Domenica 17 aprile 2016 sarà il giorno del referendum sulle trivelle. Detto meglio, si tratta di un referendum abrogativo della norma che consente alle piattaforme di estrazione di gas o petrolio costruite a meno di 12 miglia dalla costa di rinnovare la concessione per estrarre fino alla durata ultima del giacimento – finché ce n’è, insomma. Le piattaforme di questo tipo sono 88 e lavorano grazie a 31 licenze. La maggior parte di queste piattaforme si trova sulla costa adriatica romagnola e marchigiana, altre sono nella zona costiera di Crotone e Gela.
Per farla invece breve: chi non vuole che le piattaforme continuino a trivellare una volta scaduta la loro licenza (nel 2018 scadono 21 licenze) allora deve mettere la croce sul Sì; chi vuole la legge non cambi, quindi che una volta scaduta la licenza sia possibile rinnovarla finché non viene esaurita la risorsa in questione, allora deve mettere una croce sul No.
Questo referendum è stato richiesto dopo che la legge di stabilità entrata in vigore il primo gennaio 2016 ha introdotto la possibilità di aumentare la durata delle concessioni delle piattaforme entro le 12 miglia “per la durata di vita utile del giacimento” – cioè senza un vero e proprio limite temporale. Togliendo questa frase, cioè se vincesse il sì, si torna alla vecchia norma, per cui la concessione dura trent’anni con possibili proroghe. Una volta scadute anche le proroghe, si smantella tutto.
Chi vota sì e perché lo fa
Un arcobaleno di partiti che non c’entrano niente tra loro voteranno sì: sinistra ecologista, estrema destra, Lega e Movimento 5 Stelle, ma anche parte del Partito Democratico – le regioni che hanno proposto il referendum sono in mano al PD, e come ha detto l’ex segretario Bersani «invitare gli italiani a non andare a votare un referendum proposto da otto consigli regionali dove il PD è maggioranza sarebbe una cosa incredibile», ma Renzi è per l’astensione. Poi c’è anche Vivienne Westwood.
Poi ovviamente ci sono le associazioni ambientaliste, come Legambiente e Greenpeace, quest’ultima in particolare ha dedicato molte campagne contro le trivellazioni.
Gli argomenti a favore del sì sono vari: la produzione delle trivelle entro le 12 miglia è circa l’1 percento del fabbisogno di petrolio e 3 percento del fabbisogno di gas, una cifra piuttosto irrilevante; molti pozzi estraggono poco, quindi pagano pochissime le royalty (imposte sul valore di vendita del petrolio e del gas estratto), e la loro fine non porterà grandi conseguenze sulle casse dello stato; le trivelle inquinano, e il fatto che ci siano stati pochissimi incidenti (uno a Ravenna 50 anni fa, pochi danni ambientali perché era una trivella a gas) o che non capiterà mai una fuoriuscita come quella del Golfo del Messico non significa che siano un toccasana – uno studio di Greenpeace rileva che nelle zone in cui si trovano le piattaforme vengono superati i livelli stabiliti dalla legge per gli agenti inquinanti. Ma si tratta soprattutto di una questione politica per le associazioni: la vittoria del sì servirà a sottolineare la volontà di passare sempre di più alle fonti rinnovabili.
Chi vota no e perché lo fa
Perché dovrebbe? È richiesto il quorum, quindi basta stare a casa, o fare delle gite, con questo bel tempo.
Chi si astiene e perché
La maggioranza del Partito Democratico, l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il Nuovo Centro Destra sono a favore dell’astensione. Le prime motivazioni sono legate all’ “inutilità” del referendum, che non è direttamente legato alle energie rinnovabili e che in realtà non blocca le trivellazioni – oltre le 12 miglia continueranno ad esserci, entro le 12 miglia sono già state bloccate nuove concessioni, la chiusura delle piattaforme entro le 12 miglia, tra l’altro poco produttive rispetto alle altre, non significa un automatico aumento delle fonti rinnovabili. Si parla poi dei posti di lavoro che andrebbero persi con la chiusura delle piattaforme (il dato su questo non è chiaro, il numero di lavoratori su tutte le piattaforme oscilla tra le 9.000 e le 13.000 persone, la FIOM parla di meno di 100 lavoratori direttamente sulle piattaforme entro le 12 miglia, mentre il vicesindaco di Ravenna parla di 7.000 persone a rischio disoccupazione solo nella sua provincia se vincesse il sì) e del dover sopperire alla mancata produzione di queste piattaforme chiedendo gas alla Russia e petrolio – come dicevamo, comunque molto ridotta. In generale il motto degli astensionisti è: meglio andare avanti fin quando ce n’è (semi cit.).
Che fare quindi?
Non è bello farsi dire quello che si dovrebbe fare, e in questo caso è ancora più complesso perché il cambiamento in sé è piccolo. Ha ragione chi sostiene che l’elemento più forte in ballo è il messaggio che si vuole ricavare da questo referendum. E, come capita con certi referendum, se domenica siete a cazzeggiare al mare state mandando un messaggio. Per pulirvi la coscienza almeno andate al mare in Romagna, con le motonavi che organizzano le gite alle piattaforme – al ritorno servono il fritto misto.