A dicembre sarei dovuto andare a Istanbul con degli amici: dj set in un club del centro per loro, articolo sulla scena locale per me. Un attentato alla metropolitana ha infranto nella paura la musica di una serata attesa a lungo, riportando al mio orecchio lo stridio di una congiunzione fra termini estranei che in una sera di novembre ha colpito Parigi: “musica e paura”. Decido di contattare per un’intervista il ‘nostro uomo’ a Istanbul, Orçun, proprietario del Cosmique Room, un piccolo club di Taksim, epicentro della vita notturna a Istanbul.
Ricordo una città dove la modernità abita la strada accanto al volto da ‘mille e una notte’, in cui la musica corre dal canto dei muezzin di Sultanahmet ai tanti festival (fra cui il ‘nostro’ Club to Club, nda) che negli anni hanno portato a Istanbul grandi nomi: da Lady Gaga a Apparat, dai Mogwai ai Jamiroquai, come a formare una ‘Babilonia sonora’. Sei d’accordo?
Sì, il suono di Istanbul sta nella sua cultura miscellanea, talmente stratificata che è facile incontrare donne con indosso il chador mentre accompagnano le figlie a comprare t-shirt di gruppi heavy metal. Prendi come esempio i dj turchi più famosi: nei set di Mehmet Aslan o Kaan Düzarat trovi campioni di musica araba accordarsi a ritmiche house; non sentirai nulla di simile a Berlino o a New York. I festival stanno aiutando a far crescere la scena locale. Purché prima non soffochi…
In quel “soffochi” il suo volto cambia, infrangendo il pregiudizio che avevo su di lui. Orçun mi era stato dipinto come una sorta di ‘pariolino’ del Bosforo, un festaiolo da ciuffo laccato e t-shirt scollata, divenuto proprietario di un club quasi per caso. Tuttavia, nell’ombra che ora sembra rapirlo, capisco che l’intervista deve cambiare indirizzo. Freschi i risultati dell’elezione che il primo novembre ha riconsegnato la maggioranza assoluta a Recep Erdogan. Se il voto di giugno aveva scalfito il potere del “Sultano”, frenando il governo unilaterale da lui ambito, la nuova tornata ha visto il clima di tensione instaurato dal presidente turco debellare i concorrenti.
Rileggevo una frase che Erdogan utilizzò a preambolo di leggi proibizioniste, in cui dichiarava bevanda nazionale l’analcolico ayram e non il raki, liquore tradizionale. Qual è il ricordo più forte delle rivolte del 2013 a Taksim contro il proibizionismo? Come vivi la riconferma di Erdogan?
Taksim non aveva precedenti in Turchia. Non dimenticherò mai quando la piazza si ammutolì: rappresentanti del movimento LGBT affianco a donne e uomini musulmani mentre le note di un pianoforte infrangevano il frastuono e la violenza (era Davide Martello, il pianista di Imagine davanti al Bataclan, nda). Il piano fu sequestrato quasi fosse un’arma davanti alla violenta repressione. Il paese intero sta vivendo una grande crisi politica, estera come interna, ed è calcando la paura dell’instabilità che Erdogan ha riportato il paese alle elezioni. Abbiamo visto giornalisti arrestati, social networks censurati, lacrimogeni contro chi manifestava contro presunti brogli; non mi capacito del risultato dei voti.
È ancora viva l’immagine del Bataclan, la musica interrotta dagli spari. La Turchia, e in particolare l’area curda, è da anni martoriata da una guerra civile di cui l’attentato nella metropolitana di Bayrampaşa del 31 novembre – che fortunatamente non ha portato vittime – è solo l’ennesimo strascico. Pensi che la musica sia inerme davanti al terrore?
La questione curda è una tragedia in cui turchi e curdi convivono da anni, resa ancora più tormentata dal nazionalismo di Erdogan. La battaglia che ogni giorno club e locali di Istanbul combattono contro il proibizionismo può essere da esempio contro chi vede la paura, di qualsiasi forma, come un’arma cui arrendersi. Mai come ora il potere della musica deve essere quello di dar voce a chi non avrebbe altro modo per comunicare con il “diverso”.
È venerdì, Orçun mi saluta, deve aprire il suo Cosmique Room, perché stasera c’è musica, ci sarà domani, e poi ancora.