Riccardo Pozzoli arriva al nostro appuntamento con un Defender enorme, che fatica a incunearsi tra le vie strette di zona Tortona. Mi stringe la mano scusandosi per il ritardo causa traffico – e macchinone, aggiungo io – e annunciando già che ha un altro aperitivo in serata. Ma, occhio, tutto con una gentilezza che mi ricorda quella dei miei amici di vasche in provincia, piuttosto che con la spocchia che ci si potrebbe aspettare da uno degli under 35 più di successo d’Italia.
Per chi non bazzicasse il mondo digital, Pozzoli è founder di The Blonde Salad, ovvero la parte imprenditoriale del fenomeno creato con Chiara Ferragni; è presente nel board di Depop, l’app che ha trasformato lo shopping in una questione social; ed è fondatore di Foorban, home delivery super cool con base a Milano. Prendetelo come un rapidissimo Cv che fa gola a parecchie persone, di qualsiasi livello. Ma in mezzo a tutte queste app e simili, Pozzoli (e questo giustifica la sua presenza qui) è un punk-rocker cazzaro di provincia, con un’adolescenza passata a suonare la batteria e a correre in moto. «È una roba un po’ da malati, in realtà. A sei anni ero su un Grizzly Malaguti, da teenager usavo le mini cross, a 16 anni giravo in pista con una Suzuki 250 due tempi, una moto da corsa, praticamente. Ma dovevo anche studiare e suonare, e non sono mai riuscito a sfondare, purtroppo. O per fortuna. Vedi, sono così, non riesco a diventare un campione in una cosa sola».
Sarà per questo che di cose, Riccardo, ne deve fare sempre mille. «Mi conviene essere attivo su più fronti e sperare di centrare il bersaglio. Devo dire che finora è servito. Non ti so dire cosa sono, non mi so etichettare. Imprenditore? Influencer? Consulente? Adesso divento anche scrittore». E il libro in uscita tra pochi mesi è ovviamente su se stesso. O meglio, sul lavoro nel 2018. Un concetto che si è trasformato, creando una generazione di tuttofare preparatissimi in più campi. «Oggi nessuno ha più un’etichetta. Non c’è più il posto fisso, bisogna adattarsi. Ma dall’altra parte questa flessibilità è anche una possibilità da sfruttare per mettere in piedi più cantieri possibile». A questa prima fatica letteraria ne seguirà un’altra, riguardo all’etica nel mondo dei social media. Soprattutto quelli legati all’universo fashion.
Restare fermo, mai
E proprio da quello è partito il fenomeno Pozzoli, ormai 8 anni fa, con la fondazione via Skype di The Blonde Salad. «All’inizio è stato veramente puro intuito. È stata un’intuizione di Chiara da una parte e mia dall’altra. Lei aveva portato la parte comunicativa, io andavo a chiacchierare con le aziende. Lavoravo a Chicago, dove, peraltro, ha sede il dominio di The Blonde Salad, e avevo capito che c’era interesse per l’opinione della gente, i forum erano cruciali per fare al meglio il lavoro».
Perché il 2009 appartiene alla preistoria del web – o quasi – con i social che iniziavano a fare capolino (non c’era Instagram, Twitter era fondamentalmente un neonato, Facebook forse parlava) e i forum andavano ancora forte. «C’era qualcosa, sì. C’erano dei social network dedicati alla moda e alla fotografia. Ma, certo, il punto di svolta è stato Instagram. Ha distrutto il mondo dei fashion blogger e ha creato gli influencer. Noi siamo stati bravi, abbiamo deciso di investire sul sito, su The Blonde Salad».
Il sito è cresciuto esponenzialmente, diventando uno dei fenomeni economici del nuovo millennio (per fornire qualche dato, la previsione 2017 è di chiudere a 6 milioni di ricavi, non male) e diventando punto di riferimento per chiunque voglia buttarsi nel mondo dei fashion blog, e non solo. La chiave, secondo Pozzoli, è una sola: «The Blonde Salad è diventata un’agenzia a tutti gli effetti, che integra la figura del manager con quella dell’influencer. Essere indipendenti è stata una grande forza».
Scorgo un piccolo riferimento al passato, figlio delle notizie di questi giorni. Riccardo Pozzoli ha lasciato la sua posizione di Ceo, ma resta membro del consiglio di TBS. Per la gioia del suo portafogli. «Ho deciso di fare un passo indietro, lasciando la gestione diretta, anche perché ormai il team è rodato. Per me è anche meglio. Posso focalizzarmi su me stesso. Voglio continuare a investire, a fare consulenze, mi piace mettere al servizio dei brand la mia esperienza. E dall’altra parte voglio imparare, voglio scoprire cose sempre nuove».
Ma tranquilli, Pozzoli non ha nessuna intenzione di stare fermo. Anche perché, oltre a TBS, non sono poche le frecce che ormai ha nel suo arco. «Partiamo da Depop, dove sono saltato a bordo quando tutto era già avviato. Quando ho conosciuto Simon Beckerman mi sono innamorato di lui, lavorativamente. Depop è una figata. Come Instagram ha fatto di ognuno di noi un editore, Depop ha fatto di noi dei buyer», spiega Pozzoli, entusiasta del prodotto. Per i non-depopper, questa app è strutturata esattamente come Instagram: ognuno può fare foto (possibilmente belle) ai prodotti che intende vendere e metterli on line. «E ci sono dei depopper professionisti, vivono di quello: vanno ai mercatini, fanno selezione e rimettono i pezzi in vendita. Hanno dei clienti affezionati».
La Poz-Caverna
Ma le vere new entry in casa Pozzoli sono due, Foorban e la sua RPCave. La prima è una startup legata al mondo del cibo e del delivery che si basa su un ristorante soltanto: un ristorante digital che consegna a domicilio e che lavora solo con ingredienti di prima scelta. «Oggi devi considerare tutto, non puoi ignorare i codici fashion e lifestyle se ti vuoi buttare nel mondo del cibo. Devi avere dei codici di tendenza, devi saper fare branding, è fondamentale per qualsiasi attività».
E dall’altra parte, l’iniziativa è la sua caverna speciale («Perché investire nel mattone è sempre una buona idea», ride, di fronte alla sua saggezza matura), la RPCave, fondamentalmente casa sua, ma che viene utilizzata come location per servizi fotografici e per eventi speciali. «È fighissima», spiega. «È un progetto iniziato l’anno scorso per creare uno spazio unico. Mi piacerebbe che fosse solo la prima di una serie, da condividere con i miei amici e per esportare il mio marchio nelle città importanti».
Riccardo, ultima domanda. Come sarebbe la tua vita senza social? «Bella domanda, questa. Ma pensandoci potrebbe essere uguale alla mia vita attuale. Sì, per come sono fatto io, non sarei caduto troppo lontano». A fare cose, vedere gente. E spaccare, sempre.