Labadessa è un illustratore napoletano che negli ultimi anni è entrato nell’immaginario collettivo grazie a un suo personaggio riuscitissimo, un cinico e nichilista uomo-uccello rosso collocato in un mondo minimalista di sfondi gialli. Per intenderci, quando parlo di immaginario collettivo intendo che la Labadessa su Instagram ha mezzo milione di follower, qualche decina di migliaia in più di Zerocalcare. Questo numero, oltre a confermarci come un medium quale Instagram sia oramai il luogo fertile per lo sviluppo della nuova generazione di illustratori, ci fa rendere conto di come la nuova wave artistica del fumetto italiano stia puntando con ardore al riconoscimento di massa. Una wave che sintetizza il fumetto con precise caratterizzazioni per inondarlo di significato nella sua parte testuale, in cui la parola è gergale e il disegno è sporco e cattivo. Per chi non ne mastica è come se ci trovassimo dentro una versione punk-hardcore sboccata dei Peanuts, ma senza la coralità dei personaggi di Schulz: l’essere umano contemporaneo è – per antonomasia – solo con se stesso.
Feltrinelli Comics ha da poco pubblicato l’ultimo lavoro di Labadessa, Piccolo!, un romanzo giallo (ma solo per il colore delle copertine) scritto come un libro per bambini fittizio, una scelta narrativa audace che permette a Labadessa di confrontarsi con il concetto del fanciullino, aprendosi la possibilità di mutare, a volte, il lato strafottente della sua estetica per indagare i lati più fragili della persona. Quel che si nota è che, rispetto a qualche anno fa, nelle opere contemporanee dei giovani fumettisti, scrittori, artisti è avvenuto un forte cambiamento del pensiero filosofico relativo alla nostra esistenza. È come se finalmente si fosse fatta pace con la spaventosa imprevedibilità incontrollabile della vita, intesa come luogo in cui noi trascorriamo le nostre esistenze comuni, accorgendosi che l’unico vero inquinamento che ci riduce alla cancrena è la società contemporanea. Questo mutamento di paradigma è presente ovunque nei quadri gialli di Labadessa in cui, sotto la cinica corazza della loro estetica e del loro contenuto, possiamo scorgere un richiamo alla vita e all’umanità. In Piccolo!, l’escamotage narrativo è rappresentato da tre favolette che il nostro protagonista, l’uomo-uccello senza nome, racconta al suo piccolo io interiore. Sono piccoli raptus di dolcezza in una frastornante cornice quotidiana, un tentativo di fuga dalla società odierna per riappacificarsi con il concetto sognante e semplice tipico della favola. Sono momenti magici in un mare di tragicità. Perché naturalmente droga, alcolismo, volgarità sono ovunque, specchio del quotidiano menefreghista dell’essere umano d’oggi.
È come se alla fine di una travagliata depressione in questa generazione fosse germogliato un piccolo seme di positività anche nei luoghi meno probabili come il fondo giallo in cui vive il nostro uomo-uccello. Anche nel luogo della perdizione e delle spudorate raffigurazioni drogate esiste la luce. Non una luce cristiana, ma una luce di umanità laica. Non c’è più spazio per fregarsene di tutto e tutti, è tempo di fare i conti con un futuro imminente e immanente. Sarà questa generazione a fermarci dal suicidio collettivo? Magari il nuovo messia avrà le sembianze di un drogato e sboccato antropomorfo pennuto rosso, su sfondo giallo. Non abbiamo molto da perdere, in effetti.