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Stefano Nazzi e il massacro del Circeo: «Vi racconto la storia nella storia che nessuno conosce»

Dal podcast dell’anno su Spotify a un nuovo libro sui banditi che tennero in scacco Milano, fino agli spettacoli dal vivo ‘Indagini Live’ tutti sold out. Il giornalista ci racconta uno dei delitti spartiacque della Storia italiana e dice la sua anche sulla strage di Erba

Foto: Jan P. Soltan

Non è un mistero che la cronaca nera, più di ogni altro argomento, appassioni da sempre lettori, spettatori e ascoltatori. È però un caso l’interesse che si è creato intorno allo stile con cui un giornalista da qualche tempo sta raccontando alcuni dei delitti più efferati della storia del nostro Paese. Parliamo di Stefano Nazzi, che, dopo il fortunato podcast Il volto del male, adesso con lo spettacolo nei teatri sta registrando un sold out dopo l’altro. Si tratta di Indagini Live, dove rievoca dal vivo il massacro del Circeo. Un crimine scellerato, che segnò un momento spartiacque sia a livello giudiziario che sociale. Era il 30 settembre 1975 quando Donatella Colasanti e Rosaria Lopez vennero attirate con l’inganno da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira in una villa di San Felice Circeo, in provincia di Latina, e poi torturate a morte (solo Donatella si salverà per miracolo). Rapimento, stupro, omicidio. Ma anche tre ragazzi della “Roma bene” che si sentono intoccabili nei confronti di due giovani “proletarie”. Mala giustizia, che considerava lo stupro un reato contro la morale pubblica e da allora diventerà contro la persona. Oltre a uno strascico di «protezioni, fughe e complicità» che dureranno a lungo. Per non parlare degli errori di valutazione che causeranno nuove vittime. In questo viaggio nell’abisso ci accompagna Nazzi, senza morbosità, per farci capire fin dove può spingersi una persona quando è nella «totale lontananza dalla comunità umana».

Dopo aver realizzato uno dei podcast più seguiti sulla cronaca nera, ora stai registrando il tutto esaurito ovunque con il tour di Indagini Live, le tue serate dal vivo. Ti aspettavi tanto interesse?
Già i podcast sono stati una piacevole sorpresa, e così lo sono i live. Immaginavo che, visto il successo dei podcast, a qualcuno sarebbe interessato anche lo spettacolo dal vivo. Ma non pensavo a una partecipazione del genere, visto che stiamo facendo sold out ovunque.

E raccontare una storia live non è proprio come raccontarla in un podcast.
No, assolutamente. Perché l’ansia è molto maggiore dal vivo. Il podcast lo registri da solo e puoi correggere gli errori, mentre quando sei davanti a tante persone la tensione cresce. Però è anche molto gratificante, perché senti l’attenzione, la gente partecipa alla storia e puoi avere un riscontro immediato di emozioni che aiuta molto chi sta raccontando.

Stavolta porti nei teatri uno dei casi più famosi ed efferati della Storia italiana come il massacro del Circeo. C’è qualcuno che, magari i più giovani, non lo conosceva?
Tanti ragazzi sono rimasti colpiti, tra chi non lo conosceva e chi invece ne aveva sentito parlare ma non ne ricordava i contorni. Altri avevano letto il libro e visto il film La scuola cattolica. Quasi tutti, però, non conoscevano le vicende successive a quel massacro, che sono anche quelle che a me è interessato di più ricostruire.

Cosa insegna quella storia successiva?
Che è davvero un’altra storia nella storia, fatta di protezioni, fughe e complicità assurde. Due degli aguzzini sono scomparsi all’estero. Uno è stato trovato quasi casualmente e un altro soltanto quando era già morto. Tutti questi passaggi successivi sono molto meno noti.

Foto: Jan P. Soltan

Il più noto dei carnefici è Angelo Izzo, oltre ad Andrea Ghira e Gianni Guido. Ma che idea ti sei fatto di loro tre insieme?
Credo che siano stati il frutto di un’epoca e di un ambiente che frequentavano, che era quello di un certo neofascismo romano. Quindi di un certo modo di intendere la vita e gli altri. Izzo disse: “Noi passavamo di fianco alle persone come si costeggiano i muri, senza dargli nessuna importanza”. Poi Gianni Guido, dopo essere stato latitante, ha fatto il suo percorso di ricostruzione in carcere, mentre Angelo Izzo dopo anni di detenzione è uscito e ha ucciso di nuovo, e Andrea Ghira è rimasto latitante fino alla morte. Comunque, insieme misero in mostra una totale mancanza di considerazione per la vita altrui, e il gruppo aumentò sicuramente questo modo di approcciarsi agli altri.

In un’intervista con Franca Leosini a Storie maledette, Izzo disse che Gianni Guido, dei tre, era il più cinico. Da qualche anno è anche l’unico a essere tornato a piede libero.
Sì, lui dice che allora sembrava il più pacato, perbene, e anche il più cinico. Dopodiché ha scontato la sua pena e, secondo quelli che avevano la responsabilità di concedergli la libertà, ha fatto il suo percorso. Che vuol dire capire la gravità di quello che si è compiuto cercando di dare un senso alla propria vita, ben sapendo che quello che si è fatto non può essere cancellato.

Un aspetto inquietante del processo è che, osservando le foto e i filmati dell’epoca, i tre alla sbarra sorridevano con spavalderia a favore dei giornalisti.
Perché si sentivano protetti. Izzo era già stato arrestato per violenza sessuale e aveva passato in carcere pochi mesi. Questo ridere e dimostrare totale indifferenza venne usato dagli avvocati per provare a dimostrare una loro infermità mentale, che però non venne mai riscontrata.

Quando si parla di questi delitti ci si concentra spesso sui carnefici, più che sulle vittime, che in questo caso sono Donatella Colasanti, allora 17enne e che si salvò miracolosamente, e Rosaria Lopez, che invece perse la vita.
È vero, succede anche oggi. Le vittime spesso finiscono sullo sfondo. Donatella Colasanti, però, è una figura eccezionale di questa vicenda. Lei affrontò il processo e testimoniò quando aveva appena compiuto 18 anni. E anche in seguito disse: “Non sono riusciti a farmi stare zitta allora e non ce la faranno oggi”. L’aspetto grave che si scatenò, e che ritroviamo ancora oggi in maniera più subdola, è che molti sostennero che “se fossero state a casa, non sarebbe successo niente”. È vero che la figura di Izzo, in particolare, ha conquistato il centro dell’attenzione, ma è anche vero che Colasanti ha sempre ripetuto di non farlo uscire dal carcere: lei che lo aveva visto in azione metteva in guardia tutti sul fatto che lo avrebbe rifatto.

Invece Izzo nel 2004 ottenne la semilibertà per lavorare all’esterno del carcere, solo che nel 2005 uccise Maria Carmela Linciano e Valentina Maiorano, moglie e figlia di Giovanni Maiorano, ex affiliato e poi pentito della Sacra corona unita. È stato più furbo lui a convincere tutti che era cambiato o c’è qualcuno che ha sbagliato?
È significativa una lettera che scrisse lo stesso Izzo ai suoi avvocati, dove gli chiedeva scusa perché non era suo intento ingannarli, perché pensava davvero di aver soppresso la parte malvagia che era in lui. Quando ci sono persone che valutano, purtroppo si possono commettere degli errori. In quel caso venne fatto un errore. Izzo è un grandissimo manipolatore e riuscì a manipolare chi doveva valutare sulla sua scarcerazione.

Altrettanto eclatante è che uno dei tre responsabili, Andrea Ghira, non fece mai un giorno di carcere perché latitante.
Lui riuscì a evaporare. Si nascose nella Legione straniera spagnola e qui si aprono delle valutazioni a posteriori che si possono fare su quanto davvero lo abbiano cercato. Anche perché non sarebbe stato così impossibile trovarlo. Invece si venne a sapere solo nel 2005 dove si trovava, ma soltanto una volta morto. Non solo, la famiglia nascose quell’informazione per diversi anni. Lo si venne a sapere grazie a un’intercettazione telefonica.

Un’immagine sconvolgente di quel massacro è la foto di Donatella estratta, in un lago di sangue, dal bagagliaio della Fiat 127 che i tre parcheggiarono a Roma per andare tranquillamente a cena, mentre al suo fianco giaceva il corpo esanime di Rosaria.
È questo estremo cinismo che fa rabbrividire. Quando Donatella e Rosaria erano nel bagagliaio, uno di loro si rivolse agli altri due dicendo: “Zitti, che a bordo ci sono due morte. Come dormono bene queste”. Una battuta indecente su due persone che pensavano di aver ucciso e che dà l’idea della loro totale lontananza dalla comunità umana.

Oltre al tour da tutto esaurito e al tuo podcast, stai anche per uscire con un nuovo libro che s’intitola Canti di guerra (Mondadori). Su quali storie ti sei concentrato stavolta?
Si tratta del racconto delle vite incrociate dei tre banditi che tra gli anni ’70 e ’80 dominavano Milano e l’Italia, che sono Renato Vallanzasca, Francis Turatello e Angelo Epaminonda. Amicizie, tradimenti e guerre che generarono le loro scorribande. Quello che mi ha colpito nel ricostruire queste storie è che allora a Milano c’era una media di 150 omicidi l’anno. Così ti rendi conto come la percezione della sicurezza, spesso, sia lontana dalla realtà. A Milano c’era il coprifuoco, perché era considerato pericoloso andare in giro.

Prima di salutarci vorrei chiederti anche che idea ti sei fatto su un caso come la strage di Erba, che clamorosamente potrebbe essere a una svolta con la revisione del processo chiesta dalla difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi.
Posso fare tre considerazioni. La prima è che la difesa di Olindo e Rosa è stata bravissima, perché è difficilissimo arrivare a questo punto nella giustizia italiana, di solito le richieste di revisioni vengono quasi tutte respinte. La seconda, invece, è che è la prova di come la pressione mediatica abbia un’influenza sugli eventi della giustizia. La terza è che, da qualunque parte la si guardi, questa storia bisogna vederla nel complesso. Noi, spesso per il racconto mediatico, ne vediamo solo una parte e solo su quella ci facciamo una idea. Mentre invece bisognerebbe avere una visione d’insieme, perché tutti gli aspetti sono fondamentali.

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