Lo spazio è solo rumore, recitava (tradotto) il titolo dell’album d’esordio di Nicolás Jaar nel 2011. Poco più di dieci anni dopo la curiosità, il diverso e il possibile continuano a risuonare forte e chiaro come temi guida della sua opera. Oltre alla musica, adesso anche attraverso la scrittura. Il compositore cileno d’origine palestinese arriva infatti alla sua prima opera letteraria, Isole, edita dalla giovane casa editrice indipendente Timeo. Isole che sono un pretesto per addentrarci nelle vite di personaggi alla ricerca di sogni, verità, viaggio e poesia, ciascuno con una voce che sembra la traduzione del pensiero musicale di Jaar.
Il libro può non giungere del tutto inaspettato dal momento che per Jaar la sperimentazione è un gioco necessario. Da Space Is Only Noise, appunto, fino a importanti opere dell’elettronica d’avanguardia dei nostri tempi come Sirens, Telas e Cenizas. In mezzo, produzioni per The Weeknd e FKA Twigs e la colonna sonora scritta per Dheepan del regista Jacques Audiard, vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 2015. Perché lo spazio è solo rumore, dicevamo, e se la vita newyorkese (dove l’artista è nato e cresciuto) lo aveva alla fine turbato, costretto alle dinamiche discografiche dei tempi moderni (nonostante i successi da solista da aggiungersi a quelli in duo, con l’acclamato progetto Darkside insieme a Dave Harrington), Jaar è stato sempre guidato da una curiosità senza restrizioni, a fargli da bussola tarata sempre senza particolari regole.
E qui c’entra anche il rapporto con l’Italia: Nicolás Jaar si è recentemente esibito in un particolarissimo live nella Chiesa di San Fedele a Milano all’interno della rassegna Inner_Spaces con l’opera Hieremias propheta (una sacra rappresentazione che include anche le Leçons de ténèbres di François Couperin). La rappresentazione, divisa in sette parti, ha ripreso alcuni passaggi scelti del Libro di Geremia accompagnate da interventi musicali: da una parte il sacro, sotto forma di lettura di passaggi dell’Antico Testamento e di esecuzione delle composizioni di Couperin basati sui testi delle Lamentazioni di Geramia, dall’altra il profano, ovvero le sonorizzazioni elettroniche e acustiche di Jaar, in un continuo dialogo tra poli opposti più che mai attuale nelle tematiche degli scritti.
Ma l’Italia c’entra anche, fortemente, con la nascita dei racconti di Isole, con alcune tappe di questa magica geografia particolarmente importanti, come lui stesso conferma quando lo raggiungiamo in videochiamata, per addentrarci nel racconto. «Nel 2016 feci un tour molto lungo in supporto all’uscita del mio album Sirens, che si protrasse dal settembre di quell’anno al novembre del 2017, con l’ultima data proprio in Italia, a Torino. Poco dopo quel periodo mi resi conto che non volevo fare più le cose in un certo modo, specie restando nell’industria musicale e continuando ad avere a che fare con manager e agenti di booking. Alla fine di quell’anno decisi di trasferirmi da New York a Torino».
La musica diventa a un certo punto un limite, e quasi come a specchio alla domanda della giovane Wrenn, protagonista della storia che apre Isole (“Ma non ci sono altre isole? E non condividono con noi lo stesso mare?”), quella che a un certo punto si pone Nicolás Jaar trova risposte visitando una particolare “isola”, sulle sponde del Po.
«La mia relazione con Torino, nello specifico, nasce nel 2014, durante un tour con il progetto Darkside. Eravamo su un bus che ci stava portando lì dopo alcune date in Francia e ho questo ricordo di un risveglio molto particolare: senza ancora aver aperto gli occhi, ancora in totale oscurità, ho avuto la sensazione di essere in un posto davvero speciale. Una volta parcheggiati, ho capito che eravamo sulle rive di un fiume, anche se non avevo ancora realizzato fossimo arrivati in Italia. Davanti al Po mi sono sentito vicino a uno dei luoghi più unici che avevo avuto davanti agli occhi, così mi dissi che sarei dovuto tornare in quella città, per restarci a vivere. Ed è quello che è successo nel gennaio del 2018: mi sono trasferito lì e contemporaneamente ho licenziato tutte le persone con cui lavoravo».
Deciso ad esplorare nuovi versanti della sua inflessibile ricerca, Jaar sembra aver avuto da subito le idee chiare su questo particolare momento di reset. Con un protagonista specifico, in forma e colori d’acqua, sullo sfondo. «Ho capito che avevo molto tempo libero, e di non volerlo sfruttare troppo per la musica, e infatti, in quel periodo, ne ho scritto abbastanza poca. Così sono entrato spontaneamente in un momento di solitudine, fatto di certi rituali e altre cose che mi avrebbero accompagnato giornalmente. Tra queste c’era quella di andare in riva al Po a scrivere. In quella circostanza non pensavo ancora a cosa ne sarebbe venuto fuori: ho scelto il mio posto su una specifica panchina che affacciava sulle sue sponde e di lì a poco sono nate le storie che racconto dentro Isole. Anche per questo sono molto riconoscente al rapporto con il fiume e in generale con Torino, una città speciale».
La singolare storia dietro il fatto che la sua opera prima esca in italiano nasce anche dalla vista lunga di Timeo, da silenzioso talent scout a editore a tutti gli effetti: «Lo strano incidente di Isole è il fatto che esca in italiano, mentre io l’ho scritto in inglese. Credo c’entri ancora l’energia del Po, in qualche modo, che lo ha misteriosamente permesso. Il primo a chiedermi di cosa stessi scrivendo infatti è stato Federico Campagna, che gestisce Timeo con Corrado Melluso e gli altri loro collaboratori. Un giorno durante una telefonata è saltato fuori l’argomento, e lui molto incuriosito mi ha chiesto di leggere quei lavori. È stata la prima volta in assoluto, perché essenzialmente nessuno ne era ancora a conoscenza. Il modo in cui tutta questa storia nasce insomma è parecchio sorprendente, ne sono ancora stupito».
Il personale arcipelago narrato dal newyorkese alterna narrativa più consueta a scrittura tipografica, disegni e voci degli stessi personaggi, in cui ci si può imbattere il personaggio di Recimo che cita Sulla rivoluzione di Hannah Arendt o quello della pittrice Xiño ad invocare un mantra per ritrovare la propria personalità che recita “Il tempo è il centro”. Ma quale particolare verità ci vogliono suggerire temi, storie e persone che circondano le avventure tratte in Isole? «Non credo ci fosse una forte necessità di dare significati particolari o specifici ai racconti, non mi approccio a nessun tipo di lavoro in questo modo. Le risposte vanno e vengono, sempre. Conta più il ritmo, tra le domande e le risposte: io non penso di trovarmi in uno spazio che possa fornirne di definitive. Anche per i personaggi, direi che non avevo un vero obiettivo, ovvero i racconti non dicono qualcosa di me attraverso di loro. Non provengono da quel tipo di luogo. È stato qualcosa di molto più vicino alla dimensione del gioco».
Dal suono alla scrittura, sul concetto di vivere l’arte Nicolás Jaar di limiti non se ne è mai posti. Gli chiediamo però quale sia la sua idea di evoluzione della stessa, visto che è un artista in grado di parlare in così tanti modi senza rendere lo sdoppiamento una narrativa ingombrante, come nel racconto dello Slamatore in Isole. La risposta non può che essere in linea con le peculiarità del suo linguaggio artistico. «Sono stato di recente al Museo di Storia Naturale a Berlino ad ammirare la collezione di rocce e minerali che hanno, e ne hanno di una quantità assurda. Mi è venuto in mente che la definizione di arte, quella che abbiamo noi come umani, è davvero restrittiva. Pensavo: ma alla fine cosa intendiamo davvero, noi, con arte? Dev’essere per forza qualcosa che ha creato l’uomo? Me lo sono chiesto guardando quei sassi, perché qualcuno potrà pensare: di chi è questa opera? Mentre invece sono, appunto, solo delle meravigliose rocce. Eppure le guardi e ti chiedi: come mai sono così belle? Questo per dire che non dovremmo pensare all’arte in generale come una cerchia ristretta di cose. Specie di cose generate solo da umani».
Viene da chiedersi a questo punto se leggeremo altro dello Jaar scrittore: «Onestamente adesso non ne ho idea, dipende tutto da quanto sarò occupato con la mia carriera nella musica, anche dal bisogno di sostenersi finanziariamente. Questo libro arriva da un momento di gioco e soprattutto dal privilegio del tempo, dopo aver finito quel tour e colto l’opportunità di focalizzarmi su qualcos’altro che non fosse lavoro. Credo di essere stato molto fortunato per come tutto è accaduto».
Continua ad avere tanti progetti, come sempre di forme in evoluzione, poliedriche, diverse. Con uno sguardo a ciò che succede nel mondo, come attivamente Jaar ha sempre fatto attraverso musica e parole: «Sto iniziando delle sessioni di prova insieme a un pianista e un percussionista, formiamo una band che suonerà nuova musica. Si tratta del progetto Archivo de Radio Piedras, derivato da un canale Telegram da me curato, dove ho condiviso spezzoni di un radiodramma lungo tre ore e mezza, arricchito da una vasta selezione musicale, alcune delle quali molto allegre e dance. Tuttavia, questa non è l’intera storia. Mi piace l’idea di portarla live, anche perché non suono questo genere di cose da un po’, solitamente quello che ho fatto ha sempre un carattere intenso. Con questo progetto cerco di trovare il modo di raggiungere l’idea di gioia, nonostante un mondo pieno di devastazione e rabbia».