Un'autobomba in Turchia dopo gli arresti nell'opposizione e il blocco di Internet | Rolling Stone Italia
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Un’autobomba in Turchia dopo gli arresti nell’opposizione e il blocco di Internet

Un'autobomba è esplosa questa mattina Diyarbakir dove la scorsa notte sono stati arrestati alcuni parlamentari di spicco dell'opposizione filo-curda. Nel frattempo in tutto il paese è stato bloccato l'accesso ai social e a WhatsApp

Un’autobomba in Turchia dopo gli arresti nell’opposizione e il blocco di Internet

You Tube, Facebook, Twitter e WhatsApp sono stati bloccati dopo che la Turchia è piombata nuovamente nel caos in seguito all’arresto avvenuto questa notte di 11 deputati appartenenti all’opposizione curda cui, questa mattina, è seguita l’esplosione di un’autobomba che, stando agli ultimi dati, avrebbe causato un centinaio di feriti e la morte di otto persone.

Entrambi i fatti sono avvenuti a Diyarbakir, la capitale della regione curda della Turchia nel Sud est dell’Anatolia. Gli arresti seguono la decisione presa a maggio da parte del governo di Recep Tayyip Erdoğan di togliere l’immunità parlamentare ai deputati curdi, dopo che alcune figure di spicco dell’Hdp – partito democratico e moderato – avevano scelto di non presentarsi alla chiamata in giudizio riguardante l’indagine nei confronti del Pkk, partito curdo estremista totalmente slegato dall’Hdp, proprio perché apparenti al parlamento.

Fra gli arrestati spiccano i due parlamentari fondatori dell’Hdp, Figen Yuksekdag Senoglu, arrestata ad Ankara, e Selahattin Demirtas, quest’ultimo soprannominato l’Obama del Kurdistan, primo politico capace di spezzare il dominio conservatore di Erdoğan che da più di dieci anni mantiene saldamente in pugno il controllo politico del paese.

Le incarcerazioni di questa notte sono solo l’ultima delle contromisure volute da Erdoğan in seguito al fallito colpo di stato dello scorso 15 luglio cui sono seguiti decine di migliaia di arresti in tutto il paese, tra giornalisti, accademici e uomini politici tutti accusati di presunte simpatie nei confronti dei golpisti e del loro supposto leader Fethullah Gülen, rifugiato politico negli Stati Uniti. Da quel giorno Erdoğan non si è più fermato, chiudendo giornali e canali televisivi, emanando ordini di cattura o sospendendo il passaporto praticamente a chiunque fosse coinvolto in qualsiasi forma d’opposizione al suo governo, sempre più simile a una dittatura in piena regola.

In seguito alle manifestazioni di protesta esplose in tutto il paese dopo gli arresti, la preoccupazione per l’ennesimo schiaffo alla democrazia da parte di Erdoğan ha immediatamente ripreso a dilagare in tutto il mondo, come testimoniano le parole del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, e dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini.

Sempre a Diyarbakir questa mattina, a poche ore soltanto dagli arresti, è esplosa un autobomba davanti all’edificio che ospita la sezione antisommossa e controterrorismo della polizia, ferendo oltre 100 persone e uccidendo sei civili e due poliziotti. Le autorità sospettano che dietro l’attentato vi sia la mano del Pkk, anche se per ora non ci sono indizi a riguardo.

La preoccupazione per la situazione in Turchia è quindi sempre più alta dopo che, inoltre, a partire all’1.20 ora locale (circa le 23,20 italiane) è stato bloccato l’accesso ai principali social network. Come denunciato dal gruppo Turkey Blocks, Facebook, Twitter e You Tube sarebbero irraggiungibili, mentre vi sarebbero forti restrizioni anche per l’utilizzo di WhatsApp e Instagram. Stando all’opinione di Turkey Blocks, queste misure sarebbero state prese dal governo Erdoğan in seguito agli arresti dei leader del massimo partito d’opposizione, e sarebbe la prima volta che WhatsApp subisce restrizioni a livello nazionale nella storia di quel che resta della democrazia turca.