Quando si parla di David Foster Wallace sono due le parole sulla bocca di tutti: postmodernismo e depressione. Se sulla prima ci sarebbe molto da discutere – Foster Wallace non si riteneva postmoderno, anzi pensava che il termine non avesse più valore -, sulla seconda non ci sono molti dubbi: lo scrittore più innovativo degli anni ’90 ha convissuto con la malattia per oltre vent’anni, malattia che alla fine l’ha portato a togliersi la vita. La sua opera, però, è molto di più dei suoi demoni.
«David ha preso antidepressivi per 20 anni, era l’unico modo che aveva per essere produttivo», ha detto il padre qualche giorno dopo la notizia del suicidio. Foster Wallace, però, non amava parlarne nelle interviste. Anzi, la fama è sempre stata fonte di problemi e mai di piacere. “Tutti i giornalisti che lo intervistavano”, ha scritto Bruce Weber sul New York Times, “raccontavano di un uomo in conflitto con la sua celebrità, tanto geniale quanto tormentato e incastrato nei suoi pensieri”.
La sua tragica vita interiore, con il tempo, ha fagocitato tutto il resto. Oggi si sente parlare di Foster Wallace soprattutto come “quello scrittore depresso che si è suicidato poco prima di pubblicare il suo ultimo romanzo”, e non come una delle voci più affascinanti, brillanti e multiformi di tutta la letteratura americana del Novecento. «David Foster Wallace può scrivere come chiunque», ha detto il critico Michiko Kakutani. «Sapeva essere triste, divertente, comico, commovente e assurdo. A volte anche tutto in una volta».
Daivd Lipsky, il giornalista di Rolling Stone che l’ha intervistato per cinque giorni durante il tour di Infinite Jest – la sua storia è raccontata nel film The End of the Tour -, sostiene che Foster Wallace abbia cambiato la scrittura americana per sempre. «Per la prima volta ho ascoltato i pensieri di una generazione che non aveva mai avuto voce. Riusciva a parlare di Joyce e di fitness contemporaneamente, senza mai essere di maniera».
Il suo primo romanzo, La scopa del sistema, è stato pubblicato quando aveva solo 25 anni. L’apertura – “Molte ragazze davvero belle hanno dei piedi davvero brutti” – è, nella sua semplicità, un esempio eccellente di quel suo modo di trovare lo straordinario nell’ordinario, della sua sensibilità e di quell’ironia che è stata disintegrata dal gesto estremo del suicidio.
Oggi è l’anniversario della sua morte, l’occasione giusta per celebrare il suo talento e la sua capacità di dare voce a pensieri che non pensavamo neanche di avere. Ecco, quindi, sei cose che non sapevate su David Foster Wallace, raccontate attraverso le sue parole.
Non era un bravo tennista come diceva di essere
Wallace si è sempre descritto come un ottimo tennista, ma in realtà era solo l’11esimo miglior giocatore minorenne dell’Illinois centrale. Quando si tratta di scrivere di sport, però, non temeva confronti con nessuno.
– P. Sampras, di persona, è quasi tutto denti e sopracciglia, ha delle gambe e degli avambracci incredibilmente pelosi, peli in abbondanza tale da permettermi di scommettere a colpo sicuro che il ragazzo ne ha pure sulla schiena, e dunque, almeno, non è al 100% benedetto e baciato dalla sorte.
da “Tennis, tv, trigonometria , tornado e altre cose divertenti che non farò mai più”
Ha votato per Reagan
Si, David Foster Wallace è stato, almeno per un periodo, Repubblicano. Poi è arrivato George W. Bush e si è reso conto di trovarsi più a suo agio tra i liberali. Il suo racconto della campagna elettorale di McCain del 2000 – scritto per Rolling Stone – rimane una delle pagine più affascinanti della cronaca politica degli ultimi anni.
– Il nocciolo della questione è che, se siete giovani elettori tutti d’un pezzo e rotti ai meccanismi del marketing, l’unica cosa che potete stare sicuri di provare nei confronti della campagna di John McCain è una forma moderna e molto americana di ambivalenza, una sorta di dissidio interiore tra il bisogno profondo di credere e la convinzione profonda che il bisogno di credere sia una stronzata.
da “Forza, Simba”
Era ossessionato dal sudore
Il giovane Foster Wallace era un tipo imponente e appassionato di sport, ma sudava molto. Ne soffriva talmente tanto da arrivare a portarsi dietro una racchetta, così da dare a tutti l’illusione di essere appena uscito dal campo da tennis. Anche la famosa bandana, che indossava sempre, è figlia del problema. La sua ossessione è arrivata a tal punto da trasformarsi in uno dei protagonisti del suo romanzo postumo. David Cusk, infatti, è talmente terrorizzato dagli attacchi di sudore incontrollato da provocarseli da solo, e modifica le sue abitudini in funzione di questo problema fisiologico. Trovate la sua storia nel capitolo 13 de Il re pallido.
Ha scritto “La persona depressa” dopo essere stato rifiutato da una donna
Nel 1998 David Foster Wallace era ossessionato da Elizabeth Wurtzel, l’autrice di The Prozac Nation. La sbandata è stata così forte che, dopo essere stato rifiutato, ha scritto uno dei suoi racconti migliori, La persona depressa, pubblicato nella raccolta Brevi interviste con uomini schifosi.
– La terapeuta, alla quale in quella fase restava meno di un anno di vita, a quel punto aveva fatto una breve interruzione per esternare ancora una volta alla persona depressa la sua (cioè della terapeuta) convinzione che odio verso se stessi, colpa tossica, narcisismo, auto commiserazione, bisogno, manipolazione, e molti altri comportamenti basati sulla vergogna che presentavano tipicamente gli adulti endogenamente depressi andavano meglio interpretati come difese psicologiche erette da un residuale Bambino ferito che c’è in Te contro la possibilità di trauma e abbandono
da “Brevi interviste con uomini schifosi”
“Velluto Blu” gli ha cambiato la vita
«I miei professori odiavano le cose che scrivevo, e io ero convinto che fosse così perché non gradivano il mio stile estetico. E io odiavo loro, è in quel periodo che è uscito Velluto Blu». È andato a vederlo nel 1986, insieme ad alcuni amici dell’università, e l’esperienza lo ha cambiato per sempre. «Mi sono trovato di fronte a un surrealismo nuovo, originale e inedito, lontano da tutte le tradizioni. È totalmente David Lynch. Guardandolo ho capito davvero cosa fosse un vero artista, cioè qualcuno che è se stesso e mostra la sua realtà per come la vede». Nell’anno successivo ha scritto e pubblicato il suo primo romanzo.
– Per me la decostruzione, come avviene nei film di Lynch, di questa “ironia del banale” ha influenzato il modo in cui vedo e strutturo mentalmente il mondo. Dal 1986 ho notato che un buon 65% della gente che vedi al capolinea degli autobus in città fra mezzanotte e le sei del mattino tende ad avere i requisiti tipici delle figure lynchiane.
da “Tennis, tv, trigonometria , tornado e altre cose divertenti che non farò mai più”