Star Trek o Mad Max? Ci attende un futuro in cui la tecnologia avrà finalmente affrancato l’uomo dal lavoro, che potrà così dedicarsi alla conoscenza e al miglioramento del pianeta? Oppure andiamo verso un mondo devastato dai cambiamenti climatici, in cui le élite si godono le scarse risorse rimaste, mentre la massa della popolazione affamata è tenuta sotto controllo da forze di sicurezza robotiche? Sembra fantascienza, ma non lo è affatto.
Peter Frase, giovane sociologo americano, ha da poco pubblicato un libretto in apparenza di poche pretese, che in realtà è incredibilmente illuminante: si intitola Four Futures: Life After Capitalism (Verso Books, pp. 150). Come spiega bene Warren Ellis, il visionario fumettista e scrittore britannico nel blurb in quarta di copertina: “Una lucida visione del futuro che ci aspetta […] Con senso dell’humor e intelligenza accende quattro chiari segnali di allarme”. Four Futures si inserisce nel filone di una riflessione avviata in anni recenti – da un punto di vista principalmente economico – da autori come Thomas Piketty e il suo poderoso Il capitale nel XXI secolo (Bompiani, 2014, pp. 950, citato tantissimo ma letto pochissimo, come ha dimostrato un’analisi della versione per Kindle); l’inglese Paul Mason con il già più sintetico Postcapitalismo: Una guida al nostro futuro (il Saggiatore, 2016, pp. 382); e Rutger Bregman con Utopia for Realists (in arrivo per Feltrinelli). Ma Frase ha due vantaggi rispetto a questi pensatori: è un sociologo, non un economista. Ed è un nerd. Nel libro, le citazioni da opere di fantascienza non si contano, e il modo in cui descrive questi quattro futuri possibili (due sono un sogno, gli altri due un incubo) ha il respiro della migliore fiction speculativa.
Di una cosa Frase è sicuro: il capitalismo, come lo conosciamo, è destinato a scomparire. La causa di questo cambiamento epocale, che ancora fatichiamo a immaginare (perché non c’è ancora una vera alternativa funzionante, così almeno ci viene raccontato) sta in due fattori: la crescente automazione del mondo del lavoro, conseguenza dei progressi tecnologici nell’intelligenza artificiale; e l’altrettanto crescente depauperamento delle risorse del pianeta, conseguenza del cambiamento climatico – tema che, dopo l’elezione di Donald Trump a Presidente Usa, appare destinato a non essere preso sul serio ancora (almeno) per i prossimi quattro anni. Non posso che iniziare la mia intervista chiedendo a Peter Frase, raggiunto al telefono a New York, come inserisce il nuovo Presidente negli scenari previsti nel suo libro. «Trump e le persone che lo circondano rappresentano il perfetto esempio di uno dei futuri che immagino, quello basato sulla disuguaglianza sociale e sulla ricchezza generata dalla rendita. Trump del resto è un immobiliarista», dice Frase. Secondo lui, è proprio la combinazione di questi fattori – eguaglianza vs. disparità sociale e abbondanza vs. scarsità di risorse – che potrebbe dare luogo ai quattro futuri annunciati nel titolo.
Nel primo futuro, quello più roseo, l’automazione, combinata con l’abbondanza di risorse (ottenuta grazie a un’inversione di tendenza delle politiche ecologiche), genera equità e abbondanza per tutti. È un comunismo nel senso originale del termine, l’utopia possibile annunciata ottimisticamente dai miliardari della Silicon Valley (che sono già talmente ricchi da vivere in un certo senso gratis, perché nulla impedisce loro di possedere ciò che vogliono). Confesso a Frase che l’idea di una società in cui non è più necessario lavorare per vivere mi fa venire in mente Wall-E, il film della Pixar (2008) che si svolge in un futuro in cui gli umani, senza più motivo di muoversi per via dell’automazione e dell’accesso illimitato alle risorse, diventano grassi e apatici. «Credo che quel film rifletta un diffuso giudizio morale, secondo cui il non essere più costretti a lavorare comporti necessariamente pigrizia e abbruttimento. Ma non è affatto questo ciò che succede quando la gente ha più tempo libero. Poi, certo, la differenza è che in Wall-E il robot che lavora al posto degli umani ha una sua coscienza, al contrario delle macchine che sostituiranno il lavoro dell’uomo».
Il secondo futuro prevede ancora abbondanza di risorse: il problema è che la proprietà intellettuale di queste risorse è concentrata nelle mani di pochi. Immaginate di possedere una stampante 3D futuristica, simile al celebre Replicatore di Star Trek (quello a cui il capitano Kirk ordinava il suo classico “Tè, Earl Grey, bollente”, che nel giro di qualche istante compariva in una nuvola di ghiaccio secco). Se il software per creare quel tè apparterrà a qualcuno, saremo costretti a pagare una fee ogni volta che ne desidereremo una tazza. Di conseguenza, per ottenere dei prodotti dovremo guadagnare qualche forma di denaro: e quindi, come succede nel capitalismo attuale, saremo costretti a vendere il nostro tempo a qualche datore di lavoro. Ma, chiedo a Frase, non è forse già una forma di capitalismo basato sulla rendita l’attuale modello dei servizi di streaming musicali, che prevedono accesso gratuito con pubblicità e abbonamenti a versioni premium? «Certo. Invece di vendere copie fisiche o digitali, questi servizi vendono l’accesso alle loro piattaforme. Ma né i vecchi sistemi né quelli nuovi hanno giovato particolarmente agli artisti, quindi credo che sarebbe arrivato il momento di studiare nuovi modelli di distribuzione».
Il terzo futuro ipotizzato da Frase prevede scarsità di risorse, ma una sostanziale uguaglianza tra le persone, ottenuta attraverso provvedimenti (anche qui, conseguenza di decisioni politiche) come il reddito di cittadinanza e la gestione dei consumi, per far sì che le poche risorse disponibili siano distribuite tra la popolazione. Frase lo chiama semplicemente: “Socialismo”. Fino a pochissimi anni fa, teorie del genere sembravano irrealizzabili o strampalate – per i teorici dello status quo neoliberista, per esempio, sono un abominio. Ma, come racconta Frase nel suo libro, perfino il bieco presidente Usa Richard Nixon, nel 1969, era stato sul punto di avallare un reddito base universale per il popolo americano. Salvo, in seguito, diventare uno degli oppositori più violenti di questa idea.
Il quarto futuro è quello più terribile e distopico, e qui l’immaginazione di Frase trova più spazio di manovra. Cosa succede se il potere è concentrato nelle mani di pochi, che grazie all’automazione non hanno bisogno di forza lavoro, mentre le risorse non sono più sufficienti per sfamare la popolazione mondiale? Semplice: i ricchi potrebbero decidere di rimediare al problema delle masse impoverite – inquiete, fuori controllo e potenzialmente interessate a rovesciare l’ordine costituito – nel modo più brutale e definitivo possibile: sterminandole. Ma, chiedo a Frase, non esistono già sulla Terra luoghi del genere, in cui scenari simili in qualche modo vengono attuati? Penso alla crisi dei rifugiati e ai Paesi più benestanti che mandano i soldati alle frontiere; o a luoghi come Dubai, in cui armate di schiavi stranieri costruiscono grattacieli sempre più futuristici e sfarzosi per le élite, chiuse nelle loro bolle di aria condizionata; o ancora, ai quartieri residenziali sorvegliati da personale armato in Sudamerica, opposti alle favelas dove i soldati spesso agiscono come squadroni della morte. «Certo, ma questo non riguarda soltanto le aree impoverite o colpite dai cambiamenti climatici: pensa solo agli Stati Uniti, dove sempre più frequentemente cittadini disarmati, spesso afroamericani, vengono uccisi dalle forze dell’ordine. Nel capitalismo attuale, la vita umana sta perdendo sempre più valore», dice Frase.
In un’intervista del 1999, William Gibson osservava che “il futuro è già qui; il problema è che non è distribuito in modo uniforme”. Il messaggio che Frase ha inserito in Four Futures è che abbiamo ancora la possibilità di modellare un mondo che sia il migliore possibile per l’umanità. Ma dobbiamo agire. Subito.