“Un ringraziamento… a funghi, e ringraziamento alla Rai, e ringraziamento a tutti genti d’Italia…”.
Così, riportano le fonti dell’epoca, terminò l’apparizione di John Cage a Lascia o raddoppia?. Erano i primi mesi del 1959 e lo straordinario artista americano si era appena esibito nel popolare show televisivo come esperto di funghi, portando a casa l’intero montepremi di 5 milioni di lire. Purtroppo reperire i filmati d’epoca è oggi una missione impossibile, e dobbiamo ricorrere alla fantasia per immaginare la sua performance micologica, la sua Amores suonata al pianoforte nello studio, e i surreali duetti con Mike Buongiorno. Federico Fellini ne rimase estasiato, e chiese a Cage di apparire nella Dolce Vita, ma lui declinò.
La sua presenza a Milano, ospite del compositore Luciano Berio, fu particolarmente fruttuosa, non solo per via del quiz. Durante la permanenza in Italia Cage compose Fontana Mix, grazie all’utilizzo di elettrodomestici, acqua e diverse radio, e altri pezzi decisamente sperimentali, in cui il suono era ottenuto nei modi meno convenzionali, e portò avanti il suo sodalizio con Juan Hidalgo e Walter Marchetti, poi associati al movimento Fluxus. Al Pozzetto di Padova il 7 febbraio diede vita a un concerto memorabile. In futuro sarebbe tornato solo di rado in Italia, ma la sua visione unica della musica avrebbe travolto compositori come Bussotti, Donatoni, Bertoncini e Bortolotto, fino ad affascinare per la complessità del suo pensiero intellettuali come Umberto Eco.
Lo racconta la prefazione, affidata al professore dell’Università di Venezia Veniero Rizzardi, di Musicage, da poco pubblicato in Italia dal Saggiatore. Si tratta della riedizione di un testo uscito per la prima volta negli Stati Uniti nel 1996, quattro anni dopo la morte del protagonista di quelle pagine. John Cage, nato a Los Angeles nel 1912, è stato un genio capace di rivoluzionare la musica del secolo scorso, mettendo in discussione e riscrivendo molti dei canoni da cui la composizione non avrebbe fino a quel momento mai pensato di affrancarsi. Ha scritto brani incredibilmente originali, è stato interpretato da alcuni dei più grandi, ha sezionato il suono in ogni suo aspetto e varato teorie cui nessuno era mai arrivato, ha fatto suonare strumenti che nemmeno esistevano e fatto diventare musica il silenzio.
La sua personalità emerge in maniera dirompente, a tratti quasi fuori controllo, dalle conversazioni con la poetessa e scrittrice americana Joan Retallack, che rappresentano l’ossatura del volume.
Non è una classica biografia, nemmeno un’intervista, ma un libro sfaccettato, come la personalità del personaggio che mira a rappresentare. Dopo un’introduzione “a posteriori” a cura dell’autrice, e numerose pagine dedicate alle esplorazioni letterarie e grafiche di Cage – i suoi mesostici, versi in cui una frase verticale interseca il testo orizzontale (con tutti i limiti della traduzione in un’altra lingua) -, completano il volume le lunghe chiacchierate tra il musicista e Joan Retallack. Sono cinque, avvenute tra il settembre 1990 e il luglio 1992 nel loft di New York di Cage, divise in tre capitoli, dedicati alle Parole, all’Arte Visiva e alla Musica.
Nelle conversazioni c’è di tutto, dalla Guerra del Golfo alle mostre di Rauschenberg, dalla nanotecnologia a Kierkegaard e alla numerologia. E poi, naturalmente, tanta musica da tutto il mondo. Quella indiana, di cui Cage era un grande appassionato, e quella contemporanea americana. E lo spiritualismo di cui il compositore, moderno asceta e studioso dell’IChing, il divinatorio “libro dei mutamenti” cinese. “Cosa vuol dire oracolo? Che a parlare è il testo sorgente, e le operazioni aleatorie servono a scoprire cosa dice (…) Come diceva Duchamp, quello che finisce l’opera d’arte è lo spettatore (…) Spiega tante cose che altrimenti sarebbero intollerabili… cioè tanti libri che parlano dello stesso argomento, ma sono tutti in disaccordo”.
Cage e Retallack, tutt’altro che un soggetto passivo, cui il protagonista riporta la sua verità, ragionano su tutto. Sull’anarchia: “Che le cose siano bellissime senza leggi è vero. Ma non vedo come risolverebbe il problema di non avere quel che ti serve. Il caso, cioè, di chi diventa violento perché non ha quello che desidera”; e sulla politica più in generale: “Per me ciascun individuo ha la sua unicità. Perciò non sono solidale con chi si considera membro di una minoranza. Non mi piace l’idea del potere o della debolezza di un gruppo. Mmh? La considero una forma di politica, e penso che ormai siamo oltre”.
Sul vuoto, centrale in tutta la sua opera: “Per me oggi come allora la convinzione è che la musica avviene ovunque noi siamo ed è espressa dai suoni che sentiamo e chiamiamo, semplicemente, suoni d’ambiente; oppure il silenzio! Se non siamo noi a produrre i suoni, tutti i suoni che sentiamo li chiamiamo silenzio, mmh?”. Sull’arte e sulla religione: “Secondo le religioni occidentali orientali non c’è divisione tra il traguardo, diciamo Dio, e il presente, noi stessi. Le religioni occidentali tendono a trovarla, la divisione, e scoprendo questa separazione hanno concepito l’idea della tragedia. Laddove in Oriente, senza divisione, si è sviluppata l’idea della commedia, mmh?, come senso della vita. All’inizio le arti erano al servizio della religione, del tentativo di trovare un senso della vita. Ora che non abbiamo più molta religione quest’organizzazione rigida non c’è più”.
Nel libro, che indugia di continuo nella speculazione filosofica e non di rado diventa ostico alla lettura, si capisce meglio come sia nata l’opera senza epigoni di Cage, la sua idea di arte metafisica, espressione dello spirito. Al limite del paradosso, e dell’incomprensibilità. Eventualità che per John Cage non è mai stato un problema, e che non gli ha impedito di divenire uno degli artisti e degli intellettuali più importanti e rivoluzionari del Novecento.