Il moonwalk, celebre passo di danza in cui si fluttua all’indietro, è la firma artistica di Michael Jackson, il corrispettivo del movimento del bacino per Elvis o del taglio di capelli per i Beatles. Fu eseguito per la prima volta il 25 marzo 1983 al Pasadena Civic Center, teatro dello show televisivo Motown 25: Yesterday, Today, Forever per celebrare i 25 anni dell’etichetta nata a Detroit.
Lo speciale, mandato in onda dalla NBC il 16 maggio dello stesso anno, fu visto da 47 milioni di spettatori. Michael non intendeva partecipare allo spettacolo, ma non è vero che non voleva esibirsi con i fratelli (come qualcuno ha malignamente insinuato): semplicemente non amava la televisione, ancora scottato dall’esperienza negativa con The Jacksons su CBS.
Un perfezionista come lui non sopportava l’idea di non poter ripetere un passo di danza davanti milioni di persone, se non fosse venuto a regol d’arte. Sua madre provò invano a convincerlo. Fu necessario l’intervento in prima persona di Berry Gordy, che andò a trovarlo in studio di registrazione. Gordy, per lui quasi un secondo padre, sottolineò che Smokey Robinson si sarebbe esibito con i Miracles e Diana Ross si sarebb riunita con le Supremes: era fondamentale che prendesse parte allo show anche lui insieme ai suoi fratelli.
Michael accettò, a patto di poter cantare Billie Jean. Il patron della Motown non fu entusiasta di dare una vetrina così importante a una canzone della rivale Epic, ma non aveva altra scelta. Dopo le applaudite esibizioni di Marvin Gaye,
Smokey Robinson e Mary Wells, fu la volta dei Jackson 5, che eseguirono un medley dei loro successi, entusiasmando il pubblico. Nulla, però, rispetto a quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
Michael indossava una scintillante giacca di paillette nera presa direttamente dal guardaroba della madre, un guanto bianco ricoperto di strass, una camicia argentata con lustrini, pantaloni neri sopra la caviglia, calzini bianchi luccicanti e mocassini neri. “Devo dire che quelli erano bei giorni”, disse il cantante al mi crofono con aria fintamente distratta. “Adoro quelle canzoni. Sono stati momenti magici con i miei fratelli, compreso Jermaine. Erano belle canzoni, ma ancora di più mi piacciono… quelle nuove!”.
Michael si girò per indossare il Fedora nero e si mise in posa con la gamba sinistra piegata. Non appena partì la musica in playback, iniziò a salire e scendere con il bacino, a scalciare in aria e a eseguire la coreografia che aveva studiato in ogni minimo dettaglio. Il momento della sorpresa arrivò quando, dopo aver cantato per la seconda volta il refrain, eseguì magistralmente il moonwalk.
L’esibizione fu salutata da una standing ovatione da urla di entusiasmo, ma Michael non era soddisfatto perché, dopo la piroetta su se stesso, non era riuscito a rimanere fermo per alcuni secondi sulle punte. Per fargli tornare il sorriso furono necessari i complimenti di un bambino nel backstage e soprattutto quelli di Fred Astaire, uno dei suoi idoli, che lo chiamò il giorno dopo per congratularsi. “Ti muovi in modo divino, li hai messi tutti con il culo per terra”, gli disse il leggendario ballerino.
“Il Motown 25 fu un grande evento. Fece vendere al disco milioni di copie la settimana seguente”, ricorda John Branca. Michael, comunque, non aveva inventato il moonwalk, lanciato tre anni prima dai ballerini di Soul Train. Grandi artisti come Fred Astaire, Cab Calloway e Marcel Marceau avevano già utilizzato un passo simile che creava l’illusione di fluttuare all’indietro. Il manager Ron Weiser lo mise in contatto con Casper, il ragazzo che l’aveva creato, chiamandolo originariamente backslide.
Michael gli chiese di insegnarglielo e imparò in poco tempo i movimenti, continuando a esercitarsi per migliorarli. Quando Casper vide Michael eseguire in TV il moonwalk, fu un’emozione fortissima. “Non ci potevo credere, il mio cuore cominciò a battere forte e mi alzai dalla sedia urlando: ‘Sì, ce l’hai fatta finalmente!’. E io sono quello che gliel’ha insegnato”. Per la sua consulenza, Casper fu pagato solo 1.000 dollari, ma raccontò di essere soddisfatto: “Avevo 16 anni, per me era una bella cifra. L’avrei fatto anche gratis, a dire il vero. Come potevo immaginare che sarebbe diventato il marchio di fabbrica di Michael Jackson?”.
Il testo è tratto da “Michael Jackson – La musica, il messaggio, l’eredità artistica“, scritto da Gabriele Antonucci e pubblicato da Hoepli