Chi era Massimo Canalini, l’editore dei ‘Giovani blues’ di Pier Vittorio Tondelli | Rolling Stone Italia
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Chi era Massimo Canalini, l’editore dei ‘Giovani blues’ di Pier Vittorio Tondelli

Lo racconta 'Codice Canalini' di Giulio Milani, uscito per Transeuropa Edizioni. In cui si ricorda una figura trasversale, italiana, sempre smisurata. Che contribuì a dare forma all'editoria per come la conosciamo oggi

Canalini Tondelli

Massimo Canalini (a sinistra) con Pier Vittorio Tondelli (a destra)

Foto: Courtesy of Transeuropa Edizioni

Per provare a mettere a fuoco l’esperienza culturale di Massimo Canalini forse è bene partire da lontano. Ovvero dal 2008 e dall’uscita nella principale collana Mondadori di letteratura contemporanea (Scrittori italiani e stranieri) del romanzo d’esordio di Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi. L’autore ha 25 anni, viene dalla provincia di Torino (San Mauro torinese) e al momento dell’uscita del libro risulta vincitore di una borsa di dottorato in Fisica.

 

La scoperta del libro si deve ad Antonio Franchini, editor di Mondadori e tra i responsabili di molti dei successi mondadoriani degli anni Duemila. Sulla copertina del libro si staglia a tutta pagina senza marginature un viso di ragazza, un autoritratto della fotografa olandese Mirjan Rooze. Solo due anni prima un altro esordio – sempre da Mondadori – aveva squassato le classifiche di vendita italiane (e non solo), era Gomorra di Roberto Saviano.  In copertina in quel caso, nella collana Strade blu, i coltelli fluorescenti di Andy Warhol.

 

Questi due libri, frutto dell’intuito e del fiuto degli editor di casa Mondadori, avevano e hanno però un debito. Erano il frutto – certamente di un’onda lunga (anzi lunghissima) – dell’esperienza editoriale e della sperimentazione sociale e culturale di Massimo Canalini che fu tra i primi – grazie anche all’intelligenza e allo sguardo di Pier Vittorio Tondelli – a cogliere la necessità di dare voce a una generazione di giovani e giovanissimi. Certo gli intenti erano in parte diversi, e le generazioni in causa molto lontane tra loro, ma resta il fatto e l’evidenza che la grande editoria nei primi anni Duemila scopre la necessità (e l’opportunità) di pubblicare giovani esordienti che in alcuni casi sapranno rivoluzionare il linguaggio e le classifiche dell’editoria italiana, e che ancora oggi sono parte centrale del panorama autoriale italiano. Una vena aperta vent’anni prima da Massimo Canalini che con la sua prima impresa editoriale, Il lavoro editoriale (nome ispirato a Il lavoro culturale di Luciano Bianciardi), diede il via alla pubblicazione nel 1986 della prima antologia Under 25 curata da Pier Vittorio Tondelli, dal titolo Giovani blues.

 

Attorno al movimento randomico, schizoide e punk di Massimo Canalini (scomparso nel settembre del 2024), ha scritto un libro di ricordi e memorie, quasi di battaglia, Giulio Milani, oggi alla guida di Transeuropa. Che con Codice Canalini (sempre Transeuropa) rende omaggio al suo maestro, in un racconto appassionato e divertente in cui non mancano le incertezze di chi anche inconsapevolmente andava a dare forma a un mondo nuovo.

 

Codice Canalini

Foto: press

Nato ad Ancona e morto ad Ancona, Massimo Canalini è figlio di quella cultura trasversale e tutta provinciale italiana che a metà degli anni Settanta prende fiato e vigore tra il Dams di Bologna e i libri di Michel Foucault, tra Martin Heidegger, René Girard (che pubblicherà per Transeuropa) e i discorsi di Umberto Eco e Gianni Vattimo. Un vero provinciale Canalini, però nei suoi aspetti migliori, ovvero dotato di un’ingenuità e di una spontaneità che sono il segno primo di un’alta disponibilità alla contaminazione. Un bisogno di liberazione che è un bisogno di fare, incontrare e conoscere. Canalini si muove tra Ancona, Macerata e Bologna, e assomiglia un po’ nel suo incedere e pensare al Ciofanni inquieto, buffo e tragicomico di Lunario del paradiso di Gianni Celati così come allo Zanardi facilmente irascibile di Andrea Pazienza.

 

Il pericolo, in quegli anni, è perdere il fragile equilibrio con cui si prova a stare in piedi. Dal radicalismo ideologico che dentro alla lotta armata, alla depressione che detta i tempi del consumo dell’eroina e dell’overdose, la strage di compagne e compagni è davanti agli occhi, come anni più tardi seppe ben descrivere e raccontare Silvia Ballestra nel suo romanzo I giorni della rotonda (Rizzoli).

 

Canalini è conscio del pericolo, ma anche della necessità di dare voce e spazio a una generazione in rapida via d’esaurimento, e così non rinuncia mai a sé stesso e alle sue impellenti pulsioni e intuizioni. Nasce così, insieme a una manciata di amici e soci, Il lavoro editoriale, piccola casa editrice di provincia in lotta perenne con i conti e con un senso del fare mai facile da definire quando le pubblicazioni che funzionano sono quelle a carattere locale – proposte da fondazioni o banche – e quelle che invece piacciono e sono volute non vendono, anche perché nemmeno riescono a raggiungere i banchi delle librerie.

 

Ma l’editore più punk che l’editoria italiana abbia mai visto non si ferma certo di fronte a queste complicazioni. Canalini riesce a dare forma a una serie di relazioni e rapporti che solo una mente dinamica e aperta (oltre che instancabile) come la sua possono mettere in atto. Fondamentale è così l’incontro con Joyce Lussu. Scrittrice, traduttrice, poetessa italiana e partigiana, Lussu, capitana nelle brigate Giustizia e Libertà e medaglia d’argento al valor militare, diventa infatti una delle prime colonne de Il lavoro editoriale.

 

L’incontro con lei è un colpo di fulmine reciproco. Lussu riconosce fiducia a Canalini e alla sua banda di giovani un po’ geniali e un po’ confusi, e apre loro le porte del suo archivio e delle sue conoscenze. Nasce così un’amicizia con Canalini che durerà tutta la vita. Mentre – come scrive Giulio Milani – il mondo editoriale sta mutando e l’editoria di progetto – un tempo in parte veicolata dalle intuizioni e dal potere dell’agente editoriale Eric Linder – si eclissa in favore di grossi gruppi guidati da manager, gli anni Ottanta esplodono in tutto il loro individualismo rampante ed edonista.

 

In mezzo a questa deriva, prevedibile quanto traumatica, e che lascerà in fondo al mare molti dei giovani di allora insieme ai loro ideali, Canalini prova a resistere senza derogare mai, dando forma a un’impresa che possa affrontare le sfide della cultura contemporanea. L’incontro con Pier Vittorio Tondelli diviene fondamentale. Si tratta di una manciata di anni, ma determinanti. Scrive Milani: «Pier Vittorio Tondelli era stato uno dei rari giovani talenti letterari italiani che aveva scelto, fino dall’inizio della sua carriera, di aprire un varco e rompere un invisibile assedio che teneva imprigionata la creatività».

 

Tondelli viveva e pretendeva di vivere della propria scrittura – tema allora ancora molto discusso nella comunità letteraria e intellettuale – non declinandola però in forme giornalistiche più o meno servili. Quindi davanti all’apparenza di un uomo mondano si sostanziava una figura attenta e curiosa ed estremamente seria, oltre che capace di ritmi lavorativi impressionanti. Tondelli sentiva l’urgenza di ascoltare le voci che allora non avevano spazio, coglierne lo stile e il tono, e per farlo lesse tutto ciò che arrivò in casa editrice per il progetto Under. Oltre 700 contributi, da cui estrarre undici autrici e autori. Tondelli lesse tutto e rispose a tutti. Nasce così nel 1987 la prima antologia Under 25 a cui faranno seguito altre due pubblicazioni (nel 1988 e nel 1990) con il marchio Transeuropa, nato con il chiaro intento di sviluppare e scoprire i giovani scrittori italiani.

 

Mancano pochi giorni a Natale quando, il 16 dicembre del 1991, dopo una lunga malattia muore Pier Vittorio Tondelli, segnando la fine della festa e la caduta dell’illusione libertina e libertaria che fino ad allora aveva retto nelle intenzioni e nei desideri di chi si avvicinava all’editoria. Più che un luogo di lavoro uno spazio aperto, un campo di gioco dentro cui misurarsi, ma anche divertirsi. Massimo Canalini, con la sua aria da dandy fuori dal tempo, tuttavia non perde certo il gusto della sfida e del gioco e soprattutto non smette di scoprire, ricercare e contraddirsi, facendosi nuovi amici, ma anche nuovi nemici.

 

Codice Canalini è un libro ricco e confusamente allegro, dentro cui è facile anche commuoversi. Il libro di Giulio Milani non ha il tono della testimonianza, ma la ribalderia dello scherzo sotto forma di esistenza. Uno scherzo giocato sempre seriamente e credendo infinitamente nei libri e nel farli. Difficile dire quale sia il modo di Canalini, ma di certo esiste un codice, una mappa dentro cui poterlo decifrare e riconoscere. Un saper fare editoria che per qualche anno in Italia fu una possibilità concreta e che oggi vive una serie di storture economiche e anche democratiche infinite qui da elencare. Massimo Canalini, che fu in tutto smisurato, seppe sempre riconoscere però la misura delle cose: quella della provincia, una mappa italiana oggi invece ridotta a Roma e Milano con un’ottusità quasi patetica, e quella delle relazioni, dagli amici ai nemici, due gruppi tra l’altro facilmente interscambiabili tra loro: «Era così, Massimo: un ciclone che scuoteva tutto e tutti intorno a sé».