“Dopo la mia morte, perciò, non si sentirà la mia mancanza: l’ambiguità importa finché è vivo l’Ambiguo.” Così scriveva nel 1971 Pier Paolo Pasolini nel suo Comunicato all’ansa (propositi), e ambiguità è di fatto uno dei termini fondamentali per capire l’opera dell’intellettuale friulano-bolognese. Ambigua è per esempio la sua posizione nella contestazione studentesca del ’68 – famosa la sua dichiarazione di simpatizzare “coi poliziotti perché i poliziotti sono figli di poveri” mentre gli studenti hanno “facce di figli di papà”. Come ambiguo è anche il reazionario anticonformismo delle sue opinioni in tema di diritti civili; esemplare a tal proposito il suo pronunciarsi contro l’aborto ma a favore della sua legalizzazione. Ed ambigua è infine la sua morte – 02/11/1975 – ancora oggi costellata di incongruenze.
Ma perché la sua tragica scomparsa desta ancora oggi scalpore? Certo, una prima spiegazione riguarda la sua fine violenta, avvolta tutt’ora nel mistero, e il dubbio su chi l’abbia realmente voluta. Ma ciò che in realtà ritorna costantemente è il senso di una non ancora esaurita elaborazione del lutto da parte della cultura letteraria italiana, incapace di comprendere la portata di un autore così anti-convenzionale. Basti pensare che solo 20 anni fa, negli anni ’90 fatti di Karaoke e grandi speranze, la critica nostrana ne esprimeva ancora un giudizio conflittuale, intuendone l’enorme portata, ma non capendone la precocità.
E oggi, invece, a 42 anni dalla sua morte, qual è il lascito di PPP? Probabilmente tra tutte le sue opere, a suscitare rinnovato interesse sono i profetici “Scritti Corsari”, articoli di opposizione e polemica contro la società italiana, pubblicati tra il 1973 e il 1975. In questi ritratti sociologici, infatti, il poeta corsaro anticipa e condanna con grande lucidità i primi gravi sintomi delle malattie del consumismo (l’avvento della televisione, del conformismo e del perbenismo) e delle regole di mercato che stavano piano piano nascendo. La sua è una delle prime vere critiche contro una globalizzazione neocapitalistica – che tutto equipara e che tutto appiattisce – già allora da lui percepita come soffocante, e che risulta quanto più attuale oggi, al ritmo nevrotico e frustrante delle nostre vite.
Tra questi scritti spicca – come nefasto epilogo della sua riflessione – il memorabile Cos’è questo golpe? Io so (pubblicato sul “Corriere della Sera” il 14 novembre 1974), nel quale Pasolini afferma di sapere i nomi dei fautori e dei responsabili delle vicende più oscure della sua epoca. Sarà stata questa sua consapevolezza a segnarne la triste fine? Suona infatti quanto mai sinistra questa sua feroce critica se, a poco più di un anno dall’uscita di quell’articolo, il suo corpo viene trovato martoriato nei pressi dell’idroscalo di Ostia. Se sia invece un’ironica coincidenza del destino, questo non ci è dato sapere e mai nessuno lo potrà dire.
In replica, comunque, a quel senso di irrimediabile degenerazione sociale, egli aveva elaborato la potentissima creazione di un universo poetico, realizzato nei suoi romanzi, nelle sue poesie e nei suoi film, con l’intento di salvaguardare la fisionomia di quel mondo vernacolare, precedente al boom economico, che stava già dissolvendosi. Pasolini infatti ambiva a custodire e trasmettere quella cultura autentica e pastorale, fatta di parlate dialettali e sacralità, recuperandone i tratti unici e veri.
A 42 anni dalla morte dell’Ambiguo, quindi, la sua intrinseca ambiguità permane. Essa ritorna infatti nella compresenza, da un lato, della sua capacità di anticipazione dei tempi prima dei tempi stessi e, dall’altro, nel continuo tendere alla conservazione di un mondo passato e oramai perduto. Un doppio movimento che porta quindi Pasolini, moderno Giano bifronte, a prevedere un futuro complesso – per noi oggi pressoché svelato e contemporaneo – e a ricercarne un sollievo in una cultura popolare oggi non più, di fatto, accessibile. Ma la verità è che solo un domani si potrà raggiungere una piena comprensione dell’opera pasoliniana che, non avendo ancora smesso di dire quello che ha da dire, sembra essere destinata ad una longeva vitalità.