“Melissa P. è finita”. Una sentenza senza appello, per di più emessa dall’editore che l’aveva aiutata a spiccare il volo con quello che si ricorda come uno dei casi letterari più clamorosi e fortunati nel panorama italiano. In realtà la scrittrice catanese, allora poco più che maggiorenne, ha continuato a credere nel proprio sogno di bambina e, passati vent’anni, la troviamo ancora in libreria con titoli pubblicati da case editrici importanti (Einaudi, Fandango, Mondadori e da ultima La Nave di Teseo) e addirittura è passata dall’altra parte della scrivania: è infatti impegnata a far crescere la sua PAL (Piccola Agenzia Letteraria) con la quale aiuta giovani esordienti «a non farsi fregare com’è successo a me». Da tempo ha abbandonato il nome d’arte che ne occultava il cognome e, come la protagonista di 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire – un esordio da tre milioni di copie vendute in tutto il mondo – Melissa Panarello dopo tanto peregrinare ha trovato l’amore con un altro scrittore, Matteo Trevisani, e persino la felicità: «Grazie a mio figlio Cosmo». E rispetto alle polemiche del 2003 per il suo romanzo erotico da minorenne, ci ha spiegato che ormai la sensibilità su certi temi è stata stravolta: «Oggi ti giudicano male se non parli di sesso!».
Melissa, intanto come va in questo strano periodo che stiamo vivendo?
Bene, anche se fino a ieri ero convinta di avere il Covid dopo averlo schivato varie volte. In realtà era solo influenza, quindi posso confermare che ancora esiste quella “normale”…
Sei siciliana e da molti anni vivi a Roma. Cosa ti rimane della tua terra d’origine?
Sono nata a Catania e poi ho un po’ girovagato, negli ultimi tempi ho vissuto ad Aci Castello prima di andarmene definitivamente. La mia terra in sé non mi ha regalato tristezze, ma la mia storia famigliare e personale vissuta in quei luoghi mi riporta a ricordi che non mi abitano con gioia. Purtroppo, nonostante conservi un grande legame con certi aspetti come l’Etna o i Faraglioni, tutto quello che poi ho vissuto mi ha fatto diventare quella terra un nemico.
Odio e amore, come spiegavi già in interviste degli esordi?
Sì, è ancora presente questo sentimento contrastante.
Che bambina era Melissa?
Facevo cose diverse dai miei coetanei, ho iniziato a scrivere a 4 anni. Non ho pensato alla mia infanzia per tanto tempo, solo ora sto ricordando quel periodo, cioè da quando ho un bambino. Quando porto mio figlio al parco, per esempio, mi accorgo che non ci ero mai stata. Quindi ero una bambina atipica, molto poco spensierata. Avevo uno sguardo su me stessa e sulle cose, non dico da donna matura, ma sicuramente molto contrito.
Il primo romanzo a 9 anni, ancora inedito. Insomma, eri piuttosto precoce.
Leggevo libri decisamente complessi per la mia età. Nei paesi in cui ho vissuto non c’erano librerie o i miei genitori non mi portavano, per cui gli unici libri che trovavo erano quelli al supermercato. E lì prendevo libri a caso. Infatti, le prime letture erano molto pesanti. Il primo è stato Madame Bovary di Flaubert, per cui è chiaro che il mio immaginario si è formato grazie alla lettura di volumi così potenti, ma anche grevi per una bambina di quell’età.
I tuoi genitori come reagivano a questa passione?
Per mia madre era una perdita di tempo. Quando era arrabbiata, perché magari non avevo fatto qualcosa di importante, dava sempre la colpa ai libri. Mio padre invece non ci faceva molto caso.
Hai avuto un rapporto conflittuale con i tuoi genitori?
Non erano per niente avvezzi alla letteratura, ma non lo definirei conflittuale come lo intendiamo normalmente. Era più un enorme conflitto esistenziale. Neanche dovuto alla diversità, ma proprio alla non appartenenza, che alla fine ha creato fratture molto più profonde della sola conflittualità.
Cos’hai trovato nella scrittura che non trovavi in altre attività?
Ho cominciato a scrivere a causa di questo conflitto esistenziale, di questo senso di non appartenenza. Sentivo il bisogno di trovare un luogo in cui potessi riposare, essere finalmente libera. L’unico che ho trovato è la scrittura, la pagina bianca da riempire. Era il mio sfogatoio. Ho iniziato per una reale necessità che era quella di andarmene via. Crescendo mi è nata la voglia di farlo come mestiere, ma i primi passi sono stati una via di fuga che affidavo totalmente alla scrittura.
E a soli 17 anni esplode il caso Melissa P. con 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire. Milioni di copie vendute e traduzioni in tutto il mondo. Obiettivo raggiunto?
L’ho scritto a 16 anni e avevo solo idea di andarmene di casa. Non è stato soltanto un modo per andare oltre alla vita che facevo, ma proprio per fuggire fisicamente. Il mio biglietto di sola andata.
Ti è mai capitato di rileggerlo, in questi quasi vent’anni?
No, non lo rileggo. L’ultima volta è capitato molti anni fa. Ma anche se non lo riprendo in mano, ho ben presente chi era quella ragazzina che ha scritto il libro e mi sembra che non sia più la stessa persona di oggi. Non ci credo di essere io ad averlo scritto. Nello stesso tempo, però, provo un senso di grande protezione verso di lei, e anche un po’ di ammirazione. Quello che ho fatto con quel libro ora non riuscirei a farlo. Quella spinta feroce che avevo era possibile solo allora. Oggi, che sono felice e appagata, non riuscirei a scrivere qualcosa di così potente.
In molti si sono interrogati se fosse autobiografico o meno.
È molto complicato spiegarlo. Ma non faccio più mistero che sia un libro totalmente autobiografico. All’inizio sono stata vaga per salvaguardare i miei genitori, che ci sarebbero potuti rimanere male. Ma quella storia è assolutamente autobiografica. Nello stesso tempo dico che non ero trasgressiva. Spesso si ha questa idea che il raccontare di sesso promiscuo sia trasgressivo, in realtà quello che trapela dal romanzo è la ricerca della protagonista, la stessa che ho fatto io, non del sesso fine a sé stesso o per mera provocazione verso gli altri. Come la protagonista, volevo un posto che mi accogliesse e per me il sesso era il veicolo per arrivare a persone e situazioni che mi potessero accogliere. In questo senso non sono mai stata trasgressiva, perché non avevo regole da trasgredire.
E come per la protagonista, alla fine è arrivato anche l’amore.
Il finale è stato molto criticato, più del contenuto del libro. E fu molto dibattuto anche in casa editrice dal mio editor, perché non era convinto da questo “happy end”. Io invece lo volevo fortemente, anche se nella vita reale non mi era ancora accaduto. In 100 colpi di spazzola questo è stato l’unico elemento di vera finzione. L’ho voluto inserire per dare una speranza a una ragazza, che fondamentalmente ero io stessa in quel momento. Non potevo permettere che tutto crollasse.
Poi è crollato il rapporto con l’editore che ti aveva portato al successo. Elido Fazi, dopo il terzo libro insieme, dichiarò: “È finita. Ha fatto di testa sua? Suicidio”. Oltre a mettere in dubbio le tue qualità letterarie: “Che Melissa non sappia scrivere è un fatto certo”. Col tempo i rapporti si sono appianati?
Il mio rapporto con l’editor di allora, Simone Cartabellota, non si è mai rotto. Anzi, lo considero ancora uno dei miei più cari amici. Con Fazi sì, alcuni aspetti si sono appianati. Quando ci incontriamo abbiamo rapporti molto educati, ma certo tante cose che ha detto non le dimentico. Rispetto al passato, però, non prendo più provvedimenti, mettiamola così.
Aveva aggiunto anche che eri “luciferina”.
Questa cosa l’ha detta per indicare una mia personalità distruttiva nei confronti della casa editrice. Ma a me sembra invece di aver molto costruito. Era una piccola realtà sconosciuta e grazie a me e al loro lavoro ha conosciuto un lustro che prima non aveva. Credo si riferisse al fatto era stata costretta a cambiare radicalmente. È normale, con un successo del genere fra le mani si fa tabula rasa e si cresce. Sono convinta l’abbia detto in un momento di rabbia, anche perché non è qualcosa che davvero mi appartiene.
Guardandoti indietro, pensi di aver sbagliato qualcosa?
Sicuramente avevo un’arroganza più che tipica del successo tipica dell’età. Non avevo il senso di quello che mi stava succedendo. Non mi ero montata la testa, però l’arroganza dei 18-19 anni sì. Quindi mi muovevo con un atteggiamento un po’ ostile verso gli altri. Questo si è un po’ smorzato, visto che sono cresciuta.
Anche il libro In nome dell’amore, sempre con Fazi, che è un vero atto di accusa alla Chiesa e una lettera aperta al cardinal Camillo Ruini, fa capire che caratterino avessi a soli 19 anni.
Sono sempre stata una persona molto idealista, fin da bambina. Quello che mi crea un senso di ingiustizia lo prendo di petto. Non mi interessa tanto sul piano personale, quanto su quello generale. Se vedo un’ingiustizia voglio intervenire, purtroppo ancora oggi non riesco a starmene zitta.
Il cardinal Ruini ti ha mai risposto?
Non ha risposto e giustamente. Neanch’io nei suoi panni lo avrei fatto. E poi allora non c’erano i social, passava tutto più in sordina. Ricordo poco di quel periodo perché ero già molto stanca, avevo sfornato tre libri e avevo solo 19 anni. Infatti, subito dopo ho fatto un viaggio di sei mesi in Sudamerica per ritrovare le redini di me stessa.
Hai un rapporto con la fede?
Quello proprio no, semmai con la spiritualità. Sono una persona spirituale, perché non credo che le cose siano solo materia, ma che ci sia diffuso qualcosa di più. Non sono materialista. Non mi ritengo atea o credente, non so cosa sono, però mi faccio tante domande e quando te le fai sei legato a una forma di spiritualità.
Quelle ingerenze della Chiesa sulla società le vedi ancora o è cambiato qualcosa?
Qualcosa è cambiato, anche se sono convinta che la cultura cattolica sia ormai entrata nella cultura laica e che scindere i due aspetti sia impossibile. Per questo tante scelte politiche non sono per pressione attiva della Chiesa, ma per una pressione culturale che abbiamo da millenni. Con l’ultimo papato di Francesco tanto è migliorato rispetto ai predecessori e sento meno ingerenza politica.
Nel tuo periodo di grande successo, ricordi di aver detto dei “no” importanti?
Purtroppo, sono stata molto sciocca con il denaro. Ho fatto scelte sbagliatissime da questo punto di vista. Quindi, con il senno di poi, non avrei detto “sì” a certe proposte e sicuramente avrei guardato molto meglio alle mie finanze facendo le pulci a chi se ne è approfittato, e di parecchio.
Oggi una donna che scrive di sesso è ancora malvista?
Ma figurati, oggi ti giudicano male se non parli di sesso! Ma come, non la dai in giro? È diventato persino eccessivo come atteggiamento. Come se facesse piacere alle donne e alla società il fatto di essere rappresentate come “cattive”. E si dà per scontato che se una donna fa sesso è una “cattiva ragazza”. Per cui ti devi rappresentare come quella stronza.
Come te lo spieghi?
C’è un ramo del femminismo che vuole, anche giustamente, che alle donne sia data possibilità di rappresentarsi stronze come gli uomini e non conformi all’idea che si ha di loro, ma perché devi farlo per forza se non la sei? Io venivo definita trasgressiva e mi sono sgolata per dire che non lo ero affatto. Oggi, invece, sento in giro poca sincerità e grande voglia di dimostrare di essere o non essere qualcosa. Ma credo che questo faccia male all’emancipazione, sia maschile che femminile.
Nell’ambiente degli scrittori hai suscitato più invidia o ammirazione?
Intanto, con uno scrittore ci ho fatto un figlio, sono andata oltre. Ho tantissimi amici scrittori di grande successo, come Giulia Caminito o Nadia Terranova. E poi ho aperto un’agenzia letteraria e aiuto gli emergenti proprio perché per me gli scrittori non sono nemici o avversari. Non mi sono mai sentita migliore o peggiore, per me proprio non c’è competizione.
L’ultimo tuo sforzo letterario è del 2019, Il primo dolore con La Nave di Teseo. È quello che si può definire il libro della maturità?
Alcuni hanno fatto confusione, pensando che quel libro l’avessi scritto mentre ero in attesa di mio figlio. In realtà è nato due anni prima di rimanere incinta, quando ero insieme a un’altra persona e a un bambino neanche pensavo, anzi non lo volevo proprio. Poi quel libro è stato magico. Quando stava per uscire ho scoperto di essere in attesa e si è aperta una porta che tenevo chiusa. Può essere il libro della maturità perché è l’ultimo, ma il prossimo lo sarà ancora di più fino al libro della vecchiaia assoluta quando avrò ottant’anni, speriamo.
Quanto ti ha cambiata avere un figlio?
Ha dato un senso alla mia vita che prima non aveva. Mi ha fatto capire per la prima volta cosa significa essere felici e non mi sembra poco. Spesso da altre donne sento dire che un figlio non ti completa, che per essere una donna intera non devi averne. Per me non è stato così, mi sento molto più completa e con uno scopo altro, che non siano solo la soddisfazione dei miei desideri e delle ambizioni. Prima ero sempre scontenta, oggi non lo sono più.
E adesso ti ritrovi anche dall’altra parte della scrivania con PAL (Piccola Agenzia Letteraria). Com’è nato questo nuovo progetto?
Dalla necessità di dare a chi non ce l’ha le possibilità che io non ho avuto. Cioè di essere guidati da una persona senza interessi torbidi a entrare nel mondo editoriale con un po’ di naturalezza. È partita come agenzia per scrittori esordienti, giovani uomini o donne che oggi spesso non sanno come fare per iniziare, non sanno a chi mandare i loro scritti, non ricevono risposte o vengono fregati. Mancava questa figura rassicurante per chi vuole affacciarsi all’editoria. E poi, probabilmente, ho voluto proteggere la ragazzina che sono stata, chiudendo un cerchio, come se questo impegno potesse riscattarmi. Alla fine, si sono uniti anche scrittori e scrittrici non esordienti.
C’è qualche esordiente di PAL che ti senti di consigliare?
A breve uscirà un libro per Fandango molto molto bello, di un giovanissimo scrittore abruzzese che si chiama Riccardo D’Aquila e ci punto molto. Così come su Noemi De Lisi, una giovane promessa palermitana che non aveva ancora pubblicato e possiede una voce davvero originale. Ma non farmi dire di più, che poi l’ufficio stampa mi sgrida perché anticipo troppo.
A un certo punto nella tua vita, oltre alla letteratura, sono entrati anche l’astrologia e i tarocchi. Non è che alla fine un po’ “luciferina” lo sei?
Ma no! I tarocchi non sono un gioco, però li ho sempre praticati nel tempo perso.
Invece l’astrologia l’hai definita “la psicologia applicata alle stelle”.
Ritengo che tutto ciò che racconta l’essere umano alla fine è letteratura. Per cui leggere un oroscopo personale, non le previsioni generiche dei giornali, non è che un altro modo di leggere noi stessi. E tutti vogliamo che qualcuno ci parli di noi. Le stelle questo lo fanno, che tu ci creda o meno. È un racconto mitologico che diventa in qualche modo letteratura. Non è importante avere fede, è più importante credere nelle storie. Tutto qui.
Ho visto su YouTube nel canale Teledurruti, la televisione monolocale dello scrittore Fulvio Abbate, che un giorno gli hai fatto delle previsioni sul futuro in base alla sua data di nascita.
Si possono fare e hanno una loro valenza. Sul tema ho una rubrica sul settimanale Grazia da oltre dieci anni. Riconosco un valore nelle previsioni sul segno zodiacale. Certo che l’astrologia non si basa solo quello, ma su molto di più. Ma tutti si concentrano sull’aspetto delle previsioni.
Non è che hai accettato l’intervista controllando la mia data di nascita?
(Ride) No no, lo facevo in passato quando avevo più tempo a disposizione, oggi non mi capita più.
Per caso le stelle parlano anche di questa pandemia?
Qualcosa ho notato e mi sono confrontata con la mia maestra astrologa. Quando è scoppiata la pandemia eravamo sinceramente curiose di capire se nel cielo fosse successo un movimento che potesse prevederla. Oggi non lo guardiamo più come in passato quando si annunciavano le pestilenze. Però abbiamo notato una congiunzione che non avveniva dall’ultima epidemia, quella di Giove con Plutone. E si è ripetuta spesso nelle epidemie e nelle pandemie più conosciute. Ci ha fatto riflettere sulla funzione di questi due pianeti.
Melissa, va bene non fare previsioni, ma ora sono curioso di sapere se le stelle dicono che ne usciremo…
È difficile fare previsioni, ma direi di sì. I due pianeti si stanno sempre più allontanando e, affidandoci a questi due, probabilmente ci aspettano tempi migliori.
Dal tuo esordio sono passati quasi vent’anni e, nonostante le critiche e le polemiche del passato, sei ancora nel mondo dell’editoria ad alti livelli. Ma te la immagini Melissa P. da anziana?
Oggi mi vedo molto cambiata, anche fisicamente. A volte sono ostile rispetto a questa immagine, però non mi preoccupa il futuro nel senso del decadimento. So che ci sarà, come dicono gli anziani: “la vecchiaia è una brutta bestia”. Ma non me lo chiedo ancora come sarò, quando succederà.