Questo hombre fuerte mi pare un incrocio fra il bisonte e il gorilla. Nel vasto petto gli ruggono diavoli spietati, che paiono realizzarsi solo nel gusto vandalico della distruzione. The noble art si squalifica a pretesto omicida: non è più scherma fatta con le braccia, che dopo tutto sono le gambe anteriori dell’uomo antico: non è più danza virile, non invenzione, astuzia, coraggio. Tyson abbassa le corna al gong e inizia la carica: chi osa opporsi alla sua corsa è condannato senza mercé.
(Gianni Brera)
Non credo ci sia bisogno di altre parole per descrivere il vecchio King Kong Mike Tyson. A beneficio delle nuove generazioni, permettetemi di aggiungere solo poche righe. Prima di Iron Man, c’era Iron Mike. Prima di Lennox Lewis, Tyson Fury, Deontay Wilder, Olekander Usyk, Volodymyr Klyčko, c’era Kid Dynamite, un ragazzino di 21 anni che senza fare un singolo movimento e senza alcun fronzolo – altro che maschera ed entourage, saliva sul ring in felpa e pantaloncini – incuteva e provocava paura, terrore, panico nei suoi avversari. Quando Iron Mike entrava in scena, il mondo si fermava.
“The Baddest Man on the Planet”, altro soprannome che basta e avanza per inquadrarlo, era già il più grande, il più letale. Era più veloce, più cattivo, più grande di Michael Jordan, Larry Bird e Magic Johnson messi insieme, più coccolato di Joe Montana, più amato di Oprah Winfrey, più predestinato di Muhammad Ali. Un ragazzo afroamericano di Brownsville, contea di Brooklyn, arrestato 38 volte prima dei 14 anni, proveniente dal ghetto, dall’hood, dal corner della strada, da una situazione di violenza 24/7, e poi abusi, crack, pistole e botte, tante ma proprio tante, le prime prese per crescere – «Se non finisci con la faccia per terra, non saprai mai il sapore del tuo sangue» – le seconde date per sopravvivenza e riscatto economico e sociale – «Facevo tre, quattro incontri al giorno e li vincevo tutti» – che ben presto, visto il passaparola fra le gang sulla sua meravigliosa ascesa, ha lasciato il posto a Rispetto & Ricchezza, il tutto alla tenera età di 10 anni, pure meno.
A colpi di boxe, quel ragazzino avrebbe elevato il proprio pedigree nell’America dei bianchi di successo nonostante il suo passato da criminale, carcerato, street fighter e rapinatore; e sarebbe diventato un uomo di successo, un modello da seguire, da far entrare nel proprio cerchio. Col passare degli anni, ecco il Mike famoso, campione del mondo dei mediomassimi, ricco, cattivo, bruto e stupratore (tre anni di galera). E poi il Mike ridotto all’osso e abbandonato da tutti, quello che lecca rospi e fa cartoni animati, l’uomo responsabile di centinaia di KO che si ritrova a cadere e ricadere mille volte, l’uomo dell’eterna disintossicazione (dalla rabbia, dalla violenza, dall’alcol, dalla dipendenza sessuale). Fino al Mike che si rialza sempre, e si reiventa con fortune alterne ma rimanendo schietto, semplice, simpatico alle masse; l’uomo che l’America delle second chances ama sempre e comunque. L’ultima nuova occasione, adesso, è la commercializzazione di quella marijuana che ha contribuito a portare in carcere milioni di afroamericani, e che ora è invece un’arma di riscatto per i nuovi black entrepreneurs.
Questo era (ed è) Mike Tyson. E io sto finalmente per spuntare una delle caselle ancora vuote nella mia lista delle interviste-da-sogno. Già la pregusto, la immagino. Sole giallo, palme verdi allineate nel cielo azzurro. La Tyson Villa in quel di Beverly Hills con la sua vista mozzafiato sulle colline di Los Angeles. Mike che mi accoglie nel suo salotto bianco e che, con la sua inconfondibile vocina sottile, inizia a raccontare. E invece… BOOM PUFF FUCK! Come nei fumetti, scoppia la bolla ed eccomi in collegamento Zoom pandemia-mode davanti a Mike Gerard Tyson in tutta la sua magnificenza seduto sul sedile posteriore di una Bentley Continental accanto alla moglie Lakiha “Kiki” Spicer, con tanto di pre-rolled spliff in bocca, predisposizione gioviale e un sorriso che la dice tutta sulla sua condizione psico-spirituale. Inizia il suo viaggio verso l’aeroporto di LA, e inizia la nostra chiacchierata.
Ti trovo in forma, la marijuana ti fa bene… Cominciamo. Visto come e dove sei cresciuto, a cosa devi il fatto che non sei morto, o almeno non sei in galera a vita?
Proprio l’essere stato arrestato a 11 anni, e l’essere finito in un centro detenzione per minori dove, per caso, mi sono ritrovato a guardare The Greatest (il film con Muhammad Ali del 1975 uscito in Italia col titolo Io sono il più grande, ndr). Mi sono messo in testa di diventare come lui, quando, nel mezzo del film, arriva “The Champ” in persona. Poi, proprio per via di questa mia ammirazione, mi sono fatto trasferire in un altro carcere dove c’era una palestra. Siccome già facevo a botte, un detenuto mi ha insegnato le basi della boxe: lì ho capito che avrei potuto uscire dal ghetto e non morire come tanti altri miei amici. Se non fossi stato arrestato, mai sarei diventato un pugile.
Possiamo salutare per sempre il vecchio Mike rissoso ed irascibile?
Sì, I’m good. Non mi ricordo nemmeno chi sia quella persona. Psicologicamente sono in un altro mondo, sto benissimo, mi sono trasformato.
E ora chi sei?
Mike, semplicemente Mike. Happy Mike.
Raccontami il processo di questa trasformazione.
È una vera e propria evoluzione. Una volta mi facevo un sacco di coca, avevo mille problemi con mia moglie, con il lavoro, con la mia attività… Stavo malissimo e compensavo con alcol e droga. Quando, su consiglio di amici, ho conosciuto uno sciamano, lui mi ha detto che mi avrebbe cambiato la vita, ma prima avrei dovuto sottopormi a una specie di rito. E così ho fatto: mi ha fatto vedere un rospo del deserto di Sonora dicendomi che era l’unico animale al mondo in grado di produrre una sostanza psichedelica che avrebbe agito positivamente sulla mia psiche. Beh, per farla breve, hanno estratto dalla schiena di ’sta rana delle sostanze che hanno poi essiccato e che ho successivamente fumato. Bam! È stato come sentirsi morire, mi sembrava di precipitare dalla cima di una montagna. Sono finito all’inferno, in paradiso, ho sentito e visto paura e rabbia lasciar fisicamente il mio corpo, ho visto i miei antenati, la mia storia… Venti minuti dopo mi sono svegliato, ho vomitato l’anima e ho rifatto lo stesso processo. Da allora sono stato meglio, quella sostanza mi ha dato il potere di controllare la mia mente e le mie azioni, di perdere sentimenti negativi come egoismo, rabbia, invidia, avidità. Sono entrato in una dimensione che non conoscevo. Dopo quella prima volta, ho rifatto la stessa cerimonia almeno un centinaio di altre volte. Mi fa bene. Poi ho aggiunto la marijuana, e devo dire che sto da Dio.
Dal tuo stare bene e vederci chiaro, possiamo dire che è nato Tyson 2.0.
Sì. Dal rospo alla marijuana il passo è stato breve, e grazie a questa chiarezza mentale mi è venuta l’idea di creare il mio brand, Tyson 2.0, che voglio sia un’organizzazione di salute e benessere. Insieme a un socio abbiamo concepito Tyson Ranch, un marchio che vuole andare oltre la semplice vendita di marijuana e vari prodotti: mi piacerebbe creare un centro dove insegnare e imparare tutto quello che si può su questo prodotto, dove gli esseri umani possano raggiungere il proprio potenziale migliore, lo stesso risultato che ho ottenuto grazie a quella che chiamano la coda di scorpione, o di rospo… Lo chiamano anche “frutto degli dèi”, è una forza naturale, Dio ce l’ha data per migliorarci come esseri umani.
Che cosa preferisci fumare?
Fumo sativa, mi tiene sveglio. Il mio cervello deve continuare a muoversi, se smette di muoversi non funziono io. Fumo The Toad 2.0, il mio marchio. Ma devo confessare che la mia migliore varietà è Sour Diesel. Fra poco metteremo nero su bianco terreni e strutture da definire: non c’è niente che non saremo in grado di fare quando inizierà l’era Tyson 2.0.
Come ti ha cambiato la vita la marijuana?
La marijuana è stata ostracizzata dalla società per tantissimo tempo, ora invece è vista come uno strumento per raggiungere la pace della mente, viene riconosciuta anche per il suo potere curativo. Hanno cominciato a condannarla nel 1936 con un film, Reefer Madness, dove terrorizzavano la popolazione statunitense colpevolizzando gli americani di origine messicane e gli afroamericani, specialmente quelli che lavoravano nello spettacolo. Visto che la marijuana ti apre la mente, è stato però difficile tenere tutti sotto controllo. Personalmente parlando, la marijuana mi ha reso una persona migliore, più calma, riflessiva. Chi l’ha provata sa cosa voglio dire, chi non l’ha provata forse dovrebbe farlo: non è vero che ti porta a droghe più pesanti, almeno se la usi nel modo giusto, con moderazione, come del resto tutto nella vita.
Raccontami della tua “Italian Connection”.
Sono stato a Roma, a Milano, in Liguria, in Sardegna un sacco di volte, e ogni volta il vostro Paese mi piace sempre di più, scopro sempre cose nuove di voi italiani, la passione, il genio, la voglia di godervi ogni singolo giorno della vostra vita, la curiosità che avete per tutto e tutti: non vi fermate davanti a nulla, chiedete tutto ciò che vi passa per il cervello. I love Italy. Le cose migliori? Il cibo: la pasta, il pane… anche se devo stare attento ai carboidrati, non sono più un ragazzino. E la moda: i miei brand preferiti sono Cavalli, Ferragamo e Versace. Gianni l’ho incontrato nel 1996, mi ha colpito questa sua frase: “Tu e i miei vestiti rappresentate il futuro”.
Mike Tyson e il cinema. Mi è piaciuto tantissimo Mike Tyson: Undisputed Truth, il film scritto da Spike Lee e Kiki. Ora arrivano altri progetti, come la serie prodotta da Scorsese in cui a interpretarti ci sarà Jamie Foxx…
Prima di tutto fammi dire che senza Una notte da leoni non sarei quello che sono adesso in termini di popolarità, anche se mi sta sul cazzo che la nuova generazione mi conosca quasi più come attore che come pugile. Mi piacciono Ralph Macchio e soprattutto Denzel Washington, il nostro Rocky. Prossimamente farò un film con Bruce Willis (Cornerman, sul leggendario allenatore di Tyson Cus D’Amato, ndr) e, anche se so di non essere un bravo attore, ti posso dire che sono in grado di imparare da chiunque. Soprattutto, posso imparare cosa non fare: per essere un maestro, devi prima essere un incapace (ride).
Tu e Kiki come vi siete conosciuti? Amore a prima vista?
Aveva 19 anni quando la vidi per la prima volta a Las Vegas e, siccome era troppo giovane (ride), ho aspettato di incontrarla di nuovo quando fosse cresciuta, cosa capitata di nuovo in Ohio. Adesso, dopo qualche periodo di burrasca comune a tutti i matrimoni, posso dire che… litighiamo continuamente, sempre, per qualsiasi motivo, urliamo proprio come voi italiani. Seriamente, amo Kiki, mi piace pensare che una stabilità affettiva mi abbia reso più riflessivo, più responsabile verso i miei figli e la loro felicità, voglio che raggiungano il massimo potenziale della loro creatività. Detto questo, non sono affatto il miglior papà del mondo, anzi, però dico spesso loro che avrebbero potuto avere un padre come il mio, cinghiate, alcol, e tutto il resto.
Il compito dei genitori è rendere i figli consapevoli di… cosa?
(Ride) Del fatto che senza faticare, senza lavorare, non hanno diritto a nulla. Questa generazione vuole tutto e subito, non sa che i diritti di cui gode sono merito di chi l’ha preceduta. Per questo ho detto loro di non aspettarsi nessun fondo fiduciario da me, devono impegnarsi, sudare, competere con il mondo: la competitività è l’anima del commercio. Vedessi come si sono incazzati! Abbiamo raggiunto un compromesso: qualsiasi cifra guadagneranno in futuro, con un qualsiasi lavoro, gli ho promesso di pareggiare la stessa cifra. Tutto qua.
Parlando di casa, hai una routine quotidiana particolare?
Mi alzo alle quattro-cinque del mattino, non dormo tanto, non ci riesco, poi mi faccio un caffè e una canna, mi metto davanti alla tv a guardare qualcosa di “spiritualmente affermativo”, mi butto in palestra, un’ora di corsa, palla medicinale, pesi, 200 flessioni addome, 200 schiena, gambe, braccia, qualche esercizio di pugilato… Mi piace stare in palestra visto che la palestra mi ha dato da vivere e tutto quello che posseggo. Poi altre canne, mi rilasso, gestisco il mio business, faccio riunioni, interviste come questa con te, la litigata quotidiana con Kiki… E poi c’è il mio podcast, Hotboxin’ with Mike Tyson. Non c’è nulla di meglio che sedersi, fumare e raccontarsi la vita con gli amici, questo è il concetto del mio podcast. Mangio – pochissima carne e quasi zero carboidrati – e poi un sonnellino…
Proprio l’altro giorno Tyson Fury, come avevi predetto, ha demolito Deontay Wilder. Cosa ne pensi e, soprattutto, hai intenzione di salire di nuovo sul ring?
Quello è stato l’incontro più bello che abbia mai visto in anni e anni di boxe. Entrambi hanno combattuto fino alla fine, e tutti erano contenti dei soldi spesi, che è poi quello che conta. Oggigiorno, signore e signori, la boxe è mainstream, non è più per soli aficionados. Quanto al rientrare sul ring, sono disposto a farlo ma solo per beneficienza, non per speculazione. Dovremmo tutti fare cose per il miglioramento dell’umanità, non per una Maserati o una Bugatti: belle, sì, ma solo finché rimangono nella concessionaria. Una volta che la compri, vai a casa e la parcheggi nel tuo garage, l’entusiasmo è sparito (a questo punto sia Kiki che autista mi guardano sorpresi, nda). È come se sapessimo che quella Ferrari nell’autosalone è prigioniera, in gabbia, e che tocca a noi liberarla. Però, una volta libera, non la vogliamo più.
E, con queste parole, siamo arrivati alla fine del suo viaggio per le strade di LA. «Kiki, stiamo andando in Colombia, vero? Kiki! Kikiii! Bogotá, giusto? Mi rispondi, Kiki?!». Forse, a proposito della pace ritrovata, abbiamo parlato troppo presto. Inala, Mike. Inala a lungo.
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VIDEO CREDITS:
Director-Camera: Scott Beardslee
Co Director – Editor: Fabio Stecher
Coproducer: Arden Keyz
Vocalist: Simone Ayers
Producer: Jalen James Acosta
Additional Percussion: @BaronPerez
Stylist: Oretta Corbelli
Press Office Italia: Mpunto Comunicazione