La serata del 26 maggio al Teatro degli Arcimboldi di Milano chiude la prima parte del tour dello spettacolo Grillo VS Grillo, che riprenderà in autunno. Beppe Grillo vuole tornare a fare il comico. Ben venga, diranno i detrattori del Movimento 5 Stelle. Ben venga lo dico anche io, a prescindere da quello che penso del M5S: alla fine degli anni ’90 e all’inizio del 2000 i suoi spettacoli erano un culto per me, per i miei amici e praticamente per qualsiasi persona seguisse la comicità. Prima ancora, per essere precisi dal 1977, è stato il satiro che con leggerezza ha preso di mira DC e PSI, che con pesantezza si sono rivoltati contro di lui. Poi, dal 2004, sono arrivati il blog, e dopo ancora la politica e il Movimento 5 Stelle, e Grillo non è più stato un comico. Ora che ci sta riprovando, ho cercato di trattarlo come tale e di parlare dei 40 anni di carriera del comico Beppe Grillo. È stata dura – per entrambi.
L’anno prossimo saranno 40 anni dalla sua prima apparizione in Rai, nel 1977. All’inizio della sua carriera da comico faceva satira sulla politica italiana.
Ma era una roba da boyscout…
In che senso?
Era una cosa più fisica che di contenuto. Poi ci sono stati dei passaggi. Una battuta in televisione sui socialisti mi ha mandato via dalla televisione e mi ha dato un’etichetta da eroe nazionale. Io non ci pensavo neanche, e non pensavo neanche a quello che ho fatto dopo. Succedono cose, a volte negative e luttuose, che ti fanno cambiare la vita in meglio. Vai in depressione a causa di scelte di vita, e ti interroghi sullo stato in cui ti trovi. Io ho cambiato strada. Parlavo di Craxi e di Andreotti, poi ho parlato di acque minerali sui camion che giravano il mondo, poi di macchine a idrogeno, poi ho avuto il mio incontro con Casaleggio e ho scoperto internet e il blog, di cui non sapevo niente.
Nella prima fase della sua carriera, più o meno finché era in RAI, lei aveva degli autori: Antonio Ricci, Michele Serra e Stefano Benni.
Da solo non si può fare il comico, avevo bisogno di interlocutori. Il primo con cui ho lavorato è stato Antonio Ricci, abbiamo fatto dei programmi insieme, lui era un grande autore e lo è ancora, ma ha scelto un’altra strada. Poi c’è stata la fase con Stefano Benni, un genialoide divertentissimo, abbiamo fatto delle cose meravigliose insieme. Poi alcune volte ho lavorato con Serra. Poi c’è stato anche Giorgio Gaber. Ci sono state molte contaminazioni. Io sono una spugna, prendevo di qua, rubavo di là, mettevo dentro battute le facevo. Ho «rubato», tra virgolette.
È sicuro di voler dire di aver rubato battute? È un tasto dolente per i comici.
Non rubavo le battute, ma le tipologie. Si ruba a tutti. Si assorbono i pensieri interessanti. Dopo quel periodo ho iniziato a frequentare Lester Brown (agronomo, fondatore del Worldwatch Institute), Muhammad Yunus (Premio Nobel per l’economia, inventore del microcredito) Joseph Stiglitz (Premio Nobel per l’economia), e da ognuno assorbivo qualcosa che poi tramutavo in comica. Sono stato una cosa strana: tessevo questi deliri degli altri e li rendevo comici e fruibili.
Io l’ho conosciuta come comico intorno al 1999, nell’ultima fase Tele+, con spettacoli come Apocalisse Morbida. Scriveva da solo questi spettacoli?
Lavoravo insieme a Marco Morosini, uno scienziato che lavora al Politecnico di Zurigo.
L’unico comico a scrivere era lei, quindi.
Io in realtà non scrivo, faccio scalette mnemoniche. Non ho cose scritte che imparo a memoria perché ho pochissima memoria, sono più le cose che mi dimentico di quelle che dico, e in quelle dimenticanze creo. Mi metto a improvvisare per sopperire al fatto che mi dimentico i passaggi. È la mia prerogativa, e il divertimento di fare gli spettacoli.
Sono più le cose che mi dimentico di quelle che dico, e in quelle dimenticanze creo.
In quella fase, tra gli anni ’90 e l’inizio del 2000, il percepito rispetto ai suoi spettacoli era che fossero eventi unici, lei era qualcuno che dava informazioni difficilissime da recuperare. Poi verso il 2003-2004 internet ha preso sempre più forma, e i temi dei suoi spettacoli erano più facili da raggiungere. L’evoluzione di internet ha cambiato il suo modo di fare spettacoli e il modo in cui il pubblico la percepiva?
Assolutamente. Prima avevo un pubblico meno informato, quindi faceva più presa quello che dicevo. La gente rimaneva sorpresa. Adesso è molto più informato e si stupisce meno. L’abilità a questo punto è stare sempre avanti, chi fa il mio mestiere deve anticipare. Oggi parlo di come di concetti nuovi della rete che conoscono in pochi, e cerco di spiegarli. Parlo di reddito di cittadinanza e del referendum in Svizzera, di un reddito per lavorare invece di lavorare per un reddito. La mia tecnica è sempre quella: urlo, sudo, tocco le persone, ci vado sopra, vado sul palco, mostro un filmato, da quello non mi scosto perché è la mia personalità. Guardo le reazioni del pubblico, senza fare comizi – siamo sotto elezioni e c’è il Movimento che va avanti. Sono cose in cui mi butto, e che cerco di spiegare in modo divertente. Non voglio fare il professorino.
Io poi nel movimento mi ci sono ritrovato scherzando. Non volevo diventare il leader di un movimento politico, come tutte le strade della mia vita ci sono arrivato per caso. Ho avuto quattro vite, e sto andando nella quinta.
Cos’è questa quinta vita?
Voglio capire quello che sta succedendo. Intanto ho 40 anni di carriera, trovamelo un altro in Italia che ha 40 anni di carriera.
Era difficile dimenticarsi di lei negli ultimi anni, ha avuto una parentesi importante…
È stata una parentesi che ha cambiato il modo di fare politica in Italia, mi deve essere riconosciuto. L’impossibile, l’ostinazione, la caparbietà fanno miracoli. Jobs era figlio di un immigrato siriano, e ha cambiato il mondo. Uno si è incazzato perché gli hanno fatto la multa da Blockbuster per un ritardo di consegna, ha fondato Netflix e ha fatto fallire Blockbuster. Il Leicester City ha vinto il campionato inglese con un capocannoniere operaio che era finito agli arresti domiciliari. Sono miracoli. Io e Casaleggio fondiamo un movimento senza soldi, con un computer, ci dicevano che non ce l’avremmo mai fatta… Ma non esiste più l’impossibile.
Dopo l’incontro con Casaleggio e la nascita del blog ha cominciato a fare una nuova tipologia di spettacoli. Ha ricominciato a parlare di politica nazionale, anche a livello locale in base alla città in cui si trovava. Come mai?
Perché era dentro un progetto. Dopo i miei spettacoli la gente diceva: «Perché non realizzi le cose di cui parli negli spettacoli? Perché non ti metti in politica?» Quando ho incontrato Gianroberto è nata la collaborazione tra un manager e un saltimbanco, e abbiamo scombussolato un sistema. È nata l’informazione col blog, ci abbiamo fatto scrivere Premi Nobel. Poi sono nate naturalmente delle liste, un programma sui temi di cui ho dibattuto per tanti anni, e siamo entrati dentro al sistema per far diventare i nostri pensieri delle leggi. Per quello abbiamo iniziato a parlare di politica interna, del fatto che non esisteva la destra e la sinistra, – io chiamavo il PD «PDmenoL». La cosa schifosa di questo paese non è che si ruba, ma la disonestà intellettuale, mentre la politica dovrebbe essere sopratutto lealtà. Noi siamo stati diversi, ad esempio abbiamo dato gli stipendi alle microimprese, abbiamo rinunciato a 42 milioni di soldi pubblici. Avrebbero dovuto accoglierci a braccia aperte tutti gli italiani. Ma forse abbiamo sbagliato la comunicazione, forse li abbiamo dati per scontati, forse se dici che sei onesto pensano che sei disonesto.
Il fatto che anche dopo la nascita del Movimento ha continuato a essere un comico, e a esprimersi come tale, forse è la causa dei problemi di comunicazione che ha citato ora? Ad esempio, la battuta sul sindaco di Londra fatta durante lo spettacolo può aver influenzato negativamente l’immagine del Movimento.
Quella è la disonestà intellettuale di cui parlavo prima: io nello spettacolo faccio vedere due immagini significative di Tidjane Thiam, ivoriano direttore generale di Credit Suisse, e Sadiq Khan, pakistano diventato sindaco di Londra. E dico: «Ognuno ha gli immigrati che si merita. Là li fanno diventare presidenti di banca e sindaci, qua gli facciamo vendere le borse false di Gucci». Questo è il significato. Poi alla fine mi è scappata la battuta, «speriamo che quando verrà eletto non si farà saltare davanti al Ministero», ed è scoppiata la risata, il concetto serio è stato sbracato. Perché questo è quello che fa un comico. Contro la disonestà intellettuale non si può fare niente, se non denunciarla. Nella comunicazione chi è onesto dà una sua impronta, ammette di essere di parte, e tu che leggi sai chi ti sta dando l’informazione. Una volta i telegiornali erano chiaramente divisi tra partiti, ed era più onesto.
Il problema però è quando entra in gioco il suo ruolo politico.
Ma se qualcuno entra in un teatro e paga un biglietto per vedere uno spettacolo comico, non può estrapolare una battuta come se avessi parlato di politica in una piazza. Questo hanno fatto. Se non avessi detto quella battuta, ne avrebbero presa un’altra. In due ore e un quarto mi capita di dire stronzate. Io esagero, ma il comico deve esagerare.
Un suo collega, Daniele Luttazzi, ha scritto dei suoi nuovi spettacoli che per lei è impossibile tornare a fare il comico perché finché ci sarà il Movimento i suoi spettacoli saranno propaganda.
Io non leggo quello che dice Luttazzi, è libero di dire quello che vuole. Io so che la gente esce molto divertita. È ovvio che dopo quello che ho fatto ci vorrà tempo per ricominciare a fare spettacoli e portare i non grillini a vedermi, ma vorrei delle persone che mi guardano e dicono «Vediamo se riesce a farmi ridere». E di solito escono contenti. Non c’è un comizio dentro.
Negli spettacoli prima del Movimento ha sempre parlato di temi, che poi ha messo nella politica e nei comizi. Allora qual è la differenza tra uno spettacolo e un comizio?
La differenza è negli occhi di chi ti guarda, nell’ambientazione – sei in un teatro con un biglietto pagato e non in una piazza, quindi c’è una selezione. A teatro scegli di andare, in piazza passi di lì e senti cosa succede. In piazza sei dentro la campagna politica, a teatro sei dentro uno spettacolo. Puoi essere deluso, contento, indifferente, ma l’approccio è comunque diverso. Io posso essere lo stesso, sono sempre io a parlare. Veicolo comunque delle cose importanti per me.
Nella seconda metà di aprile ha ripreso il suo tour e ha parlato di Gianroberto Casaleggio dopo che è mancato. Come è stato parlarne sul palco?
Ho passato 11 anni a sentirlo cinque volte al giorno. Con lui mi sentivo protetto, sapevo che c’era sempre. Se offendevano me, offendevano lui. Se querelavano me, querelavano lui. Condividevamo lo stesso ideale. Due teste completamente diverse: lui metodico e riservato, imprenditore con degli obiettivi, bravo nella comunicazione e nell’organizzazione, io un saltimbanco che si muove in tv e nei teatri, l’esatto opposto. È stata una miscela straordinaria. Quando è mancato sono stato più debole. Ora ho metabolizzato un po’, anche grazie al fatto che ha lasciato “Rousseau”, un sistema operativo che permette a qualsiasi cittadino di proporre una legge e fare in modo che i portavoce in Parlamento possano discuterla. Un’opera geniale.
Ha riflettuto sul suo ruolo di unico fondatore rimasto del Movimento? La scomparsa di Casaleggio ha cambiato i suoi piani?
Ora si fanno spazio persone in gambissima, motivate, e io sono orgoglioso di aver fatto un passo a lato. Però il Movimento non è stato ancora capito bene. Non è una cosa che si spiega, bisogna entrarci. È come imparare a nuotare, ti devi buttare in acqua. Entrandoci si capisce che non si tratta semplicemente di diventare sindaco, occupare una poltrona – è un modo di vedere la vita. Come si fa a uscirne? È come dire “esco dal jazz”, “esco dal buddismo”. La mia vita era già così prima del movimento. Io ora ho un ruolo di garante delle regole, poi prima o poi ci sarà un sistema che farà rispettare le regole, come quello dei Blockchain: chi le infrange verrà automaticamente espulso da un algoritmo. Le faccio un esempio: se io le vendo una macchina e lei non paga, la macchina si ferma, senza interventi dall’altro o intermediazioni. Sarà interessante applicarlo in politica. Io sto traghettando il Movimento verso nuovi orizzonti, resto perché non potrebbe essere altrimenti. Non intervengo direttamente, però credo che ci sia ancora bisogno della mia presenza.
Vorrei che le persone dicessero chiaramente quello che pensano di me, con la mia salma presente. «Finalmente se n’è andato questo rompicoglioni»
Il Grillo comico non ha mai pregato il Grillo politico di smettere?
Ma io ora sono il Grillo comico. Sono in teatro, sto organizzando una tournée all’estero, sugli italiani all’estero, a settembre ricomincerò il tour. Però la mia vita è politica, ogni decisione che prendo è politica, ma questo vale per tutte le persone.
Recentemente è scomparso un altro personaggio della politica, Marco Pannella.
Pannella ha resistito 87 anni a digiuni, droghe leggere, battaglie, poi ha fatto due e tre selfie con i politici locali ed è morto. Ora la gente piange sulla sua tomba dopo avergli dato contro tutta la vita. Io vorrei per me una camera mortuaria onesta. Vorrei che le persone dicessero chiaramente quello che pensano di me, con la mia salma presente. «Finalmente se n’è andato questo rompicoglioni, se n’è andato troppo tardi.» Anche il prete dovrebbe dire la verità «Rompeva i coglioni, gli piacevano le donne…» Ma non è mai così. Anche Casaleggio è stato incensato da persone che aveva querelato per diffamazione prima di morire. Neanche l’onestà post-mortem è possibile.
Ultima domanda al comico: qual è lo stato attuale della satira in italia?
È deboluccia, perché la realtà è al rovescio. Per fare il comico bisogna fare come in Il castello dei destini incrociati di Calvino, appendersi per i piedi e guardare il mondo a testa in giù. Il cervello fa brutti scherzi e la satira ora non distingue più tra verità e realtà… Caspita, bella questa frase. Non ha senso, ma fa scena.