Las Vegas: il racconto dal luogo della strage | Rolling Stone Italia
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Las Vegas: il racconto dal luogo della strage

Un inviato di Rolling Stone country si trovava sul posto quando sono iniziati gli spari. La testimonianza in prima persona della più sanguinosa sparatoria nella storia degli Stati Uniti

Las Vegas: il racconto dal luogo della strage

Più di 50 persone uccise mentre il numero dei feriti supera i 500 dopo che un uomo armato di fucili automatici ha aperto il fuoco sulla folla accorsa a Las Vegas in occasione dell’Harvest Festival. L’inviato di Rolling Stone Country si trovava sul luogo nel momento in cui è scoppiato il caos, ecco la sua testimonianza in prima persona.

“Abbassatevi, state giù”, sono queste le prime parole che ho sentito mentre gli spari risuonavano attorno a me. Appena qualche attimo prima stavo ascoltando Jason Aldean mentre cantava When She Says Baby durante il suo concerto al Route 91 Harvest Festival.

All’inizio sembrava fosse l’esplosione di qualche petardo.

Ero esattamente difronte al Mandalay Bay, alla fine del Las Vegas Strip, quando il rumore è iniziato. Due miei amici hanno avvertito il fischio del proiettile: «Cos’è stato?», ha chiesto un’amica mentre si toccava la gamba, «Mi brucia». Una ragazza vicino a me ha iniziato a gridare in modo isterico.

Poi ci sono stati 30 secondi di silenzio, la confusione, e il rumore dei mitragliatori. Poi altri spari, e poi ancora. Aldean e la sua band scappavano dal palco e la musica si interrompeva, ho iniziato a fuggire insieme a tutte le persone intorno a me. Mi sono gettato a terra.

La gente ha iniziato ad accalcarsi davanti alle porte degli edifici, ho visto qualcuno arrampicarsi verso le finestre. «Abbassatevi, state giù», urlava la gente mentre gli spari infuriavano dal 32esimo piano. Naturalmente non sapevamo che gli spari provenissero da lì. Sembrava che il cecchino si trovasse in mezzo alla folla. Il rumore degli ha iniziato a farsi sempre più forte – o almeno così mi sembrava, come se il cecchino fosse proprio accanto a me. Sembrava che gli spari non dovessero finire più.

Tutti abbiamo deciso di chinarci, anche se non sapevamo da dove provenissero gli spari. Dovevamo scappare, subito. A un certo punto tutti hanno iniziato a correre: i sono rimasto abbassato, mi sono aggrappato allo zaino e ho iniziato a fuggire più veloce che potevo. Dall’altra parte della strada la gente cercava di sfondare le transenne che circondavano l’area del concerto, io le ho scavalcate mentre gli spari continuavano. Ho visto dei furgoni e, insieme ad altre persone, ho iniziato a corrergli incontro per cercare di ripararmi.

«Stai qui babe», ha detto un ragazzo alla sua fidanzata che aveva la gamba coperta di sangue. Era traumatizzata ma non sembrava provare dolore. Le ho chiesto se stesse bene, e lei ha annuito. Insieme ad altre due persone ho aiutato una ragazza con il piede rotto a ripararsi dietro il furgone.

Ho guardato in alto, verso il Mandalay Bay, e vedevo delle luci che lampeggiavano, mentre gli spari continuavano a risuonare. Era il cecchino? Forse. Non ho sono rimasto a guardare abbastanza a lungo per scoprirlo.

Qualche minuto dopo, il rumore ha cessato, ma il caos continuava. Mentre continuavo a fuggire, alcuni camion correvano come pazzi mentre le persone gridavano in cerca dei soccorsi. Ho visto la polizia e l’ambulanza precipitarsi sul luogo del festival. A un certo punto mi sono trovato proprio sotto il Mandalay Bay, e nessuno sapeva ancora da dove fossero arrivati gli spari. Sentivo nell’aria un fortissimo odore di polvere da sparo.

Il mio cellulare ha iniziato a squillare, erano i miei amici e la mia famiglia. «Sto bene», ho detto mentre fuggivo e non riuscivo a prendere fiato.

Scrivo la mia testimonianza dopo appena due ore dalla tragedia. Sono morte almeno 50 persone, ferite più di 400.

Le cifre attuali dicono 59 morti e 527 feriti: la più grave sparatoria nella storia degli Stati Uniti.

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