione di simboli, ma di epifania. Quel momento ci ha rivelato che la violenza vince. Uno può dire: ok, è morto un ragazzo come ne sono morti tanti altri. Ma uccidendo lui hanno ucciso un’idea. Ribadendo di fronte al mondo che i potenti sono i potenti e i deboli sono i deboli. E quando il debole si fa scudo di un rotolo di scotch, come quello che stava intorno al braccio di Carlo, contro le rivoltelle e le jeep dei fascisti, non c’è più niente da fare. È seguito un quarto di secolo di violenze inusitate.

Dopo due mesi c’è stato anche l’attentato alle Torri Gemelle in America.
Dove è stata uccisa una percentuale infinitesimale rispetto a quella uccisa dalla rappresaglia americana fondata su notizie false. E possiamo andare avanti fino all’oggi. Quello che sta succedendo a Gaza mi toglie il sonno. Ci definiamo civiltà Occidentale quando scorrono le foto dei palestinesi che tornano sul loro territorio che sembra una scena di Mad Max. Da questo punto di vista il G8 è stato uno spartiacque, perché adesso ne parlo con venature di amarezza e un senso di sconfitta, mentre allora eravamo animati da una vera incazzatura.

Come si reagisce?
È difficile persino pronunciare un “vaffanculo” perché è stato assorbito dall’esperienza del M5s. Anche per questo motivo ritengo che chi giudica male le generazioni successive si dimentica che il mondo che stiamo vivendo in questi giorni lo ha quasi del tutto creato la nostra generazione.

Era il 2001, c’era appena stato l’attentato alle Torri gemelle, e tu a brand:new spiegavi: «La guerra oggi funziona così: si tratta di occupare i mezzi di informazione con affermazioni semplici e più efficaci possibile. Più efficaci di quella immagine che nessuno potrà più dimenticare». Profetico?
Era già così. L’11 settembre 2001, con quelle migliaia di morti nelle Torri Gemelle che crollano, hanno generato una immagine che ha moltiplicato le migliaia di vittime in 3 miliardi, mentre le persone che sono morte a Gaza negli ultimi 12 mesi, anche se sono cento volte di più, non hanno avuto lo stesso effetto. Così come fu la statua di Saddam che cadde con la presa di Bagdad. Quello è stato lo zen della dittatura dell’immagine, oggi invece ce ne sono così tante che è difficile trovarne una davvero simbolica. Da questo punto di vista l’attentato alle Torri gemelle è stato uno degli spot più riusciti della storia dell’umanità.

Siccome tutti ricordiamo dove eravamo quell’11 settembre, tu dov’eri?
Mi trovavo negli studi di MTV, dove, dopo tre ore, scattò il piano di emergenza. Anche perché era una tv americana, molto esposta perché tra i cinque marchi più popolari del mondo. Ricordo molto lucidamente quello che è successo. Non c’era spazio per l’emozione profonda, perché il G8 di Genova era ancora una ferita aperta e riuscii a vedere fin da subito i contorni meno istintivi della vicenda. Comunque, in quanto “americani”, dal giorno dopo quel luogo di gioia e unione divenne uno slalom di metal detector e emergenze rosse. Quel giorno capimmo anche un’altra cosa: che proteggersi significa limitare la propria libertà.

Avere vent’anni, che hai citato, è stato un altro programma che ha lasciato il segno. Anche quello è stato un altro bel salto nel buio per MTV. Nel 2006 intervisti Giorgia Meloni, quando era soltanto presidente del movimento giovanile di Alleanza Nazionale, e mentre la accompagni a un raduno politico ti dice: «La sinistra ha fatto l’errore di avere come unico collante l’anti-berlusconismo. Non paga mai, perché rischi di perdere l’identità». A risentirla oggi ci aveva visto lungo?
Infatti, a memoria, mi sembra di averle risposto: «Sì, hai ragione». L’ho sempre pensato. Credo che questa lunga ritirata da un linguaggio più radicale, letteralmente radicale, sia stato uno dei grossi mali della sinistra. Che significa sostenere, per esempio: chi guadagna meno di 40mila euro non paga le tasse, chi guadagna più di 1 milione di euro paga il 70 per cento. Punto. Non è qualcosa che si dibatte, anche perché non ti serve 1 milione di euro. Serve alla collettività e anche a chi, per libera scelta, decide di non far parte del sistema capitalistico. Sulle guerre hai sentito delle posizioni forti della sinistra? Io no. La sinistra riformista, per andare al governo, si è allargata sempre un po’ più a destra, ma per fare cosa? Per lasciare spazio a chi non si è spostato al centro, ma si è radicalizzato per fare appello a degli istinti.

Una sinistra così radicale riuscirebbe anche a essere di governo?
Ma certo, anche la sinistra può fare appello a degli istinti. Perché gli istinti non sono tutti negativi. Solo che, finché non capiamo come parlare agli istinti positivi che animano la società, dai movimenti alla cultura fino alle nuove tendenze, non ci riusciranno mai. Io sarei pronto a lavorare 24 ore al giorno per un leader della sinistra che fosse in grado di esprimersi in maniera radicale. I diritti? Non si negoziano. Non si può usare il bilancino. Anche perché dev’essere irrilevante con chi scopi. Punto e a capo, fine del discorso. Invece no, continuano a entrare in un dibattito per sedurre gli indecisi. Per me gli indecisi non esistono. Gli indecisi sono quelli di destra. Se uno è indeciso sui diritti Lgbtq+ è inutile provare a blandirlo.

Una puntata di brand:new si intitolava: «Ma te staresti mai insieme a una ragazza di destra?». Oggi sarebbe un tema ormai sdoganato?
Chi ha sdoganato la ragazza di destra? Io no. Un conto è essere liberali, allora ti posso anche convincere. E se sei liberale siamo della stessa idea sui diritti. Poi avremo delle idee diverse sul mercato perché sei convinto che si auto-regoli? Possiamo litigare, ma alla fine va bene lo stesso. Ma se una persona è fascista o razzista non è accettabile per me, neanche oggi.

Scrivevi in una auto-intervista a Rolling Stone: «Il soft power è la capacità della pop culture di influenzare l’opinione pubblica, o sensibilizzarla, se preferisci, su temi di natura sociale, politica e culturale». Tanto che ultimamente persino Elodie dichiara apertamente che non voterebbe Elly Schlein perché non ha abbastanza carisma.
È molto preoccupante. Cos’altro si può aggiungere?

Hai intervistato anche una giovane Mara Carfagna, passata dalla tv alla politica.
Era di una ignoranza sesquipedale. Non aveva idea di cosa stesse facendo e dicendo. Era una soubrette. Quando le hanno detto che sarebbero arrivati quelli di MTV era felice e contenta e ci è cascata. Negli anni ha studiato, si è data da fare andando oltre al kit di Forza Italia.

Massimo Cacciari nel 2001 ti disse: «Al momento la televisione, nel suo uso di massa, è un mezzo che anche esteticamente è vecchio». Eppure, dopo 25 anni, lui è ancora in tv.
A Massimo Cacciari invidio due cose. La sua sconfinata cultura filosofico-continentale e il suo narcisismo, che se ce l’avessi io sarei molto più felice. Lui è ancora al centro della messinscena televisiva, perché non ci sono neanche più i prodotti televisivi. Ci sono delle rimesse in scena di quello che era un prodotto televisivo. In questo ci aveva preso, visto che non c’è più una novità in tv dai tempi dei reality show, appunto dal 2001. Tra l’altro si parla tanto delle serie streaming, quando qualche settimana fa è morto David Lynch e per fortuna qualcuno si è ricordato che è esistito Twin Peaks trent’anni prima delle piattaforme.

Sempre Cacciari, in quella intervista, si avventurò anche sui social network allora agli albori: «C’è il pericolo di creare mostri cosmopoliti». Questa l’aveva azzeccata?
Ma il problema sai qual è? Se uno, in astratto, pensa a quello che ha fatto, può credere di essere un coglione. Però, se ti guardi in giro oggi, se hai letto tre libri sei un gigante. Chi ha vissuto il mondo analogico, che era caratterizzato dalla facilità di incamerare informazioni complesse perché era più faticoso reperirle, ha un vantaggio enorme. Più è faticoso reperire una conoscenza e più ti rimarrà attaccata. Ricordo ancora un saggetto di Kant che andai a prendere alla Normale di Pisa in treno. Quelle dieci paginette le so ancora a memoria. Se mi chiedi cosa ho letto ieri sera fatico a ricordarlo.

In passato, oltre ai programmi di intrattenimento, c’era spazio per Pickwick di Alessandro Baricco, Passepartout di Philippe Daverio, e persino per il teatro di Vittorio Gassman e Carmelo Bene. Com’è che non si riesce più a fare tv intelligente?
Chi lo ha detto che non si riesce? Non si vuole più farla. Se detieni il potere politico e hai gli strumenti per gestire la materia culturale di massa, puoi solo dire che non vuoi, non che non riesci. Non si riesce a fare la riforma dell’informazione Rai? No, non si vuole farla. È ben diverso.

Anche per questo brand:new non torna in tv ma a teatro?
Sì, e i temi saranno gli stessi di allora. È chiaro che parliamo di formati diversi, però sarà quello. Lo spettacolo è un monologo con un filo narrativo, che spero divertirà e darà alle persone la percezione di trovarsi in una TAZ (temporary autonomous zone, l’anarchica “zona di autonomia temporanea”, nda). Penso che brand:new sia una possibile declinazione italiana dell’idea anglosassone di pop-culture. Ci tengo a sottolineare che, anche chi mi seguiva, forse aveva capito male. Non ho mai avuto un giudizio negativo sul pop estremo. A me Kylie Minogue piaceva un casino, e l’ho anche fatta passare nel programma. Quindi sarà uno spettacolo di sinistra di una generazione in presa diretta. Per essere ancora più precisi sarà un Avere vent’anni sul pubblico di brand:new.

Avendo tu sostenuto che non è un’offesa, Massimo Coppola è un radical-chic?
Non è un’offesa, ma io non lo sono. Intellettuale di sinistra sì, radical-chic è un modo brutto per dire che sono un intellettuale. Il maglione che ho addosso è di lana, se fosse di cachemire sarei radical-chic? Dietro di me ho un botto di libri, quindi sono un radical-chic? Se li ho letti sono un intellettuale, altrimenti solo un radical-chic. Alcuni di questi li ho anche scritti, tiè!

Compri ancora i giornali cartacei?
No! Se vuoi guardare la realtà attraverso i giornali è meglio farci due buchi per gli occhi.

Ritorno alla cover di Rolling Stone «Noi non stiamo con Salvini» per chiederti come mai, passati pochi anni, sempre meno testate giornalistiche prendono posizione?
Quelli di destra prendono posizione, quelli di sinistra no. Anche perché, scusa, mi dici qual è un giornale di sinistra oggi? Quella cover diceva: siamo diversi da Salvini, siamo meglio di Salvini, molto, molto meglio di questa stirpe di fascisti e qualunquisti, incivili che dovrebbero vedersela davvero brutta, finire vittime della loro stessa inciviltà.

Dici che la sinistra non dovrebbe pensarsi superiore alle generazioni successive. Ma tu ti senti superiore rispetto a Matteo Salvini?
Certo che mi sento superiore a Matteo Salvini! Ma parliamo in generale di essere umani, non di fascisti subumani che dovrebbero soltanto finire molto male. Sai come?

Vista la premessa credo non sarà niente di buono per lui, giusto?
Che un giorno andasse a farsi un bagno al largo di Lampedusa e, all’improvviso, il mare si incazzasse costringendolo a chiedere aiuto a un barcone carico di uomini, donne e bambini.

Non ti sei neanche disiscritto da X, in protesta verso certi atteggiamenti di Elon Musk.
(scoppia a ridere). Questo mi diverte. Adesso che abbiamo visto che quell’altro psicotico di Mark Zuckerberg sta facendo le stesse identiche cose vogliamo lasciargli tutto? Andiamo tutti su Blusky? Quando venne fuori il movimento No Logo, anche McDonald’s divenne un obiettivo. Stacco. Passano anni e McDonald’s è ancora un luogo dove, con 6 euro, puoi acquistare delle proteine. Insomma, questi atteggiamenti non stanno in piedi.

Sai che gli appartenenti alla cosiddetta PaypalMafia, da Musk ad altri tycoon del digitale, sono laureati in filosofia o seguono gli insegnamenti di Jürgen Habermas?
Sono pericolosi quelli che non capiscono la filosofia. Anche perché la filosofia non si usa, la filosofia è una pratica. Una volta che hai appreso gli strumenti della comprensione, della conoscenza e della logica, puoi esprimere concetti. Qui stiamo parlando di gente che urla, starnazza e si esprime in un lessico da hacker. Ricordi che anni fa i cattivi erano gli hacker?

Oggi il referente di Elon Musk in Italia, Andrea Stroppa, è un ex hacker.
Infatti Musk sta hackerando, attraverso i suoi strumenti finanziari e di engagement con X, la cosiddetta più grande democrazia del mondo. Che è ancora una democrazia, ma per un pelo. In Italia sono stati sottovalutati certi intellettuali solo per il fatto di aver avuto successo, anche se colti. Il libro di Alessandro Baricco, The Game, è straordinario. Questa fase è iniziata come un trip lisergico di amorosi intenti e si è trasformato in violenza pura. Ma sai, come dice Baricco, se sei avanti di due passi questo Paese te lo fa pagare. E quella MTV era avanti di due passi.

Va bene, se ho capito qualcosa dopo tutto quello che ci siamo detti è che è meglio venirti a vedere dal vivo con new:band:new. Ma prima di salutarci mi è rimasta una curiosità: Massimo Coppola, a 52 anni, quando si deciderà a crescere?

Coppola rivolge lo sguardo altrove, tira una corposa boccata di sigaretta, inspira ed espira con calma serafica, e poi si concede una lunga pausa di riflessione prima di rispondere. Esattamente come all’inizio di questa conversazione.

Perché prendere sul serio una domanda che ha dei contorni così ingannevoli? Dovrei rispedirla al mittente, visto che mi sembra di essere da Gigi Marzullo.

Potresti rispondere come Aldo Busi: «Marzullo, perché non si fa i cazzi suoi?».
(scoppia a ridere). Non so se sarà una risposta, ma quello che mi diverte è portare in scena quel mio alter ego che era meno estremista di come sono io. Che per dialogare con gli altri, fingeva certe idiosincrasie: dalla presa in giro del calcetto alla messa alla berlina delle relazioni sentimentali. Tornare a quello mi fa provare una grande tenerezza. E avere accesso alla tenerezza è una stupenda opportunità. Per cui non penso di aver smesso di crescere, sto solo riabitando quella indulgenza che non riesco ad avere con me stesso. Lo spirito di new:brand:new, infatti, parte dai Vhs che mi hanno spedito quelli che mi seguivano, e dimostra che ripartiremo da quello che è rimasto, quindi che è importante per gli altri.

Anche in questo caso, lasciamo valutare ai lettori se è una risposta convincente. Però ci siamo dimenticati che siamo pur sempre su Rolling Stone e non abbiamo parlato di musica. Rimediamo nel finale: qual è oggi la tua colonna sonora preferita?
Ne ho due. Collective di Kim Gordon, che è un capolavoro. E l’altra è la lirica malinconia di And Nothing Is Forever dei Cure.

Le date:

21/02 PORDENONE – ASTRO CLUB
22/02 COLCERESA (VI) – REVOLUTION STUDIOS
23/02 PESARO – SPAZIO WEBBO
26/02 FIRENZE – VIPER THEATRE
02/03 PARMA – ZU CLUB
07/03 TORINO – OGR Torino
11/03 BOLOGNA – LOCOMOTIV CLUB
19/03 ROMA – MONK
20/03 MILANO – SANTERIA
25/03 MILANO – SANTERIA SOLD OUT

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