Schiacciati come vermi da sneaker più grosse delle nostre | Rolling Stone Italia
Libri

Schiacciati come vermi da sneaker più grosse delle nostre

In un estratto dal romanzo ‘Morte di un trapper’, la Milano dello spaccio di vent’anni fa e di oggi raccontata dal protagonista, un ex rapper che diventa detective privato

Schiacciati come vermi da sneaker più grosse delle nostre

Foto: Gras Grun/Unsplash

Di cazzate ne ho fatte. Avevo l’età di Aelle e la città era divisa per piazze: piazzale Brescia, Guastalla, Dezza, Sempione, Ascoli, Prealpi. Non si usavano ancora i telefonini, ci si trovava lì tutti i giorni, era quello il modo per beccarsi: due calci al pallone, un cilum, due penne con lo scooter, un altro cilum, qualcuno andava al supermercato a comprare patatine Dixi per placare la fame chimica, poi ci si muoveva. Verso un pub, una discoteca, a casa di qualcuno, più spesso verso altre piazze.

Ognuna aveva la sua specialità: c’era la piazza con l’hashish marocchino a poco prezzo, quella con la ganja albanese, quella con la maria calabrese o presa ad Amsterdam. Le più nobili e apprezzate smazzavano caramello e charas che arrivavano direttamente dall’India, qualcuno ingoiava gli ovuli ben incellofanati in un villaggio del Karnataka e atterrato a Malpensa li cagava. Dal produttore al consumatore.

Eroina non ne girava, le piazze portavano ancora il lutto dei fratelli maggiori e degli zii morti negli anni Ottanta. Qualche pastiglia c’era, ecstasy per andare a ballare, anfetamine per rimanere svegli, magari per studiare. Gli acidi facevano paura, volevamo farci ma senza perdere del tutto il controllo. Coca pochissima, era roba da ricchi. Sarebbe stato così ancora per poco, prima che il mercato decidesse che due colpi non si negano a nessuno e le strade si riempissero di sputapalline africani. Effetti della globalizzazione.

I soldi per la droga non erano un problema. Un amico comprava un panetto di fumo, tu gliene prendevi un quarto, rivendevi qualche canna facendoci un po’ la cresta per tornare in pari e il resto te lo fumavi. Poi quando da un panetto si arrivava a un chilo, a dieci, a un bagagliaio pieno, a un garage stipato, le cose cambiavano. E anche le facce. L’economia di scala dello spaccio spesso si misurava da quanto facevi brutto. E parecchi facevano bruttissimo. Ma ci si divertiva.

Per fare un esempio, ogni tanto di sabato andavamo in piazza a Cologno, che era una specie di centrale dello spaccio per chi veniva da zone dell’hinterland come Melzo, Cernusco, Brugherio, Pioltello. Sembrava di stare allo stadio tanta era la folla di ragazzini che cercavano da fumare. E gli sbirri non ci avevano messo molto a capire che non era un raduno di runner in tuta che correvano senza sudare. Avevano mandato degli operai a montare delle telecamere. Lo spaccio del parchetto era gestito da un tipo, oggi sta ancora in attività, e tutti aspettavano di capire da lui cosa fare, se spaccare le telecamere a sassate e soprattutto quando.

Arrivando in scooter avevo visto il tizio in piedi sopra a un casotto, i cessi della pista di pattinaggio del parchetto. Aveva iniziato a parlare alla piazza, da quel momento chi avesse voluto venire lì si sarebbe dovuto presentare con i capelli rasati e una maglietta bianca. Punto e a capo, un genio. Così non ci avrebbero più riconosciuti. Potrei ipotizzare che la moda del capello rasato sia partita così in città.

Poi è arrivata la cocaina e con lei i criminali, quelli improvvisati e quelli di mestiere, di famiglia. La differenza era che i primi, quasi tutti, facevano una brutta fine, e lo venivi a sapere. Dei secondi sapevi solo se morivano, ma erano in pochi, la maggior parte se la cavava sempre. Il rap che facevo era un’esaltazione di quel mondo sommerso. Un po’ per gioco e un po’ per posa, sicuramente perché gli americani parlavano di quello, era il nostro modello: soldi, droga, puttane.

Funzionava così. Oggi non è cambiato molto, è solo diventato più luccicante. Vestiti di marca, auto di lusso, modelle, social network. Sempre in tuta e scarpe da ginnastica, ma se prima ci bastava un paio di Nike Silver da centocinquanta euro, ora non ci accontentiamo di un paio di Balenciaga da seicento. Ne vogliamo uno per ogni giorno della settimana, come dei millepiedi che strisciano su piste di bamba. Per poi finire schiacciati come vermi da sneaker più grosse delle nostre.

© 2023 Giovanni Robertini
© 2023 HarperCollins Italia S.p.A