Mi puoi raccontare la storia degli Scarabocchi?
Sono stati pubblicati per la prima volta su Facebook nel 2012, anche se in realtà nascono nel 2001. Era stata la pubblicazione che portammo all’happening underground al Leoncavallo, erano degli scartabelli—per i fan di vecchia data, era quello col testone gigante pieno di denti. Se non ricordo male il primo libretto in bianco e nero di 16 pagine di Scarabocchi andò letteralmente a ruba. All’inizio ci diede fastidio perché avevamo appena trovato un nostro segno: è come se uno impara a dipingere come Picasso e poi fa un quadro alla Caravaggio e ne vende un miliardo. Lo abbiamo tenuto fermo per un po’ poi li ritirai fuori perché dovevo pubblicare una pagina per VICE perché come tempistica sono adatti ad essere messi su Internet, sono due battute. Da lì ne ho fatti 2000/3000.
Quanto cambiano le tipologie di battute rispetto ai lavori che facevate prima?
Sono molto simili, cambia un po’ nella velocità. Ci è sempre piaciuto lavorare sui ritmi, sia ne Il suicidio spiegato a mio figlio che nel Papà di Dio i tempi sono un po’ più dilatati come piace a noi. Negli Scarabocchi i tempi sono concentrati al minimo e quindi c’è una velocità diversa. Papà di Dio è una tempesta, Scarabocchi un fulmine.
Anche in Papà di Dio tornano le dinamiche familiari, in Scarabocchi sono malatissime. In quest’ultimo usi un tratto super essenziale, rosso con tratto nero, poi anche bianco con tratto rosso
In scarabocchi come altri lavori forma e contenuto sono fusi. La parte bianca non è bianca ma non disegnata, il segno è ridotto al minimo perché disegnato solo quello che serve per raccontare. È una scelta precisa anche per il colore. Il rosso è un tipo di mondo, Il Papà di Dio invece come libro è bianco, perché il bianco è il colore con cui identifichiamo Dio.
Com’è nata la storia del Papà di Dio?
Ci siamo messi nei panni del Creatore invece che del creato. Ci siamo messi nei panni di chi crea, e come spesso succede con i nostri personaggi, muoiono finita la vignetta. Magari ci interessa solo una parte. Poi li abbandoniamo e ne creiamo di nuovi. Alcuni li resuscitiamo, altri li fulminiamo subito. Ci dicono che sono fumetti cinici ma sono prigioni in cui dentro mettiamo una chiave nascosta. I miei riferimenti narrartivi erano Rosari e Bukowsky. Opposti, ma con quella narrazione fanciullesca in cui è più interessante il modo di raccontare rispetto a quello che racconti e soprattutto senza nessun tipo di limite narrativo, che non si trova in tanti altri scrittori tipo Kerouac o altri. Bukowsky se voleva raccontare di un robot gigante che entra in una stanza lo faceva e quello è un modo di raccontare immediatissimo. Il lettore dev’essere prima di tutto una persona felice di leggere che non si fa esplodere i coglioni mentre legge. È un problema dei classici, pensa a Dostoevskij o Kafka, capolavori ma all’inizio uno pensa che palle poi scopri che sono più godibili di Topolino.
È capitato che qualche lettore si offendesse?
Mai, forse qualche segnalazione ma non è mai stato bannato. Ci sono bestemmie ma il nostro è raccontare le bestemmie, è come se arrestassi Hitchcock perché racconta un omicidio. Un autore deve essere libero di raccontare qualunque cosa. Abbiamo fatto commuovere persone con qualcosa che non riuscirebbero a pronunciare in pubblico o, viceversa, disgustarsi con cose che dicono tutti i giorni.
Secondo te riesce ad arrivare così tanto perché è immediato? Cosa ha reso gli Scarabocchi il Caravaggio di ciò che voleva essere Picasso?
È un lavoro onesto, abbiamo preso per il culo tutti e tutto tranne il lettore, che è la parte iniziale e finale dell’opera. Raccontare un punto di vista diverso è sempre la cosa che ti aspetti d un autore, per fare l’esempio di Kafka, nel Processo la parte interessante non è il motivo per cui Kafka finisce in galera, ma è il fatto che ci sta per 10 minuti circa.
Parlando dei fumetti per bambini, com’è nato?
I libri per l’infanzia sono quelli che leggo con più gioia, come la Pimpa per esempio, che è un trattato di filosofia. È un modo in cui i bambini vengono considerati stupidi o come piccoli adulti. Nella letteratura per bambini c’è un buco enorme, ci sono questi libri fintamente per bambini a cui però non sono adatti, sia nel contenuto che nelle illustrazioni ma sono rivolti più ai genitori. Il libro che ho voluto fare era fatto dai bambini per i bambini, in modo che gli piacesse veramente. Lo leggi e torni bambino. È molto più semplice scrivere storie per bambini che per adulti, perché non hai bisogno di aggiungere nulla, neanche una bestemmia. Gli adulti sono capricciosi mentre i bambini sono curiosi.
Si potrebbero fare gli scarabocchi per bambini?
In realtà sì. È capitato che molti ragazzi delle medie si appassionassero perché stanno anche sulla Smemoranda. Si potrebbe fare anche per bambini, ci avevamo pensato ma preferivo tenere separati i due mondi. E poi nel Papà di Dio c’è una citazione al primo libro di Palla Rossa.
Palla Rossa è il primo libro per bambini?
Si il primo pubblicato. Ne ho anche altri però che non sono stati pubblicati.
Hai già in mente altri progetti rispetto alla letteratura per bambini?
Io voglio fare il secondo libro, Palla rossa vuole uscire di nuovo.
Quali sono state le reazioni dei bambini?
Ai bambini non frega niente se sei famoso o vai di moda, a loro è piaciuto perché gli piaceva davvero, un libro con cui giocavano. Un altro libro si farà, continueremo sia Scarabocchi che Palla Rossa e Palla Blu.
Quando devi passare dal tratto del lavoro per adulti a quello per bambini, che cambio mentale fai?
Semplicemente uno è fatto a computer quindi è un po’ più frenante, a mano ci metto meno. Lavoro con un progetto in testa e lo disegno, gli errori sono già stati corretti prima di disegnare. Papà di Dio è scritto senza sceneggiatura, nemmeno i libri vecchi, li scrivo e li disegno direttamente senza sapere come finirà la storia anche perché sennò mi rompo i coglioni. Segui la storia e ti fermi e riparti con lei.
Non hai paura che la storia si dilunghi o che il finale sia sbagliato?
No, non torno mai indietro, prima stabilisco le pagine poi mi metto a lavorare senza tornare mai indietro, non lo so spiegare ma riesce.
Quali sono i tuoi riferimenti? Hai parlato di Altan…
Per l’infanzia adoro dottor Seuss, forse è il mio autore di riferimento per Palla Rossa e Palla Blu perché è un autore educativo, cosa che mi manca. Poi tutta la vecchia scuola, Carnevali, Ronfi, Bottaro, Pon Pon, tutti gli autori del giornalino…tutti. Per adulti, ho adorato e adoro di tutto: Magnus, per il taglio di fumetto alto e popolare insieme , e Scozzari per il modo di scrivere. Leggo comunque di tutto, ora come ora One Piece. Tetsuka, Matsumoto, Gonagai.
Hai mai pensato di passare a una forma di fumetto più complessa?
Il disegno per il bel disegno non mi interessa, mi interessa riempire le pagina.
Non hai paura di stancarti di Scarabocchi?
Dovrebbe essere catalogato e dovrei iniziare a sistemarlo. È molto facile per me farlo ma ancora ne ho molti da fare. È terapeutico, mi fa bene, non penso di smettere.
Ispirazioni vita quotidiana Scarabocchi?
È tutta invenzione di Dio. Forse ci finisci pure tu se continui a parlare.
Come approcci le firme ai fan alle presentazioni?
Mi piace, anche parlare in pubblico, ma a volte racconto meglio direttamente nel fumetto.
Su palla rossa facevi autografi per bambini?
Con questa penna (fa vedere). Ma ai bambini non fregava niente, erano i genitori a volerli.