Lupo Alberto è uno di quei personaggi che ci hanno accompagnato per tutta la nostra vita e che probabilmente ci sopravviveranno. Non è l’incarnazione di quello che l’uomo dovrebbe essere ma piuttosto la personificazione di quello che vorrebbe diventare. Un outsider, un rocker: fuori dagli schemi, fuori dalla società. Un eterno romantico, senza casa e sempre all’avventura, innamorato della sua bella e temuto dal “branco”. Silver, che è il suo creatore, lo racconta come un alter-ego involontario: una sintesi – perfetta e riuscitissima – di anni ed anni di esperienze e impressioni. Nato dalla passione per il fumetto, cresciuto con il talento e rafforzato dal tempo. Prima Linus, poi la prima pubblicazione nel 1974 sul Corriere dei Ragazzi.
Il successo di Lupo Alberto è un successo multimediale, che va oltre la carta stampata, arriva in tv e ritorna in edicola sotto forma di periodico. Una ricetta a base di cartoon, comicità e Woody Allen. Ora che è stato nominato Magister della 18° edizione del Napoli Comicon, che inizia oggi e va avanti fino al 24 aprile, Silver lo ha ripensato come fosse Krazy Kat and Ignatz Mouse di Herriman: la scena è quella, ce la ricordiamo. Il poliziotto che urla “transgression!”, e uno dei fumetti più longevi d’Italia si riconferma il più rock’n’roll.
Da dov’è nata l’idea di Lupo Alberto?
L’idea di Lupo Alberto è nata dalla grande passione che ho sempre avuto per il fumetto, che ho cominciato a coltivare fin da bambino, con letture e con quello che si poteva leggere allora, ovviamente: non è che ci fosse tutta questa proposta e possibilità di distrarsi altrimenti; non c’era molta televisione, anzi: per quanto riguarda i bambini e i ragazzi ce n’era pochissima. Non c’erano i videogiochi, non c’era internet; tutto il nostro desiderio di evasione e di sogni si sfogava attraverso il fumetto. Il fumetto era i nostri videogiochi, il nostro internet e la nostra televisione. E quindi grazie a questo, ho sviluppato già abbastanza presto un gusto critico che mi ha fatto scegliere alcuni personaggi, alcuni autori rispetto ad altri; questo in particolare quando ci fu la scoperta, da parte mia, di Linus – Linus che era questa rivista adulta, che presentava gli autori anglo-americani, che presentava Schulz e i suoi Peanuts e anche George Herriman, che è l’autore di Krazy Kat and Ignatz Mouse, il personaggio a cui mi sono ispirato per disegnare il manifesto del Comicon di quest’anno. Da tutto questo, è nato Lupo Alberto.
Lupo Alberto è un po’ come il Signor Rossi di Bruno Bozzetto: un personaggio immortale, eterno, sempre fedele a sé stesso. Rappresentante non dell’italiano medio, no, ma di qualcos’altro.
Confesso che non ho mai cercato di far rappresentare qualcosa a Lupo Alberto. Però si può dire che 40 anni fa – perché alla fine Lupo Alberto è un personaggio di oltre 40 anni fa – è stato il mio alter-ego: per forza di cose, quando ci lavoravo su, ci finivo dentro con tutte le mie esperienze e le mie aspirazioni; e rappresentava un po’ quello che eravamo io ed altri miei coetanei. Ci si sentiva e si voleva restare fuori dal sistema, c’era questa resistenza all’integrazione nel meccanismo sociale. E quindi Lupo Alberto era un po’ la persona – il personaggio – che viveva ai margini della fattoria, ovvero della società organizzata. Il signor Rossi, invece, è un’altra cosa…
Con il passare del tempo, Lupo Alberto è cambiato in qualche modo?
Con il passare del tempo sono cambiato io e anche se ho sempre cercato di mantenere Lupo Alberto con le sue caratteristiche iniziali, è chiaro che evolvendo io si sia evoluto anche lui: oggi è più maturo di quanto lo sia stato 40 anni fa.
Se non sbaglio, lei e Bruno Bozzetto siete grandi amici.
Sì, infatti. Ci siamo visti a pranzo la settimana scorsa, abbiamo parlato anche di questo, abbiamo parlato di Napoli, dove lui, purtroppo, non potrà esserci… Mi sarebbe molto piaciuto avere questo confronto, un confronto ovviamente amichevole, con lui: chiacchierare davanti al pubblico delle nostre esperienze. Per me Bruno è sempre stato un grande maestro. Quando ero più giovane ho visto West and Soda al cinema, e ho visto i suoi primi spot pubblicitaria. Era giovanissimo anche lui, non più di 30 anni credo. Per me è sempre stato un punto di riferimento come autore completo, libero e svincolato da catene; poteva permettersi di fare qualunque cosa. E ha fatto delle cose che rimarranno nella storia dell’animazione italiana.
Avete mai pensato di lavorare insieme?
Ma sai, ogni tanto ci si incontra, si chiacchiera, si trovano delle convergenze, dei punti in comune… E anche l’altro giorno gli ho detto che mi sarebbe piaciuto fare qualcosa insieme. Ma sono cose che si dicono. Poi ci si lascia: “sì sì, dai, parliamone!” Francamente, però, non ho niente in mente; se mi verrà in mente qualcosa, glielo proporrò. Anche se penso che lui sia un po’ stanco… Non è mai in pensione, Bruno, no, ma forse è un pochino deluso dalla situazione dell’animazione italiana, che è ovviamente una cosa che condivido con lui. Possiamo pensare a mille cose, ma poi finiremo sempre per scontrarci con questo muro di gomma.
Tra le sue influenze, Peanuts a parte, ci sono anche i cartoon della Warner Bros.
Ho sempre dichiarato e riconosciuto la paternità di Lupo Alberto ai cartoni animati della Warner Bros (ride); c’è una parentela molto stretta tra Lupo Alberto e Wilie E. Coyote. Chuck Jones è uno dei grandissimi dell’animazione mondiale, e le sue cose infatti sono sempre divertenti, sempre spumeggianti; non perdono mai lo smalto, e sono già cose di sessant’anni fa. Gli sarò sempre riconoscente, a lui e ai suoi personaggi.
Il successo di Lupo Alberto è un successo particolare: non immediato, non esplosivo; ma duraturo. Costante. Quale crede che sia il suo segreto?
Me lo sono chiesto spesso. Tutto quello che posso immaginare è che sia stato e sia in qualche modo premiato per la sua onestà intellettuale. Nel senso che è sempre rimasto se stesso, non ha mai barato, non si è mai travestito da qualcosa che non fosse lui; non ha mai seguito mode e non ha mai parlato un linguaggio che non fosse il suo. Penso che questa sua coerenza alla fine sia venuta fuori e gli venga riconosciuta, al punto – ed è questo che me lo fa pensare – che i fan di Lupo Alberto, quelli che una volta mandavano le letterine, oggi le mail, si riferiscono a lui come a una persona in carne ed ossa, come a un compagno di percorso e di vita. Ce ne sono molti, e lo dico con molto pudore, che quando mi capita di incontrarli mi dicono – e mi è successo anche ieri al Torino Comics – che mi dicono che con Lupo Alberto sono cresciuti, che li ha aiutati anche in momenti difficili.
Un elemento fondamentale di Lupo Alberto è il suo linguaggio e la sua scrittura comica. Una cosa difficilissima da padroneggiare.
Nel corso di oltre 40 anni, ho avuto modo di affinarlo questo linguaggio, riferendomi sempre, anche in questo caso, a scrittori umoristici, a sceneggiatori; uno su tutti è Woody Allen. Woody Allen è sempre stato, per quanto riguardo la scrittura e la sceneggiatura, uno dei miei punti di riferimento. Nelle storie a fumetti, il linguaggio è fondamentale. In particolare nel fumetto umoristico. Lo spazio a disposizione è ridottissimo. È tutto un lavoro di limatura, di sintassi, di ricerca di vocaboli che siano il più possibile espressivi: non c’è spazio per parole inutili. Bisogna andare subito a sodo. Raggiungere il cuore di chi legge con pochissime parole.
Meglio un giorno da lupo, o cento giorni da talpa?
Cento da talpa! (ride) Ti dico cento giorni da talpa perché con il passare degli anni mi riconosco sempre di più in Enrico, anche con tutte le sue contraddizioni, con il suo essere talvolta meschino e con i suoi pensieri non proprio nobili. Alla fine, la talpa rappresenta quello che siamo al di là di quello che cerchiamo di far credere di essere. Se il lupo è la figura ideale, la talpa è la cruda realtà.