Porsche è un mito tedesco, ma la sua anima rock gliel’ha data un italiano
Da Janis Joplin seduta sulla sua 356 psichedelica fino a Steve McQueen e alla 24 Ore di Le Mans, Porsche è un marchio che si è nutrito e ha nutrito la pop culture occidentale. Ora, grazie all'Amministratore Delegato Pietro Innocenti, la casa tedesca si avvicina alla musica italiana
Foto: Eduardo Festa
L’Amministratore Delegato di Porsche Italia, Pietro Innocenti, è esattamente il tipo di persona che ti aspetteresti di vedere scendere da una 911 2.7 Targa di metà anni Settanta. Da questo punto di vista, anche lombrosianamente, il marchio di Stoccarda dimostra che, oltre a saper progettare automobili sportive, se la cava molto bene anche nella scelta delle persone da mettere alla guida della propria struttura. Incontriamo Innocenti a Padova, nella sede di Porsche Italia, e cominciamo la conversazione parlando dell’anno di fondazione dell’Università di Bologna. Innocenti tradisce la sua chiave interpretativa in termini di longevità del marchio, e aggiunge che “anche il brand Rolling Stone ha la forza per andare avanti mille anni, come l’Alma Mater Studiorum”. Si spera abbia ragione, in ogni caso conveniamo che anche Porsche non sia in fondo messa così male.
C’è una radicata, quanto per la verità piuttosto infondata, assimilazione spontanea di Porsche con un mondo di superficialità e glam cafonal, i soliti calciatori e veline per intenderci, ma si tratta senza mezzi termini di una volgarizzazione in bocca all’Italia più diffusa, quella dell’invidia sociale e dell’approssimazione come metro di giudizio universale. Porsche è tutt’altro, un marchio che si è nutrito e ha nutrito la pop culture occidentale: Steve Mcqueen, la 24 Ore di Le Mans, Janis Joplin seduta sulla sua 356 psichedelica dipinta a mano con lo stile di un murale rappresentante la storia dell’Universo.
Innocenti ha utilizzato il riferimento alla Joplin per il lancio di Macan e sta sempre più avvicinando il brand di Stoccarda alla cultura pop contemporanea. Il progetto “Macan Music Platform”, in collaborazione con Warner Chappell, che si conclude il 20 novembre a Milano con il concerto dei Coma Cose, è solo l’ultimo esempio della prossimità che l’Amministratore Delegato di Porsche Italia ha immaginato con il mondo della musica.
Da dove viene Pietro Innocenti?
Prima di Porsche sono stato in Ferrari 14 anni, sette a Maranello e altri sette in giro per il mondo, soprattutto Cina e Medio Oriente. L’esperienza è stata intensa e completa anche in termini professionali, essendomi occupato di un po’ di tutto: risorse umane, organizzazione, processi, per arrivare a marketing e infine all’internazionale con l’apertura di nuovi mercati.
Qual è la differenza principale tra le due aziende?
Le dimensioni: Porsche produce quasi 300mila auto l’anno, con la Cina come primo mercato (un terzo delle vendite). Ferrari è una nicchia più esclusiva, anche se con volumi in crescita. Le similitudini sono parecchie: il motorsport, il trasferimento di esperienze e conoscenze dalla pista alla strada, l’orgoglio di appartenenza, il simbolo: sono entrambi cavallini rampanti – anche se Enzo Ferrari diceva che il suo è uno stallone mentre la nostra è una giumenca (ride, ndr) – la cultura fortissima, l’orgoglio ingegneristico, la volontà di innovare.
Però Porsche sembra avere riferimenti ancora più cristallini…
Io ho sempre trovato Porsche molto iconica non solo nello stile della vettura ma anche nella narrazione, nei particolari: la chiave a sinistra per esempio, i cerchi Fuchs, i colori pastello. L’ho sempre sentito un brand molto più rock e pop che non patinato, per cui questo posizionamento deriva da quello che io ho interpretato essere il patrimonio che non veniva sfruttato. A me piace l’anima ruvida di questo brand, con la tavola da surf infilata nella 911 in California – cosa che i clienti fanno davvero – mi piace quest’idea che sia un prodotto con tanta tecnologia alle spalle ma che alla fine puoi vestire come il tuo jeans preferito senza troppi problemi.
L’avvicinamento di Porsche alla musica è il riflesso di una delle tue passioni primarie.
Da sempre ascolto molta musica, ho cominciato con i classici del rock, Led Zeppelin, Genesis, Deep Purple e ho poi mantenuto un’anima molto rock, non ci saprei rinunciare nemmeno volendo. Il genere più “mio” è forse il grunge, quando esplose avevo 20 anni e mi ha marcato fino a ora, infatti continuo ad ascoltarlo. Avendo un figlio di 22 anni e una figlia adolescente, ascolto molta della musica che ascoltano loro, per esempio mia figlia mi ha aperto il filone rap italiano – Willie Peyote è uno che le piace, peraltro ha dei buoni testi – poi però quando sento che mette Paul Anka e Amy Winehouse, penso di averla educata proprio bene.
Una band attuale?
Mi piacciono i Greta Van Fleet, ovviamente sono piuttosto derivativi ma sono divertenti.
Tutti stranieri…
Il rock italiano l’ho scoperto tardi, intorno ai 30 anni: Giovanni Lindo Ferretti, i Csi, i Marlene Kuntz. Stranamente non conoscevo gli Afterhours ai quali mi ha avvicinato la figura di Manuel Agnelli attraverso la tv. Lo sentivo dire le stesse cose che avrei detto io e allora mi ha incuriosito e ho voluto scoprire tutta la sua discografia, ora naturalmente sono un fan. È un personaggio molto vero che non te la racconta, ti piace o non ti piace, un po’ come Porsche, e per questo ci siamo avvicinati.
La musica potrebbe avvicinare anche un nuovo tipo di pubblico, anche se c’è sempre da considerare l’ostacolo dei costi…
Sì, è vero. Principalmente i nostri clienti sono 50enni benestanti ma ci sono molti ragazzi che potrebbero permettersi una Porsche tra qualche anno oppure anche da subito grazie a formule diverse dalle classiche. Quindi sì, c’è anche l’esigenza più business di essere vicini a una fascia diversa dal core della nostra customer base ed è un tema che stiamo affrontando quindi la musica è uno di quei filoni che stiamo avvicinando, così come gli sport. Anche qui, per rimanere nello spirito del brand mi piacciono gli sport liberi: tutti quelli che hanno a che fare con le tavole per esempio. Il senso di libertà è nel dna di Porsche.
A questo proposito, che grado di libertà hai rispetto alla casa madre in Germania?
La libertà si conquista. Il brand ti dà linee guida al lancio di un nuovo prodotto, però all’interno delle cornici ogni mercato segue la sua inclinazione. Ci sono mercati più tradizionalisti che seguono le direttive provenienti dal centro e altri che si discostano un po’ di più: l’Italia si è guadagnata una bella fetta di libertà.