Rolling Stone Italia

I diari di Bello Figo: il governo dello Swag

"Swag Negro" è il primo libro del rapper ghanese-parmigiano. L'occasione perfetta per conoscerne il pensiero, a cominciare dal suo rapporto con la politica e da quella volta con la nipote del duce

È uno dei cantanti lol più amati dai ragazzi, che affollano la sua surreale pagina YouTube. La sua “arte” è un cortocircuito costante, una presa in giro molto seria di se stessi e di tutto ciò che circonda, trolling allo stato puro, molto adatta a questi tempi e alla comunicazione che va per la maggiore. Eppure a un certo punto – ricorderete forse apparizioni in tv e concerti annullati – Paul Yeboah, in arte Bello Figo, è diventato un caso politico , con esponenti autorevoli delle istituzioni e dei media di casa nostra che si sono sentiti in dovere di occuparsi di lui. E allora, visto che è uscito in questi giorni Swag Negro, il suo primo libro per Rizzoli, abbiamo pensato fosse importante proporne degli estratti, per stare al passo con i tempi e conoscere il “Bello Figo pensiero”.

Illustrazione contenuta nel libro, a cura del Laboratorio Saccardi

Se scelgo tematiche politiche o di attualità è perché so che i miei fan così si gasano ancora di più. In questo modo non intendo prendere posizioni politiche, ma solo dare ai ragazzi argomenti di cui tutti parlano, roba importante con cui swaggare. Dietro non c’è un’idea precisa sulla tematica. Semplicemente: parlare di attualità so che gasa, diverte. Nella mia testa ho una linea, una sorta di impegno politico anche se non strutturato, io non faccio politica. Se metto in evidenza i casini di Trump non è perché mi freghi della cosa in sé, ma so che farà scandalo. Lui ha già fatto scandalo, tutti ne parlano e allora io porto ancora più in rilievo la cosa nella mia musica, swaggando il trambusto, ridicolizzandolo. In teoria non me ne frega se Trump fa questo o quello. La cosa non mi tocca personalmente, perché alla fine che cosa ci posso fare io? Posso fare qualcosa, forse? Dipende da me tutta ’sta roba? No.

Illustrazione contenuta nel libro, a cura di Marco Teatro



Molti fratelli neri si sono lamentati per l’immagine che do dei negri e dei profughi in Non pago affitto. Mi hanno detto che io li ho messi in difficoltà. Mi hanno detto che adesso per colpa mia gli italiani penseranno che non abbiamo voglia di fare un cazzo, che vogliamo la figa e i soldi e il wi-fi e che rubiamo le biciclette… Mi hanno detto che ho rovinato tutto quello che hanno costruito fino a ora: il lavoro, il rispetto, i tentativi di integrarsi e di essere trattati come gli altri. Si sono incazzati perché secondo loro ho preso in giro i profughi, la gente che si sbatte. Gynozz, per aver fatto con me una canzone divertente, è stato abbandonato da tutti. Persino quel tipo senegalese in trasmissione su Rete4 mi attaccava dando ragione alla Mussolini. Asgarraaa, ma come stava quello! I ragazzini che mi seguono, invece, hanno capito benissimo il senso della mia musica. Nessuno di loro mi prenderebbe mai sul serio. Ti direbbero, come se fosse la cosa più naturale del mondo: Tutti sanno che… vi dice niente? Fate finta di non capire? Rispetto i fratelli, so cosa sentono, ma io devo swaggare, voglio essere un simbolo, una porta, un altro modo di pensare, un’altra possibilità.
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