Giorgio Faletti è un indimenticabile maestro del thriller, anche a fumetti | Rolling Stone Italia
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Giorgio Faletti è un indimenticabile maestro del thriller, anche a fumetti

Vent’anni dopo, il bestseller 'Io uccido' torna per La nave di Teseo in versione graphic novel. Ma chi era Faletti nel 2002? Ce lo racconta chi ha osservato da vicino la vicenda editoriale di uno degli esordi letterari più folgoranti della storia recente

Giorgio Faletti è un indimenticabile maestro del thriller, anche a fumetti

«Ma come? Giorgio Faletti esce con un thriller da quasi settecento pagine?». Giovane e decisamente inesperto ragazzo di bottega, mi ponevo questa domanda davanti alle prime copie arrivate a fine ottobre del 2002 nella sede della Baldini&Castoldi, la casa editrice per la quale lavoravo. Non sapevo, nessuno poteva sapere, che di quei volumoni macchiati di sangue ne sarebbero stati venduti cinque milioni solamente in Italia, e che Io uccido sarebbe stato pubblicato in altri trentadue paesi.

Vent’anni dopo, quel grande e inatteso bestseller torna per La nave di Teseo in versione graphic novel. Nelle tavole di Andrea Cavalletto, David Ferracci e Assia Ieradi, il commissario Hulot e il suo amico Frank Ottobre tornano a dare la caccia al serial killer rivelatosi con una telefonata notturna a un famoso dj di Radio Monte Carlo.

Ma chi è Giorgio Faletti nell’autunno del 2002? Un comico non più di primissima fascia? Il cantante che otto anni prima ha sorpreso tutti a Sanremo piazzandosi secondo con Signor Tenente? Il pilota di rally che ha corso persino a Monte Carlo? Qualunque cosa sia, sta per cambiare tutto.

Di certo non è nuovo al successo editoriale. Con Porco il mondo che ciò sotto i piedi, il libro dedicato al personaggio di Vito Catozzo, uno dei volti del Drive In di Italia 1, ha venduto cinquantamila copie.

Ma un comico che scrive un thriller? Il dubbio viene, ben prima della pubblicazione, anche alle persone più esperte della casa editrice. Tanto che si ipotizza addirittura di uscire con uno pseudonimo. Al tempo, ha ricordato Alessandro Dalai, l’editore della Baldini&Castoldi, persino i thriller americani in Italia avevano scarso successo. Il codice Da Vinci doveva ancora arrivare. E poi la lunghezza. «Minchia signor Faletti!» esclama la storica caporedattrice Antonella Fassi quando l’autore si presenta con un floppy disk contenente oltre un milione di battute destinate al vaglio di Piero Gelli, uno che nella sua lunga carriera è stato editor di Pasolini e Gadda.

Poco prima dell’uscita del libro, Faletti è tra il pubblico alla presentazione del nuovo libro di Giobbe Covatta alle Messaggerie Musicali in centro a Milano. Avvolto in uno strambo giubbotto argentato che lo fa somigliare a uno dei Rockets, è lì per salutare l’amico con cui condivide la stessa casa editrice. Ma sul palco con l’autore c’è Enzo Iacchetti, senz’altro più popolare di lui, ancora per qualche settimana.

Ai primi di novembre Io uccido è in libreria, con una copertina sobria e cruenta destinata anch’essa a imprimersi nella memoria e, nella sua sintesi, ad accompagnare il successo del libro anche all’estero. «Nelle settimane precedenti alla pubblicazione, Faletti insisteva perché voleva vederla» racconta oggi l’art director Mara Scanavino. «Ovviamente ci teneva molto e mi chiedeva continuamente se era pronta. Io non avevo ancora una proposta definitiva, e alla sua ennesima richiesta dentro di me ho pensato: “Io lo uccido!”. E mi è venuta l’immagine del sangue usata in copertina».

Da lì è tutto un crescendo, il fiocco di neve che diventa valanga. Pochi giorni dopo l’uscita del libro, Giorgio Faletti finisce in ospedale, vittima di un ictus. Contemporaneamente Sette, il settimanale del Corriere della Sera, gli dedica la copertina e un articolo di Antonio D’Orrico in cui si leggono cose da rimanere a bocca aperta: «Non ci crederete ma oggi quest’uomo è il più grande scrittore italiano». Parte un passaparola che non si fermerà più. Ai primi di dicembre le copie vendute sono già trecentomila, e deve ancora arrivare il Natale, grazie al quale le case editrici fanno una fetta consistente del proprio fatturato. Al brindisi della Baldini&Castoldi il direttore commerciale Eugenio Rognoni, suo amico di lunga data, telefona a un Faletti ancora convalescente e mette il viva voce: «Giorgio, ti faccio sentire l’applauso della casa editrice». Pur abituati a grandi successi (Susanna Tamaro, Enrico Brizzi, le Formiche) anche ai miei colleghi di lungo corso non sembra vero di avere in casa un altro bestseller.

In casa editrice partono anche gli scherzi tra compagni di stanza. La responsabile dell’ufficio diritti riceve la mail di un fantomatico G. Capezzone, avvocato romano incaricato di condurre “trattative riservate” per l’acquisto dei diritti cinematografici del libro. Si scoprirà che il messaggio è partito dalla scrivania di fronte, ma di cinema si parlerà ancora, come vedremo.

Arrivano anche i complimenti di Jeffery Deaver, l’autore de Il collezionista di ossa, che l’anno prima è venuto in Italia per delle presentazioni, ha conosciuto in una Feltrinelli il futuro autore di Io uccido e ci ha scambiato pareri culinari e letterari: «Faletti è larger than life, uno da leggenda». E a proposito di leggende, se ne diffonde subito una di quelle metropolitane: Io uccido è stato scritto da un’altra persona, di Giorgio Faletti c’è solo il nome. Leggenda che con opportune varianti si riproporrà per tutta la durata della sua carriera di scrittore di successo: il vero autore è americano ed è stato tradotto; no: è italiano ed è anch’esso piuttosto noto; macché: è Faletti che ha copiato, da uno o più film a seconda del momento in cui la leggenda viene tirata fuori. Gossip senza senso, perché nessun editore, avendo a disposizione una persona che scrive bestseller, avrebbe interesse a occultarne il volto e il vero nome, neanche se si chiamasse Mario Rossi e fosse fin lì sconosciuto. Chi ha questa fortuna si frega le mani in attesa del libro successivo, ma di Elena Ferrante ne esiste solo una, in mezzo a decine di autori di bestseller dall’identità più che certificata.

Faletti certamente non si nasconde. A una festa organizzata alla Terrazza Martini di Milano per celebrare un successo ormai inarrestabile, sale sul palco con la sua band di amici e si lancia in una versione di Lady Marmalade delle Labelle assieme ad Alexia, fresca vincitrice del Festival di Sanremo. «La musica è la mia grande passione» risponde con candore a chi gli fa i complimenti per la sua poliedricità. Quattro anni più tardi arriverà anche il successo cinematografico, con l’interpretazione del bastardissimo professore di lettere di Notte prima degli esami di Fausto Brizzi.

Al cinema non arriva invece Io uccido, ed è un mistero degno di un romanzo del suo autore. Dovrebbe occuparsene Aurelio De Laurentiis, si parla di cifre da capogiro: seicentomila euro per i diritti cinematografici. E di un Faletti destinato a essere coinvolto nel lavoro sulla sceneggiatura, che sogna un cast hollywoodiano: George Clooney e Jean Reno nei panni di Frank Ottobre e del commissario Hulot, con Ridley Scott alla regia e un ruolo anche per Jack Nicholson. Non se ne farà nulla. Nel 2016, due anni dopo la scomparsa dello scrittore che aveva superato a trecento all’ora il comico e il cantante, si parla di una serie sceneggiata da Anthony Cipriano, quello di Bates Motel. Ma il tempo passa e Io uccido è ancora “soltanto” un libro, il romanzo che, come amava ripetere, Giorgio Faletti aveva scritto perché era il romanzo che avrebbe voluto leggere.

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