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New York, New York, ancora la nostra maledizione preferita

Turisti mitomani, protagonisti al fast food, scimmie ambiziose. Elevare l'umanità alla seconda è possibile solo qui, tra bellezza fuori misura e contraddizioni irrisolvibili. Un racconto dalla capitale del mondo, che è ancora in America
New York

Foto: Diego Mayon

Questa energia squilibrata. Come avessi un impegno decisivo. Prima dell’alba hai già voglia di consumare le suole. Forse è il fuso orario. Sempre dritto, ti prende una testardaggine da pioniere, senza piazze, senza mete, le inventerai tu.

La capitale del mondo. La Città. Lo è ancora? Cinquanta mila dollari al metro quadro. Vendesi e affittasi sulle facciate. Le cartacce svolazzano su certi marciapiedi senza trovare l’ostacolo di un piede umano. Ciabatte e magliette, finanzieri mimetizzati, i sopravvissuti. I vagoni tappezzati di annunci per l’aiuto psicologico. Tuo figlio ti ha impalato vivo? Possiamo aiutarti: con il pacchetto da dieci sedute, quarantanove dollari di sconto. Ma almeno questo secolo non ha alternative.

Insegne di negozi a Elmhurst, sulla Brodaway, piccolo quartiere del Queens. Foto: Diego Mayon

Shanghai? Dubai? Singapore? Figliastre esotiche, caricature. Guardala. La densità delle altezze. Il riverbero del sole sulle vetrate. La gioia di farne parte per qualche minuto. La promessa delle notti. L’orgoglio a matrioska: per la propria città, per il proprio distretto, per il proprio quartiere, per la propria persona, per il proprio stomaco melariano. Orgogli senza pudore.

Eccomi, conto anche io. Per forza, vivo qui. Le sirene mostruose. I ratti che tagliano le strade. Gli scoiattoli che risalgono i tronchi. Il silenzio miracoloso del parco. La sua geometria nevrotica. Il cielo ad angolo retto. Le nuvole in fretta. Il Natale perenne. Una luce che consola. I colori così intensi che ti sembra di guardarli per la prima volta. Svoltare l’angolo, svoltare il continente. Surfisti pallidi. Nerd abbronzati.

Rockaway Beach, nel Queens, la spiaggia urbana più grande degli Stati Uniti. Foto: Diego Mayon

L’Atlantico addomesticato. L’umano scatenato. Sentirsi protagonisti al fast-food, turisti mitomani, le scene dei film, l’elemosina della celebrità. Ovunque gru gialle, un universo di pongo, un benessere infestante. In superficie folate di erba. Nel sottosuolo folate di piscio. Il carnevale della metropolitana. I mutanti. Semidivini, deformi. Contaminati da un pensiero folle per gli adulti: puoi realizzare i tuoi desideri. Conseguenti suicidi. Scavalcare un morto sulle scale della metropolitana, il pragmatismo, non c’è più niente da fare.

Innamorarsi delle ombre. Intere vite in un’occhiata. Le svariate forme in cui può tradursi un DNA sempre uguale. Le svariate trovate con cui il destino può deformare la carne. Il genio del caso. Le svariate forme che può assumere ogni creatura commestibile. Nessuna vergogna: tutti orfani, apolidi, alieni, millantatori, liberi. Cortesie da giungla. Signore, non si preoccupi, le presto il mio machete. Lo incontri di nuovo e si gira di là. Ti voglio bene o buongiorno, non fa differenza. Il meglio del meglio.

Un momento di relax da Allan’s Bakery, un panificio molto frequentato a Little Caribbean. Foto: Diego Mayon

Non rende felici. Rende più umani. Umani alla seconda. Impossibile sopportarlo. Scimmie ambiziose. Rende disperati. Quanto vorresti essere disperato come loro. Dire: più di così non era possibile. E non è bastato. Osservare la felicità dei villaggi e poi compatirla. C’è posto per tutti, accomodati, se sei il più bravo allora puoi impazzire qui pure tu. Gente che resta per dipendenza d’adrenalina. Prigionieri chimici. Da nessun’altra parte ne troverai altrettanta. L’incubo di invecchiarci. Condannati dal proprio talento, spacciati, benedetti.  

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