«Stiamo parlando degli anni 1890 o degli anni 1990?» ridacchia Chloe Sevigny.
Stiamo parlando di Edith Wharton, illustre auttrice Edwardiano e intenditore di una New York di un’epoca precedente. Come la Wharton, Edie Sedgwick e Kim Gordon – tutti idoli della Sevigny – Chloe rimane un’eroina glamour, ed occasionalmente cruda, della storia della città. Una volta santificata come ragazza più cool nel mondo dall’autore Jay McInerey nel The New Yorker, la Sevigny continua ad essere punto di riferimento “alternativo” in una New York post-alternativa.
Il suo nuovo libro fotografico, intitolato semplicemente Chloe Sevigny, raccoglie centinaia di immagini dell’attrice, modella e designer. Alcune di queste sono immagini iconiche, altre non sono mai state pubblicate; dalla sua infanzia nel Connecticut, al suo periodo da adolescente hipster nell’East Village, fino ad oggi, raffigurata come star Hollywoodiana e fashion trendsetter.
«Volevo che fosse un po’ come un libro artistico per i miei fan, se posso permettermi di dire così», spiega la Sevigny, «Volevo prefissarmi un mood ed un tono, in modo da poterlo presentare al mondo come oggetto che mi rappresentasse. Non volevo che fosse ne troppo pretenzioso da un lato, ne che fosse semplicemente uno stylebook dall’altro. Perlopiù volevo far trasparire delle vibrazioni».
Nonostante non siano in ordine cronologico, nel libro Chloe ha accumulato tanti souvenir con la famiglia e gli amici quando era a Darien (Connecticut) e dove viene rappresentata come quella ragazza candida nei basement, nelle spiagge o nei cortili di scuola. Bionda, e dagli occhi dolci e grandi, raffigura quella fascia di adolescenti dei sobborghi con un pedigree di classe media e con un inclinazione teatrale.
Le fotografie della cameretta, però, raccontano una storia totalmente diversa.
Pareti interamente ricoperte da poster, volantini musicali, disegni, collage e ritagli di giornali: «la mia cameretta è sempre stata come il mio diario», racconta. «Ho sempre avuto una relazione molto intensa con la mia camera da letto. Era sempre in trasformazione e costantemente disordinata. Crescendo nel Connecticut, non avevo molti stimoli, pertanto me li sono dovuta creare da sola». Ci racconta come la vasta collezione di dischi del padre, l’ossessione per il risparmio della madre o l’amore per lo skate del fratello Paul sono stati spunti creativi per i muri di camera sua.
Tra numerose copie del giornale Thrasher, dischi di Kool Dj Red Alert o cover come Broken English di Marianne Faithfull o Eat to the Beat di Blondie, Sevigny si è formata da sola, e questi sono solo alcuni dei suoi idoli e punti di riferimento artistici e stilistici.
«Dovevo sempre tornare in camera mia per poter dare un senso a tutto» ci dice ridendo Chloe.
Se pensate che sia la tipica leggenda degli anni ’90, il racconto di Sevigny che scappa dai sobborghi per rifugiarsi a New York Washington Square – dove venne successivamente scoperta dal regista Larry Clark, allora Chloe ha molti buchi da tappare e tante persone a cui spiegare come ha fatto ad affermarsi come star indie.
Nella raccolta fotografica sono incluse anche quelle foto che raffigurano la Sevigny in una classica salopette denim come esclusiva per il giornale Sassy (titolato per l’appunto “La nostra Chloe interiore ha più stile nel suo mignolo…”), o di una Sevigny coi capelli rasati mentre lavora alla boutique Liquid Sky del famoso East Village, come foto di lei sul set di un servizio fotografico per la collezione di vestiti X-Girl di Kim Gordon.
Gordon, per la quale Sevigny ha ancora un ruolo importante come modella e amica, è stata una tra le tante donne che hanno preso l’attrice sotto la propria ala in maniera confidenziale e l’hanno introdotta nei club e negli ateliers più esclusivi della città. Tanti altri nomi importanti come l’artista Rita Ackermann, la musicista Lizzi Bougatsous o Bernadette Van Huy, la fondatrice della Bernadette Corporation, appaiono tra le pagine del libro sia come soggetti fotografati che dietro la macchina fotografica.
«Ho conosciuto Rita appena dopo il liceo» ricorda Chloe, «Mi ha preso e mi ha portato al MoMa a guardare Picnic at Hanging Rock, film molto importante per me, e mi ha portato anche a vedere Bikini Kill alla vecchia Knitting Factory… Penso di aver conosciuto Bernadette ad un rave. Probabilmente eravamo sotto effetti di qualche droga, e quindi abbiamo legato subito. Quello che stava facendo con la Bernadette Corporation era incredibile. Lizzi invece ha dato inizio ad uno dei miei progetti preferiti di sempre, I.U.D., ed era anche una delle maggiori ispirazioni di moda, oltre che una delle più grandi amiche mai avute».
Pensi che essendo donne abbiano dovuto faticare molto per farsi strada nel mondo artistico? Chloe: «Sicuramente hanno fatto molta fatica ed hanno avuto momenti ancor più difficili quando venivano celebrate come artiste loro piuttosto che gli uomini», mi risponde pensierosa, «Vorrei tanto che le persone potessero citarle nel modo in cui citano Larry Clark, anche se penso che il nome di Larry sia molto più appetitoso quando le persone hanno intenzione di vendere giornali o qualunque altra cosa».
Molte delle pagine di Chloe Sevigny sono dedicate ad editoriali moda e foto che la ritraggono come modella, e sono proprio queste che hanno dato inizio alla nicchia ristretta di indie che la Sevigny si è creata a fine degli anni ’90 e inizio 2000. Spesso è stata ritratta da fotografi noti come Terry Richardson, Juergen Teller o Mark Borthwick per giornali come Purple, The Face e Self Service.
«Non ero Kate Moss
capite cosa intendo?»
Nell’epoca massimalista delle “top model” e del mondo di Baywatch, cosa può risultare più alternativo di una Chloe adornata in un tuxedo vintage con un turbante in stampa tigrata? Oppure, come rappresentata in una foto di Richardson, una Sevigny seducente che si lecca delicatamente la mano come fanno i gatti Kim Gordon, che scrive una dedica sulla copertina del libro, ci racconta come l’appeal dell’amica sia più facilmente descrivibile come «un carisma allettante che però si rifiuta di essere riduttivo come ‘sexy’ o ‘affascinante’ o ‘carina’ o qualunque altro aggettivo che il mondo usa per descrivere le ragazze. Lei si veste di sottotesti».
«Non ero Kate Moss, capite cosa intendo?» ci prova a spiegare la Sevigny, «Penso che parte del mio appeal sia dovuto al fatto che non ero la classica bellezza e non ero nemmeno sexy… Quando ero giovane ero meno consapevole e pertanto c’era più libertà nelle foto». Ti vedi come icona sexy degli anni novanta? le chiedo. Ride ancora, «Oddio, non è che mi metto proprio li a pensarci. Non so se la risposta è che non sono così analitica o semplicemente non sono così narcisista». Ci racconta della reazione negativa del pubblico per il suo ruolo in The Brown Bunny, e per sottolinearci ancora di più l’evidenza degli standard di preoccupazione che hanno i media, ci indica più recentemente lo spread artistico in Marfa Journal – dove la Sevigny posò nuda in stile Schiaparelli con un grosso crostaceo. «Perche il mondo è diventato così molle? Perché quella foto non può semplicemente essere una foto divertente ed interessante?» domanda, «Penso che abbia molto a che fare con l’internet. Non puoi dire niente da nessuna parte e pensare che non ti venga rinfacciato. Penso che tante persone trovino la libertà su internet, ma io lo trovo… Un po’ terrificante».
Perche il mondo è diventato così molle? È colpa di internet
Parte del piacere provato sfogliando Chloe Sevigny è dovuto ad un esperienza che si percepisce essere di un era precedente ad internet, un era alternativa ed indipendente che la Sevigny ha ispirato con il suo modo di fare birichino e con l’estetica fai-da-te. Anche nel momento in cui si avvicinava sempre più ad una realtà più ampia di Hollywood, e facendosi strada verso il successo, Sevigny non ha mai perso la sua passione per l’avanguardia.
Più avanti nel libro, viene sottolineato il suo spirito di leggerezza ed inventiva verso la moda contemporanea, qualità di cui è unicamente responsabile. «Ero semplicemente me stessa, indossavo vestiti comodi e che sentivo miei» ci dice, «Penso al passare degli anni, ai miei travestimenti e alla fantasia – girava sempre tutto attorno all’emulare qualcosa che sentivo essere cool».
Vent’anni dopo e il termine appartiene ancora a Chloe.